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"Referendum: pisce chiare e fa' le fiche 'o mierche (mingi chiaro e raccogli i fichi per il dottore)!"
mercoledì 10 aprile 2013

lettera aperta al Dr Carlo Marchese ed invito partecipazione dibattito referendum 14 aprile

da CrispiuSantorius



28 marzo 2013
OGGETTO: Invito partecipazione dibattito referendum 14 aprile

Egregio dottor Carlo Marchese, Presidente del Club “Il Riformista”
Il 14 aprile prossimo venturo, come Lei sa, si celebra a Taranto il referendum consultivo sulla permanenza o meno dello stabilimento siderurgico a ciclo integrale. Per questo importante appuntamento, Jo Tv ha sentito il dovere di organizzare il dibattito-confronto “TARANTO: REALTA’ E PROSPETTIVE, VOLTI E RISVOLTI”, nei propri studi televisivi siti di via Niceforo Foca 20 a partire dalle 15.30 del 5 aprile 2013. A meglio significare le modalità e le finalità dell’iniziativa editoriale di Jo Tv, Le invio, acclusa alla presente lettera, la nota di comunicazione redazionale.
Considerato che Lei ha svolto a partire degli anni ‘60, come dirigente nazionale Cgil Funzione Pubblica, un primario compito di difensore dei diritti dei lavoratori e che ha potuto seguire, come sociologo, l’ampiezza e profondità dei cambiamenti politico-culturali e socio-economici in una visione olistica e della complessità della società italiana, avendo Lei approfondito l’incidenza e i riverberi negativi della malavita organizzata nella realtà meridionale (e non solo). Malavita aiutata dall’inadeguatezza del sistema giudiziario italiano e strutturata in forme complesse di aggregazione-assoggettazione, con uso della minaccia e delle offerte di protezione e alimentata dal monopolio della produzione e spaccio delle sostanze stupefacenti, l’attività economica più lucrosa, più dannosa e più occulta che si svolge al di fuori di ogni regola e controllo. Un fardello troppo pesante che ci fa inciampare nell’irto percorso del passaggio di ciclo economico.
Infine (non meno importante) avendo visto passare e ripassare, dal Mar Piccolo al Mar Grande e viceversa, l’acqua sotto u pòndë de fierrë, luogo di osservazione tutt’altro che provinciale, bensì glocal, è nelle migliori condizioni di intervenire a pieno titolo sulle vicende di casa nostra.
Come si è cercato di dimostrare nei numerosi documenti prodotti negli ultimi anni dal Club “Il Riformista”, la Sua azione è stata improntata sull’adagio della parlata tarantina “piscë chiàrë e fa lë fichë ò mierchë” (mingi chiaro e raccogli i fichi per il dottore), che purtroppo però non ha trovato molto ascolto; non vi è peggior sordo di chi non vuol sentire!
Visto questo atteggiamento sonnacchioso e fatalista di molti, la celebrazione del referendum a Taranto rischia di finire spiaggiata, per insipienza e “inquinamento” politico-culturale, come capita da anni, causa avvelenamento delle acque, ai graffinë dello Jonio.
I sindacati confederali, già negli anni settanta, cercarono di verificare a Taranto l’esigenza occupazionale con la sostenibilità ambientale del più grande stabilimento siderurgico a ciclo integrale, costruito a ridosso della città.
La consapevolezza dell’importanza della questione ambientale si fece strada allorché l’Amministrazione provinciale di Taranto - Assessorato all’Igiene e Sanità, diretto da Antonio Tripaldi – organizzò, sollecitato dalla UIL Beni Culturali, Italia Nostra, Club Europa e Università Popolare Jonica, un convegno di studi sul tema "Inquinamento ambientale e salute pubblica" in data 27-28 aprile 1971 nel salone di rappresentanza dell’amministrazione provinciale. Al convegno, i cui atti furono pubblicati a cura dell’Amministrazione provinciale, parteciparono esperti, manager, amministratori, sindacalisti ed esponenti dell’associazionismo ambientalista, tra i quali Lei, Antonio Rizzo, Gianni Usvardi (Sottosegretario di Stato al Turismo), Temistocle Scalinci, Bruno Venturini. Nell’occasione fu presentato un ordine del giorno per la salvaguardia del fiume Galeso, in cui si affermava: «Ora se non fosse stato per l’efficacia dell’opuscolo-documento approntato dall’Amministrazione provinciale, in alcuni interventi ci è sembrato che Taranto sia candidata a ricevere il primo premio quale città tra le più pulite e salubri del mondo, mentre i lavoratori, gli operatori culturali e sindacali denunciano - e lo hanno sempre fatto fin dall’inizio - che il fenomeno dell’inquinamento ambientale è molto evidente e procede a passi da gigante».
