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Un Viaggio – Anima quello di Pierfranco Bruni in “Alle soglie della profezia”.
venerdì 26 gennaio 2018

di Marilena Cavallo

 





Fluttuano nei cuori orfani dei loro cantori.

Alimentano i rivoli di una speranza.

Ritornano lì dove si scioglie il dolore e nasce il canto.

Sgorgano in rime mancate.

Rinascono nei loro versi.

Entrando “alle soglie della Profezia” si incontra la Madre, una presenza antica, velata dal pianto di chi mai avrebbe voluto perderla e poi s-velata in versi, strappati al dolore e consacrati alla parola, quasi sussurrati: “Non sarai mai solo figlio mio, amato mio”.

Il Poeta scalzo, ormai senza i sandali di alcuna certezza, inizia il duro cammino verso il riscatto della sua solitudine di Figlio. Una anafora martellante avanza “non posso…non potrò… non sei”, sfida la “mancanza” con il doloroso campo semantico della sottrazione, del “non” e si libera nel verso conclusivo dell’Incipit “ti trovo perché ci sei”.

La via è la parola, il colloquio con la Madre, con una Presenza nuova, mai assente e sempre accesa nel proprio impasto di vita. Le vie del canto poetico diventano misteriose e si snodano in 21 frammenti come un poème en prose, che fissa in 21 battiti di poesia 21 momenti di vita.

Le parole, morse dall’abbraccio della Morte, duellano sulla “soglia”, in gola, quasi strozzate! Ecco che ancestrale e autentica la Rivelazione si compie nel ritorno della Madre, di quella grande Alfa, principio di tutto.

All’improvviso nei versi si sente il profumo del bucato, quell’odore di fresco di una vita, una essenza che sembra aver varcato il limite del Tempo per divenire effluvio di ricordi. Il sapone di lavanda  è  nel vento che da Levante tira…tra i suoi capelli.

 

(Booktrailer -  ALLE SOGLIE DELLA PROFEZIA di Pierfranco Bruni CLICCA QUI).

 

L’ora è il tempo del meriggio che restituisce la fisicità  statuaria di una Donna alta , mora, dagli occhi profondi e scuri, che raccoglie il bucato, una Madre-Mare, nel Mediterraneo delle estati a Trebisacce e negli inverni delle partenze e della lontananza.

Rinasce nella “rimembranza” quella ironia di madre antica che risveglia suo Figlio con voce sicura, per parlare ancora in un commovente dialogo sul bordo del letto, sempre sulla soglia,  sorseggiando un buon caffè.

Struggente è la lama del Tempo che taglia con il suo gridare: siamo passati…! Un urlo nero, spezzato in una punteggiatura decisa e dura che frammenta l’animo in tormento e isola la parola-verdetto in un solo verso Inesorabili! A questo strazio come un controcanto risponde la voce-vocalizio della Madre: sapevo, sentivo, ti ho ascoltato, la profezia di chi conosce l’incantesimo dei sogni e il loro infrangersi nella distrazione degli anni.

Il cammino del Poeta prosegue alla scoperta del cuore di foglie che solo le madri hanno, un cuore capace di conoscere le stagioni dell’esistere, il verdeggiare e l’ingiallire dei sogni, la storia dell’animo dei propri figli e l’avvincente ciclo della vita.

Realtà e sogno, quotidiano e eterno si contendono la terra del cuore, ora che l’assenza fisica della Madre apre come un varco nella memoria. E rinasce per un attimo la magia della montagna di farina, in cui uova fresche e olio d’oliva giocano nell’amalgama dell’impasto.

Il poeta è stato bambino e con occhi curiosi ha seguito il bucherellare del fondo delle crostate di sua madre con i rebbi della forchetta, il suo decorarle con strisce diagonali, per poi incorniciarle con piccole palline e mandorle tostate.

Ora. Non ci sono più crostate.

      La magia si è rotta, l’incantesimo spezzato… il poeta è uomo e sa che quelle mani di donna vissuta ora non possono più impastare, nè accarezzarlo, ma restano ricche di racconti in ogni piega del loro palmo. Così il canto si risolleva e si libra alto, perché di sera la tua voce/ ha la favola antica di parole mai dimenticate.

