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Questione Ilva: “Per muovere un po’ le acque”
venerdì 7 aprile 2017

da Biagio De Marzo


Carissimo senatore,

tanti auguri di buon compleanno. So che sono parecchi, sempre meno dei miei, ma hai piglio, vigore intellettuale e aplomb che …. manco un cinquantenne. Ti auguro di continuare per tanti altri decenni ancora, ad impegnarti su vari fronti, cittadini e nazionali.

A tal proposito ti chiedo di “muovere un po’ le acque” sulla questione Ilva e fatti sanitari su cui continuo a proferire con poco costrutto.

Sull’onda del mio ultimo articolo pubblicato sulla Gazzetta di ieri sulla VIIAS, so che alcuni cattolici locali solleciteranno un deciso intervento del vescovo Santoro, collegando la VIIAS al punto 183 di “Laudato, sì” di Francesco. Nessun riscontro, finora, da parte di partiti, associazioni laiche, sindacati, parti sociali e tanto meno dai commissari straordinari e dalle Istituzioni centrali e territoriali.

Nel caso in cui tale articolo  ti fosse sfuggito, te ne allego il file pdf  e ne riporto di seguito la versione in formato word, più facile da leggere. Il giornale ha prodotto una titolazione certamente più vivace ed efficace.

Di nuovo tanti auguri.

Ciao.

Gino

 

VALUTAZIONE INTEGRATA DELL’IMPATTO AMBIENTALE E SANITARIO

LA VUOLE ANCHE PAPA FRANCESCO

di Biagio De Marzo

Nelle ultime settimane abbiamo conosciuto, attraverso la stampa, i principali rappresentanti industriali di ciascuna delle due cordate che si contendono l’aggiudicazione dell’Ilva. Ci sono apparsi tesi a esaltare i punti di forza della propria offerta e, con qualche battuta, a svilire quelli dei concorrenti. Hanno messo in mostra ipotetiche capacità di nuove o diverse tecnologie per ridurre l'impatto ambientale a tempi lunghi, forse nella speranza di captare la benevolenza dell’agguerrita opinione pubblica locale. In realtà, i cittadini ed anche le istituzioni territoriali sono comunque tenuti all’oscuro delle vere cose importanti. Come noto, restano ancora riservate ai commissari straordinari di Ilva le proposte economiche, ambientali e industriali delle due cordate. In merito le uniche cose che si sanno sono quelle riportate negli articoli di stampa a valle delle conferenze stampa delle due cordate. Io ho letto il più possibile e alcune cose proprio non le ho capite.

Arcelor Mittal, che punta a demolire la proposta Jindal sul preridotto che affascina i fautori della decarbonizzazione, afferma: “Conosciamo bene la tecnologia del preridotto perché già nel 1982 l’abbiamo applicata in uno stabilimento in Indonesia. Ad Amburgo c’è l’unico impianto europeo che utilizza il preridotto ed è uno stabilimento di Arcelor Mittal. A Taranto il preridotto sarebbe insostenibile per gli alti costi del rottame e del gas (anche se a prezzo agevolato).” Si può sapere se l’impianto di Amburgo funziona ancora e solo con preridotto, con quale produzione/anno, di che tipo, con quale risultato economico? Si può sapere se lo stabilimento in Indonesia continua ad adoperare in toto la tecnologia del preridotto applicata nel 1982, con quali livelli produttivi e di qualità, con quali risultati economici?

Arcelor Mittal afferma: “Come abbattere dunque l’inquinamento e allo stesso tempo garantire competitività? La soluzione tecnologica proposta da Arcelor-Mittal è nella immissione negli altiforni dei gas di produzione per ridurre il consumo di coke e carbone. Una tecnologia che permetterebbe addirittura di ricavare bioetanolo da reimpiegare per usi industriali e civili. Lo scenario Arcelor Mittal consentirebbe di abbattere le emissioni di anidride carbonica in misura superiore a quanto si riuscirebbe a ottenere con lo scenario proposto da Jindal.” Mi chiedo se Arcelor Mittal sa che all’ilva di Taranto i gas di processo (gas cok, gas afo e gas OG) sono già utilmente impiegati nelle centrali elettriche, nei forni di riscaldo, ecc.. O pensano seriamente di abbattere l’inquinamento con l’utilizzazione delle estemporanee, episodiche e irrilevanti quantità di gas bruciate nelle “candele” di protezione?

Il piano di Arcelor Mittal/Marcegaglia ha come obiettivo finale la produzione annua di 9,5 milioni di tonnellate: «In una prima fase la produzione sarà di 6 milioni di tonnellate con 3 altiforni e l’importazione di 4 milioni di tonnellate di bramme. Completata l’Aia sarà avviata la seconda fase che prevede una produzione di 8 milioni di tonnellate con 5 altiforni e l’importazione di 2 milioni di tonnellate di bramme».  Quale AIA va completata? Non hanno chiesto modifiche alla nota AIA, collegate ai loro piani ambientali ed industriali? Ristrutturano Afo 5 e ne costruiscono un altro nuovo o rimettono in piedi quello fuori uso a Taranto da decenni? Tra quanti anni?