Di grande respiro fu in particolare la relazione del Prof. Giorgio Nebbia, intitolata Progresso merceologico e Progresso Umano, che così esordiva: «Da alcuni mesi a questa parte la denuncia dell’uso irrazionale del territorio e delle risorse naturali, la scoperta dei guasti dell’ambiente, congestione urbana, hanno dato vita ad un movimento di opinione pubblica, ad una collera collettiva, come se la grande massa degli italiani si svegliasse dentro un incubo».

I diritti all’ambiente, alla salute e a condizioni di lavoro sempre migliori sono ormai una conquista antropologica e, per questo, non possono essere misconosciuti e conculcati da alcuno. Si vanno affermando nel mondo, ma i tempi per la loro generale e progressiva diffusione non saranno identici nei vari contesti geografici. E questo è il maggior rompicapo delle organizzazioni sindacali confederali, delle associazioni culturali e della cittadinanza attiva.
Taranto è stato teatro, all’indomani dell’Unità d’Italia, di un intervento di industrializzazione con l’avvento della Base Navale e dell’Arsenale a Santa Lucia nel primo Seno del Mar Piccolo, costruiti con tecnologie d’avanguardia rivenienti da altri paesi europei (Germania, Francia, Inghilterra) e dall’apporto tecnologico dei Politecnici di Milano e di Torino, i veri motori dell’industrializzazione italiana e, in senso lato, dell’unificazione, per quello che si è riuscito a fare, materiale. L’unificazione del Paese partì con la realizzazione della rete ferroviaria nazionale, una vera rivoluzione per la mobilità.
L’importanza dei Politecnici è stata quella di aver basato la propria attività sia sulla scienza che sulla tecnologia, tenendo ben a mente l’insegnamento di Galileo Galilei, il quale, oltre ad essere stato scienziato puro, era anche tecnologo, come in Francia lo sarebbe stato subito dopo Blaise Pascal. Il progresso dell’umanità si basò sul rapporto tra scienza e tecnologie per produrre strumenti e beni.
L’intervento di industrializzazione a Taranto mirava a rafforzare l’azione politica per superare il dualismo Nord-Sud, nobile intento che non si è realizzato perché in concomitanza non si realizzò n Politecnico a supporto del processo di industrializzazione,. Se ciò fosse stato fatto, avremmo non solo accorciato il divario, ma avremmo anche potuto innestare l’impiego delle nuove tecnologie sulle esperienze precedenti della manifattura artigianale, e il Made in Italy (che mantiene a galla l’economia) sarebbe ancora più potente.
La capacità di declinare le tecnologie più sofisticate e innovative con il gusto del bello è stata la forza propulsiva che ha fatto nascere i moderni distretti industriali, a Nord come al Sud, basti pensare il distretto degli occhiali nel Triveneto, il distretto del mobile imbottito nella Murgia apulo-lucana, il distretto delle ceramiche a Sassuolo, il distretto delle calzature di Fermo, eccetera… realtà che oggi accusano la crisi per la mancanza di aziende leader di media grandezza (con un fatturato di almeno 300 milioni di euro annui) che possano fare da traino. Per fortuna, alcune sono già emerse e sono quelle che di più sostengono l’export.
Purtroppo il Paese rimane duale anche in questo momento epocale di cambiamento di modello produttivo, non solo per il divario tra Nord e Sud, ma anche, nello stesso distretto, tra imprese di eccellenza e imprese obsolete e tra la pesantezza e l’arretratezza della funzione pubblica e l’efficienza di alcune imprese private; divario che non consente una sinergia virtuosa. La molteplicità dei soggetti istituzionali che operano nel territorio, finiscono col produrre la fragilità del tessuto socio-economico, che non ci mette nelle migliori condizioni per competere a livello globale.