Con scatti fulminei nel cortocircuito della memoria, tra un caffè bevuto in tazze spesse, pranzi attesi e crostate che non ci sono più, tra la 5 e la 15 stanza, il poeta gioisce e soffre, per poi consacrare, ancora una volta, in un refrain suggestivo, la prévertiana immagine del cuore di foglie.

Questa analogia lieve e vibrante è uno sciabordare caro al Poeta che insegue i ricordi di una Madre che è oramai scesa per sempre dal terrazzo assolato della Vita e resta con Lui in una corrispondenza di tenerezza silente.

Ora Lui lo sa, io e te siamo una linea tra due orizzonti, e nella notte della separazione la accarezza con la sua mano di figlio, divenuta un petalo del deserto. Rotta la pietrificazione del dolore, di sera, nell’ora in cui più visceralmente si pensa ai propri cari, leggero il verso si fa petalo nel deserto anaforico di una rosa senza pioggia/ rosa di vento/ rosa per sempre.

Perentorio e dolcissimo il monito materno, di colei che sa che le Madri non vanno mai veramente via, ma restano silenti attaccate a un lembo di cuore dei propri figli. Con quella suggestione notturna della profezia della luna, come in un climax sempre più crescente, mamma Maria diviene donna greca e separa la verità dalle false paure: Figlio mio non misurare più assenze distanze lontananze. Un solo verso, tutto d’un fiato, senza virgole, privo di pause, trafelato e autentico!

Un soffio agostiniano: non misurare! La regola aurea della misura dell’amore è “amare senza misura”

“Umbra sumus”!

L’epilogo non concede consolazione e veritiero incalza in 10 versi una amarezza: sei passata tra le ombre! Eppure è vivo nella Casa-Madre un indirizzo inciso a lettere di fuoco: Un tempo in via Carmelitani.

     Bruni, poeta di “quando fioriscono i rovi”, ha tra le mani ora un doloroso cardo, che s’innalza tra spine per fiorire ancora, ora che la trupìa del cuore lo tempesta di vento sui vetri della cucina e nel cielo calabrese di quelle che orgogliosamente chiama le mie infanzie.

     “Beviamoci insieme una tazza di vino” chiedeva Scotellaro a quella madre, che lo aveva cresciuto “nel pianto/ sotto la ruota violenta della Singer”.

       Bruni, dopo i tanti caffè bevuti con la sua Donna-Madre, può giocare con il tempo e ritrovare solo gocce di caffè … sulle tue labbra. 

Il Poeta ama le rose del suo giardino nella casa di paese, ama amorosamente anche quelle che “non colse” e ora le afferra dal gambo, lasciando che le spine incidano l’incavo delle mani e solchino le vie del suo amato dolore.

Delle rose sono rimaste le spine spente …

Questo il nuovo paesaggio del suo animo: il naufragio si è consumato, il bambino è sceso dalla rutilante giostra persa dell’infanzia, il caffè è giunto al fondo nel cuore che singhiozza come fosse solo un angolo spezzato di memorie.

La pergamena di parole si è srotolata in 21­+11 stanze poetiche abitate dal soffio di una Vita altra. Nel tempio non c’è il Profeta che legga verità assolute, né una Sibilla che interpreti l’oracolo. C’è l’alchimia dei numeri 21­+11… tanto cari al Poeta.

Siamo sulla soglia, nel chiaro del bosco di parole.

“Il chiaro del bosco è un centro nel quale non sempre è possibile entrare”, la soglia è il limen di una profezia aurorale, direbbe la Zambrano cara al battito filosofico del Poeta.

E così si chiude l’omaggio di un figlio Poeta a sua Madre.

Le sue nostalgie sono vele, come Heminguay gli ha insegnato, in questa vita che è una festa mobile.

11 ottobre 2015 la trama di una vita si sgrana!

Era d’autunno

Eppure questa poeticamente scandita Profezia, come olio di nardo lenisce ferite che mai potranno chiudersi e, se il Poeta facesse l’appello dei suoi affetti più cari, il nome di Lei svetterebbe rosso nella “rubrica” della sua memoria.

Maria Caracciolo?

Presente!

Sempre!

Brilla chiara la sua promessa: Ti porterò, oh Madre, il canto!

Al lettore rapito non resta che entrare religiosamente nell’aurora di questo canto lirico.

Solo a Lei, la Madre, la facoltà di penetrarlo tutto nel Mistero.

“Tu che il mio canto intendi sola: in te si perde la mia parola come foresta”. (R. Maria Rilke)





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