La produzione manifatturiera italiana perde quote di mercato globali, ma con differenze tra Nord e Sud e anche all’interno degli stessi distretti; il tutto appesantito dalla “fuga dei cervelli” e dallo scollamento tra istruzione, cultura, ricerca e apparato industriale, con nessuna selezione su base meritocratica. Si stenta a poter vedere il paese come una mela intera; ci si trova sempre di fronte a due metà, e per giunta non della stessa mela; spesso nemmeno della stessa pianta, ma di cultivar distinti, ed è questo che stentiamo a mantenere in piedi un sistema unitario per competere.
Dopo il conflitto mondiale Taranto, grande polo d’industria bellica incentrato sull’attività dell’Arsenale, di Buffoluto e dei Cantieri Navali Tosi, si trovò piegata su se stessa nel più completo smarrimento ed incapace di risollevarsi in maniera autonoma.
Come all’epoca fu messo in evidenza da Dino Rizzo in più editoriali sul settimanale “La Voce Del Popolo”, in questa circostanza mancò un’adeguata azione imprenditoriale per convertire l’industria tarantina da economia di guerra a economia civile. Così si finì col disperdere il capitale umano delle maestranze e si mise in ginocchio l’economia della città.
In questo modo svaniva una delle esperienze industriali più significative ed intensive del Mezzogiorno, nata per volontà di alcuni statisti per riavviare un equilibrio economico tra le aree del Paese e sviluppatasi tra luci ed ombre.
In questo momento di scoramento sopraggiunse la scelta, calata dall’alto, di realizzare a Taranto un polo industriale con la costruzione del più grande stabilimento siderurgico d’Europa.
La scelta fu determinata dalla strategia di industrializzazione del Mezzogiorno ad opera delle Partecipazioni Statali, necessaria per ridurre il divario socio-economico tra Nord e Sud, e dalla rivoluzione dei sistemi di logistica, che abbattevano i costi del trasporto marittimo, sia in senso relativo (rispetto alle altre modalità di trasporto), che in senso assoluto (per il notevole aumento della stazza delle navi minerarie), sia ancora per le nuove tecnologie di sbarco-imbarco; circostanza che permetteva una maggiore scelta delle fonti di approvvigionamento.
Per realizzare un impianto in questa logica, era necessario disporre di ampi spazi pianeggianti a ridosso del mare, di approvvigionamento di consistenti quantità di acqua dolce o salmastra per il raffreddamento degli impianti, possibilmente di un porto; la scelta di Taranto, città del Mezzogiorno dotata di quei presupposti localizzativi, contribuiva anche a dare una risposta ad una pesante situazione sociale ed occupazionale (a seguito della drastica e progressiva riduzione delle attività connesse con l’industria navale e militare).
Vinta la corsa ad ostacoli tra le città meridionali che rivendicavano a vario titolo l’atterraggio dello stabilimento, all’epoca si peccò di miopia e strabismo per non aver contestualmente accompagnato l’iniziativa con l’istituzione di un Politecnico a Taranto, come richiesto dall’Università Popolare Jonica, per aver sottovalutato le interrelazioni tra ambiente, lavoro e salute, e per non aver potenziato l’Istituto Talassografico di biologia marina del CNR, operante in città, nella sua sede definitiva, già dagli anni Trenta, ma nato in precedenza come Istituto Demaniale di Biologia Marina applicata alla Molluschicoltura.
Così, la classe dirigente jonica è rimasta attardata e distratta e ha inseguito il facile consenso di una popolazione desiderosa di migliorare ad ogni costo le proprie condizioni di vita attraverso l’accesso al lavoro, che però ha nei fatti assecondato il volere altrui per sottovalutazione, per bisogno, per cupidigia e per deferenza al potere, accogliendo la novità plaudente in quanto “A caval donato non si guarda in bocca”!
Non è un caso, anzi, che, a visitare l’impianto siderurgico a Taranto sono stati invitati ben due papi, Paolo VI e Giovanni Paolo II (e l’attuale arcivescovo, forse, sta pensando anche di invitare Papa Francesco), il Presidente del Presidium sovietico Podgornyj e lo statista sudafricano Frederik Willem de Klerk, salvo che poi il sindaco Mario Guadagnolo, nato a Gizzeria e uomo su cui l’onorevole Claudio Signorile riponeva “cieca” fiducia, fece affiggere un manifesto formato doppio elefante (una delle tante spese inutili che hanno contribuito a gonfiare il dissesto), in cui si dichiarava, udite udite!, de Klerk persona indesiderata perché razzista. Qualche tempo dopo, però, nonostante i proclami di Guadagnolo, de Klerk ricevette il Premio Nobel per la Pace (1993) assieme a Nelson Mandela per aver democraticamente (senza sparare un colpo!) trasferito il potere dalla minoranza bianca sudafricana alla popolazione di colore. Si rischiò un vero e proprio infortunio diplomatico!
Il peggio è coinciso con l’avvento dell’imprenditore Riva, che pur provenendo dall’area geografica di nuova definizione, la “Padania”, terra dello scienziato e statista piemontese Quintino Sella o dell’ingegnere onorevole Giuseppe Colombo del Politecnico di Milano, si è limitato a fare al massimo la manutenzione ordinaria, senza prefigurare, e tantomeno realizzare, l’ammodernamento della struttura affinché questa potesse divenire sostenibile sul piano ambientale.
I motivi di critica non erano né fuori luogo né esagerati, in quanto non è un caso che negli ultimi frangenti un gruppo imprenditoriale con ventimila dipendenti abbia dovuto nominare Presidente del gruppo un manager proveniente dall’esterno, l’ex Prefetto Bruno Ferrante, lasciandolo nella Peste, nonostante la sua buona volontà e coraggio, in quanto deve ora fare i conti con:
a) il conflitto di competenza in corso tra il Governo Nazionale e quello Regionale per la legislazione concorrente delle materie di tutela della salute e dell’ambiente;
b) la difficoltà ad agire nella giungla delle direttive europee di settore, della legislazione nazionale, dei regolamenti degli enti locali;
c) i tempi lunghi del bicameralismo perfetto italiano.
d) la mancanza, in loco, di adeguate strutture tecnico-scientifiche per la ricerca applicata a sostegno dell’attività industriale presente sul nostro territorio, abbisognevole, per poter sopravvivere, di continui e radicali aggiornamenti tecnologici per l’innovazione di processi e di prodotto.
Per garantire migliori condizioni di vita e di lavoro, dobbiamo partire dal fatto che sono i fermenti culturali, la ricerca applicata, l’innovazione delle Istituzioni regolatrici e stimolatrici delle attività civili che orientano e governano le azioni dell’uomo in ogni epoca. L’economia della conoscenza è alla base di ogni nuovo stile di vita; la sua affermazione e diffusione, però, è cosa complicata e non sempre lineare: molto dipende da quale tra le esperienze alternative si afferma in un dato momento storico di svolta.
L’atteggiamento di contrarietà alla presenza sul territorio della grande industria di base inquinante è determinato, oltre che dal comportamento della proprietà, anche da un senso di “estraneità” avvertito sia dai lavoratori direttamente impegnati al suo interno (non è un caso che in occasione del referendum abbiano dichiarato che rappresenteranno il partito dell’astensione) che dai cittadini che vivono nelle vicinanze, in quanto non vi si producono oggetti direttamente o potenzialmente fruibili ma bramme, coils e grandi tubi; prodotti che, pur essendo indispensabili per l’esistenza e la competitività dell’industria manifatturiera italiana – di cui andiamo orgogliosi - non vengono percepiti dalla cittadinanza come cose proprie. Gli oggetti infatti solo con l’uso personale si trasformano in cose in cui riconoscersi e “da amare”.
Questo processo creativo ha accompagnato l’uomo che, per le sue esigenze vitali, sin dall’età della pietra ha dovuto costruire oggetti-utensili che hanno determinato la qualità della sua vita di relazione. Col succedere dei secoli gli utensili diventavano sempre più evoluti e si tramutavano in “cose”, sempre più rispondenti ai bisogni delle varie fasi della propria esistenza, per la caccia, la pesca, l’agricoltura, la preparazione dei cibi, il culto dei morti e - una volta diventato stanziale - le suppellettili per rendere più funzionale ed accogliente la propria dimora, giunte fino a noi perché seppellite insieme ai propri defunti.
In questo sforzo collettivo, in alcuni individui scocca la scintilla creativa dell’arte e il gusto della ricerca e della sperimentazione; nascono da qui l’aspirazione e la lotta per il possesso delle “cose”, tanto utili quanto belle. La testimonianza di ciò spiega, nel nostro Paese, l’eccellenza italiana dell’industria del bello e del lusso.
Purtroppo, con l’avvento del capitalismo, per due secoli e mezzo, si è puntato al consumismo, man mano più invadente ed esasperato. All’interno della realtà che, con fatica, tra alti e bassi, si va costruendo, è necessario far allignare modelli di vista post-consumistici orientati da un lato al sobrio e sapiente uso degli spazi e dei beni comuni e dall’altro al recupero della pratica diffusa dell’otium romano per acquisire i beni immateriali (gli unici di cui l’umanità dispone in modo illimitato) nella direzione di una società diversamente ricca, inclusiva, solidale e glocal. Il tutto all’insegna della parsimonia, frugalità e riuso dei beni, non facendosi ulteriormente abbagliare dalla colonizzazione anglo-americana dell’immaginario collettivo avvenuta attraverso la pubblicità. Verso questa nuova società, le grandi organizzazioni sindacali devono preparare e accompagnare i loro iscritti, secondo la lezione di Serge Latouche.
Bisogna agognare, con ostinazione, all’“utopico possibile”, innestando le nostre azioni sulla millenaria e sapiente esperienza umana italiana: oltre che nei processi produttivi industriali, anche nel consumo del cibo si fa strada la resilienza ecologica, dall’abbondanza all’abbastanza, purché il cibo sia sufficiente e saporito. Lo stesso Istat sta elaborando nuovi indicatori per valutare la qualità della vita, a partire dalla sua percezione.
Passaggio quanto mai stretto: il cambio di rotta si rende infatti necessario per riappropriarsi della ricerca, a partire da quella biologica-sanitaria, attualmente nelle mani delle multinazionali farmaceutiche (si veda l’ultima vicenda sui diritti d’autore tra India e Svizzera), e del controllo dei flussi monetari, per riprenderne il significato di bene comune, in quanto la moneta, sin dai tempi dei Greci, è stata un buon servitore, ma un cattivo padrone.
E’ arrivato il momento di mettere al bando l’abitudine di desiderare il superfluo, l’inutile, negando il necessario agli altri, anche perché sarebbe una pia illusione, vedi quanto accade in Corea del Nord. In questo momento storico tutto è divenuto più complicato a causa del sopravvento che l’alta finanza ha preso rispetto all’economia reale.
Nel prossimo decennio, a livello mondiale, si dovrà trovare necessariamente il modo di riportare nei ranghi lo strapotere della grande finanza, che sinora si è sviluppata in maniera asimmetrica; si dovrà ristabilire il primato della produzione dei beni materiali per soddisfare le esigenze di vita e di lavoro dell’umanità e predisporre stringenti regole, nell’ambito delle azioni del WTO, per scoraggiare i comportamenti scorretti di quei Paesi che, per contenere l’ingresso di manufatti sul proprio territorio, ricorrono persino all’espediente delle barriere non tariffarie, tra le quali vi è il mantenere oltre il necessario - per un eccesso di zelo - le merci nei magazzini per i controlli doganali. Tutto questo non può essere mantenuto lontano dall’orizzonte dei partiti politici, delle organizzazioni sindacali, dell’associazionismo culturale e della cittadinanza attiva.
A Taranto, se si serrano le file e se ciascuno fa il proprio dovere secondo competenza e in spirito di verità, si potrebbe creare una squadra per partecipare alla grande corsa a tappe che sta svolgendosi nel Mondo, tesa allo sviluppo della ricerca applicata sull’impatto ambientale, in cui partecipano poche selezionate e sperimentate “società sportive”, capaci di mettere in campo squadre tecnico-scientifiche. Perché il capitano della squadra possa salire sul podio a fine tappa occorre che questa sia affiatata e che, sin dalla prima tappa, agisca affinché il proprio campione, individuato dal Direttore Tecnico-Sportivo per meriti verificati, rimanga nel gruppo di testa; solo cosi è possibile conquistare la maglia rosa. Durante la corsa non sono ammesse distrazioni, slealtà ed egoismi distruttivi; quello che, ahimè, a Taranto sono difficili a morire.
Spesso e volentieri è avvilente constatare che alcuni atleti irriverenti di squadre comparse da poco sulla scena mondiale, in competizione con quella tarantina, ci sorpassano in montagna e a cronometro e cosi, oltre a approssimarsi al gruppo di testa, si permettono il lusso, portandosi il pollice al naso a palmo aperto, di fare “pì pì lò lò” (marameo!).
La società sportiva e la squadra sono ben consapevoli del fatto che, in caso di forte distacco dal gruppo di testa, si rischia l’esclusione dall’edizione della corsa dell’anno successivo, con alta probabilità di perdere gli sponsor e con la possibilità di chiudere i battenti e di perdere gli atleti, i migliori dei quali possono passare in altre società, mentre altri sono destinati ad appendere la bicicletta al chiodo. La società, così, è destinata a sparire.
Certo non mancano “lodevoli” quanto inusitati tentativi di battere nuovi sentieri per accedere alla modernità e al progresso. A una persona della Sua sensibilità, non sarà certamente sfuggita la nuova espressione dell’Arte di Strada che negli ultimi sette anni si è sperimentata a Taranto: oltre cento gazebo collocati sui marciapiedi di forme e dimensioni diverse, che qualche malnato ritiene in linea con la nobile e antica espressione che risale alla tradizione dell’italiana Commedia dell’Arte, allorché compagnie di giro (composte da acrobati, cartomanti, giocolieri…) allestivano spettacoli itineranti in piazza, come Grillo oggi, per far ridere e, forse, anche per far pensare e comunque acquisire consenso.
A Milano e a Venezia, città da anni organicamente impegnate per favorire l’Arte di Strada (murales, mostre all’aperto…), si stanno spremendo le meningi per inventare e diffondere nuove forme di Arte di Strada per animare la piazza a aiutarla a pensare nella speranza di sottrarla allo spettacolo buffo di Grillo. La sperimentazione di Taranto di diffondere i gazebo come Arte di Strada per risollevare il commercio, però, risulta fallimentare in quanto, a conti fatti, ad ogni gazebo corrispondono almeno tre locali che hanno chiuso i battenti. Altro che rivitalizzazione del Centro Storico…
L’Italia, tra le tante difficoltà, si è aggiunto il fenomenico politico culturale delle 5 Stelle, capitanato dal comico Beppe Grillo, il quale si è reso protagonista di una nuova, inedita forma di partecipazione, che, in modo inaspettato, ha riempito il vuoto determinatosi dalla perdita di ruolo dei partiti novecenteschi e delle organizzazioni sindacali, divenuti un mondo sempre più sfilacciato, frantumato e incapace di ricomporsi per definire una visione comune.
L’Europa, se non corre ai ripari e se non evolve in una vera e propria unione federale, invece di perseguire il progresso in prima linea, sarà costretta a seguirlo in seconda o in terza fila, verso il cambiamento di ciclo politico ed economico in corso a livello mondiale. Questi, che pure hanno fatto grande e civile l’Europa, oggi sono incapaci dell’approccio olistico necessario per non andare a rimorchio degli eventi. E’ in questo vuoto che va letto il fenomeno politico 5 Stelle, che riesce, tramite la complice Rete, una aggregazione su spinte opportunistiche intrise con insoddisfazione e indignazione, alla ricerca di qualche dispensatore, magari gratuito, di pozioni guaritrici. Si mescola la comunicazione pantofolaia e parcellizzata degli internauti con il brusio della piazza, legato al comizio-spettacolo buffo: una miscela quanto mai efficace per raccogliere consenso, ma che giunta in Parlamento, per paura di sbagliate e incompetenza, in attesa del necessario apprendistato, il Movimento è costretto a fare u’ guggionë sottë a petrë!
Beppe Grillo oggi però deve riscontrare che per entrare nell’anima degli uomini come dei fatti politici, non basta osservare di sottecchi ed in penombra gli attori a livello individuale e a livello collettivo, ma vanno guardati negli occhi, perché anche le smorfie del viso comunicano, e sicuramente meglio e con sincerità rispetto alle parole.
Ecco perché, oggi, Beppe Grillo e il guru Gianroberto Casaleggio hanno convinto sì i centocinquanta eletti in Parlamento, tra Camera e Senato, che la politica della 5 Stelle va impostata sulla regola monastica di "ora et labora", praticata da secoli nelle grangie benedettine, trovando più di qualche difficoltà nel far seguire la regola dell’ inedia (leggi decurtazione dello stipendio) et cilicium, perché al da farsi ci pensiamo noi e solo noi!
Non ci si può affidare né alla fortuna, né al santo patrono, tantomeno al proprio dovere di essere in sintonia con la Storia, a partire dalla propria Storia, che non va rifiutata a piè pari, ma letta e studiata per veder ben bene cosa fare.
Il Paese, e in modo particolare Taranto, non vive uno dei momenti migliori, anzi la politica si è incarognita e, in modo spregiudicato e avventuristico, infligge colpi bassi.
E persino quando si afferma di agire per célia, al sano e spensierato spirito goliardico si sostituisce la trappola (e ne sa qualcosa il povero malcapitato Onida, vittima di una telefonata galeotta ad opera della Zanzara).
Nella competizione in corso per strutturare industrie siderurgiche a ciclo integrale più sostenibili sul piano ambientale, economico e sociale, se ne possono contare sulle dita di una mano della grandezza e potenza di quella di Taranto, e tra tutte queste rimarranno in gara quelle che prima, e meglio, sapranno innovare radicalmente processi e prodotti.
Per far parte di una squadra coesa e con unità di intenti occorre esercitare il diritto di critica lealmente e con misura, come Lei ha sempre cercato di praticare, e così, oltre ad additare le manchevolezze delle proposte altrui, sforzarsi di contrapporre le proprie alle altre senza retropensiero e/o alterigia. È solo così che si delineano naturalmente le convergenze per unire le forze necessarie e centrare gli ambiziosi obiettivi prioritari di rinnovamento strutturale dell’industria in uno con la razionalizzazione e la rivitalizzazione dello spazio urbano, così da migliorare la qualità delle condizioni di vita e di lavoro.
Le aree in cui insistono i grandi stabilimenti a ciclo integrale costituiscono una comunità del tutto ristretta, dispersa nel mondo in diversi paesi, in Occidente come in Oriente, di antica o moderna industrializzazione, con orientamenti filosofici e religiosi differenti, sono afflitti dai medesimi problemi di compatibilità ambientale e accomunati dal medesimo destino.
Perciò è opportuno che questi si prendano per mano e si dispongano in girotondo, tenendo a mente però che questo può ruotare in senso orario come in senso antiorario (a seconda che si adottino politiche economiche espansive o restrittive) e che le diverse esperienze culturali, i diversi approcci antropologici e le diverse conoscenze scientifico-tecnologiche sono, anche a stadio diverso, intercambiabili; questo fa si che ciascuno imponga un ritmo ed una velocità diversa, rendendo difficile stabilire il da farsi nel tempo giusto per rimanere in circolo, in quanto tutti agognano legittimamente a migliori condizioni di vita e di lavoro, mentre i beni materiali non rinnovabili (cibo, acqua…) non sono disponibili nella stessa quantità, per tutti e in ogni luogo (a partire dall’oro blu – riclassificato da tutti come il “bene comune” per eccellenza).
Per affrontare una questione complessa come quella di Taranto, si dovrebbe dare spazio solo a persone competenti, al punto giusto indignate, pensose per il bene comune, motivate e non aggreppiate a gilde o camarille, e a organizzazioni sociali portatori sani di interessi; e invece ci troviamo di fronte a improvvisati fuor d’opera in cui alcuni “coraggiosi”, con spavalderia, senza avere scienza, competenza ed esperienza si impancano a voler insegnare come e cosa fare per dipanare una matassa veramente intricata, e per giunta avere in non cale le sorti di migliaia di lavoratori.
E così, molti sono convinti, agendo in modo sciatto, senza poggiarsi sui punti di forza del grande sistema industriale tarantino, di sventolare ricette miracolistiche e semplificate, per “rottamarlo”; invece di partire da questi, puntellarli e rinnovarli, finiscono col pensare che sia meglio azzerare e cominciare tutto da capo, cioè pretendere di rinnovarsi nel senso della Storia, ma autodistruggendosi.
Ed oggi è proprio questo modo facilone di pensare e di agire la nostra iattura! E se non avremo un momento di resipiscenza finiremo nei cascami della Storia, disperdendo così il patrimonio esperienziale acquisito.
Non è opportuno, onorevole e producente assumere verso il referendum l’atteggiamento di Ponzio Pilato con il raccomandare l’astensione. Bisogna, invece, spendersi per propugnarlo, il referendum!
Lei certamente converrà, al di là di tutto, che la partecipazione democratica attraverso il referendum è una palla da cogliere al balzo da quanti a Taranto come in Italia, anche se in pochi, pensano che sarebbe ben strano quanto delittuoso che una città del Mezzogiorno, pur avendo vissuto con alti e bassi l’esperienza dell’industrializzazione fin dal diciannovesimo secolo e pur annoverando all’interno della Confindustria locale due tra i più importanti gruppi imprenditoriali internazionali, Marcegaglia e Riva, fosse proprio quella che per prima getta la spugna, rifiutandosi di seguire, responsabilmente e con lungimiranza industriale, il nuovo vento della Storia.
Affrontare l’incancrenita situazione di Taranto, dopo che per anni il sonno della ragione l’ha fatta da padrone generando mostri, non è cosa né facile, né scontata, ma non impossibile!
Invece oggi il caso Taranto lo si vuole risolvere con un referendum che sa molto di ordalia, pratica medievale in cui il confronto-scontro era basato solo sulla fortuna e sulla forza bruta.
Occorre essere ben consapevoli che la drammaticità con cui si percepisce in tutto il mondo la questione ambientale impone oggi, nella civiltà post-industriale, in tumultuoso divenire, un confronto su basi diverse per conquistare nuovi modelli di vita e di lavoro. Sono mutati i parametri di riferimento basati sull’accorto e sapiente uso delle risorse non rinnovabili e non disponibili per tutti, nella stessa quantità e in ogni luogo, pur se universalmente agognati e solo la ricerca applicata e mirata ci potrà riportare in pista!
Perciò fin quanto è possibile, sarebbe opportuno scongiurare il pericolo che pure a Taranto si crei una situazione malinconica ed improduttiva come quella che, ahimè, si è già consumata a Bagnoli (Napoli) come descritto dal romanzo di Ermanno Rea “La Dismissione”, in cui si descrivono le operazioni di smantellamento, pezzo per pezzo, dell’acciaieria Italsider per trasferirla in Cina.
“L’Impero di Mezzo” è oggi divenuto leader mondiale nella produzione di acciaio, mentre la bonifica del sito di Bagnoli è ancora tutta da completare. L’ultima sessione dell’Assemblea Nazionale del Popolo della Repubblica Popolare Cinese ha portato all’elezione di Li Keqiang a premier del governo cinese e Xi Jinping a presidente della Repubblica. Da questi è stato annunciato nei primi atti che la questione della sostenibilità ambientale, con i suoi riflessi sulla salute, è diventata l’obiettivo principe tra quelli prioritari della Cina, anteponendolo alla questione delle minoranze etniche (vedi la situazione incandescente con monaci e cittadini tibetani che, anelando all’autonomia e alla democrazia, si danno fuoco!).
La grande industria di base quando raggiunge le dimensioni sia della raffineria a ciclo integrale dell’Eni che dell’Ilva, di fatto assurge ad una funzione preminentemente sociale oltre che economica. Una realtà produttiva della dimensione e qualità di quella di Taranto contribuisce in modo consistente alla stabilizzazione ed al contenimento dei prezzi e garantisce la puntualità e continuità dell’approvvigionamento di molte fabbriche della filiera manifatturiera del Paese.
Alla luce di quanto detto sopra, sono fiducioso che non vorrà privare la città di un suo qualificato intervento, frutto di esperienza glocal fatta sul campo e di respiro mondiale, che sicuramente arricchirà il dibattito. Per la modalità d’intervento potrà scegliere di partecipare alle tavole rotonde di persona in studio, o con intervento scritto per via e-mail oppure in videoconferenza.
Fiducioso di un Suo positivo riscontro, colgo l’occasione di porgerLe i più cordiali saluti.

Angelo Candelli – editore di Jo Tv
angelocandelli@me.com




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