Dalla cordata Jindal/Arvedi e C. ci sono poche e generiche informazioni impiantistiche e parecchie ed enfatiche dichiarazioni “esistenziali”. I rappresentanti indiani della cordata “Insistono molto sulla responsabilità sociale d’impresa, esibendo una loro fondazione indiana che opera nella sanità e nell’istruzione.” Citano, con grande passione, “le tecnologie self-made per ridurre l’impatto ambientale, al contempo ottimizzando il consumo fino all’ultimo grammo di polvere della materia prima. Anche il raggiungimento della massima efficienza è infatti un valore da vedere nell’ottica del rispetto ambientale, così come il riciclo degli scarti di lavorazione.” “I numeri presentati e le tecnologie sviluppate al loro interno hanno permesso a JSW Steel una crescita comparabile solo a quella delle acciaierie cinesi. Un risultato impossibile da raggiungere senza le dovute competenze tecniche e manageriali”. La cordata di Jindal “punta anch’essa all’obbiettivo dei dieci milioni di acciaio ma da produrre tutti nel sito di Taranto sia attraverso un massiccio investimento nel rifacimento dell’altoforno 5 che puntando decisamente ad una tecnologia (gas, preridotto) mirata al forno elettrico come si è ormai consolidata nella lunga esperienza innovativa di Arvedi”. Che credito dare a tutto questo senza numeri, fatti e riscontri?

Al di là delle mie elucubrazioni di tipo industriale-impiantistico basate sul quasi nulla noto, quello che mi sconcerta è l’assoluto silenzio di tutti i protagonisti (commissari straordinari, governo, istituzioni territoriali, gruppi concorrenti all’acquisto, opinione pubblica, media, ecc.) sulla questione centrale della vicenda Ilva: la questione sanitaria. Provo a riproporla riducendola all’essenziale.

La vicenda Ilva è esplosa con “Ambiente svenduto” sull’onda dei morti e degli ammalati attribuiti all’inquinamento prodotto da Ilva secondo le perizie presentate nell’incidente probatorio di gennaio – marzo 2012, a pochi mesi, non va mai dimenticato, dal rilascio all’Ilva della indecente AIA del 4 agosto 2011. E’ seguito un tumultuoso accavallarsi di decreti legge, sentenze della Corte Costituzionale, attività giudiziarie ed amministrative, che non hanno mai subordinato il diritto alla salute al diritto al lavoro o viceversa, e siamo all’attuale situazione di stallo.  Di qua c’è il Governo che sta tentando di tenere in vita lo stabilimento di Taranto per il suo valore strategico nazionale ma soprattutto per salvare quei famosi 20.000 posti di lavoro. Di là c’è un’agguerrita opinione pubblica che spinge su Magistratura, Comunità europea, ecc. per far chiudere definitivamente lo stabilimento e per far cessare morti e ammalati, con buonissime probabilità di averla vinta per tutta una serie di ragioni, giuste o sbagliate che siano, e suggerendo immaginifiche soluzioni per risolvere il problemone dei famosi 20.000 posti di lavoro. I commissari straordinari di Ilva e il loro entourage sono tutti proiettati sugli enormi problemi economico-finanziari dell’azienda, ignorando completamente la questione sanitaria.

Sono straconvinto che la strategia globale di Ilva, seria ed efficace, deve rispondere direttamente al cuore del problema che è la presa di coscienza del “rischio sanitario” connesso con l’esercizio di uno stabilimento. E’ indispensabile quindi che si sappia subito, prima di spendere enormi quantità di risorse e di tempo, quale potrà essere il rischio sanitario residuo, nelle varie ipotesi di assetto dello stabilimento, e decidere se può essere accettato. Io sono convinto che la Valutazione Integrata di Impatto Ambientale e Sanitario (VIIAS) può fornire utili elementi in tal senso, fermo restando che le decisioni di merito non potranno che essere della Politica, responsabile e legittimata. Principi di management, metodologie, scelte tecnico-impiantistiche ed altro verranno dopo. E’ per questo che è INDEROGABILE far fare la VIIAS nelle varie ipotesi di assetto impiantistico dello stabilimento. La VIIAS “preventiva” è utile anche per quell’“armistizio non dichiarato” che io auspico da tempo per cercare di svelenire l’atmosfera tarantina. Qui gli umori e i rumori sono sempre eccitati e legati a fatti sanitari. L’unico modo per avere la tregua con la città è quello di presentare insieme ai piani ambientali e industriali (strettamente connessi tra loro) i risultati della VIIAS “preventiva”.

Non faccio il pavone se sottolineo che il mio primo articolo sulla VIIAS  è stato pubblicato, con il titolo “Sull’ambiente ora valutazioni più rigorose – Taranto insegna”, sulla Gazzetta del Mezzogiorno edizione di Taranto del 15 maggio 2015, nove giorni prima della promulgazione dell’enciclica LAUDATO, SI’ il cui punto 183 tratta proprio della necessità di una valutazione preventiva degli effetti nocivi di una qualsiasi attività industriale: pura e santa coincidenza! E’ stato Pino Bongiovanni, vice presidente di Italia Nostra sezione di Taranto oltre che cattolico a tutto tondo, a rilevare tale coincidenza quando sostenne il mio appello ai commissari straordinari.

Per quanti non la conoscessero o non la ricordassero, ecco qui la “Richiesta di VIIAS di Papa Francesco”, affinchè chi di dovere la ottemperi per l’Ilva di Taranto. Dall’enciclica LAUDATO SI’ del 24 maggio 2015, punto 183: “Uno studio di impatto ambientale non dovrebbe essere successivo all’elaborazione di un progetto produttivo o di qualsiasi politica, piano o programma. Va inserito fin dall’inizio e dev’essere elaborato in modo interdisciplinare, trasparente e indipendente da ogni pressione economica o politica. Dev’essere connesso con l’analisi delle condizioni di lavoro e dei possibili effetti sulla salute fisica e mentale delle persone, sull’economia locale, sulla sicurezza. I risultati economici si potranno così prevedere in modo più realistico, tenendo conto degli scenari possibili ed eventualmente anticipando la necessità di un investimento maggiore per risolvere effetti indesiderati che possano essere corretti. È sempre necessario acquisire consenso tra i vari attori sociali, che possono apportare diverse prospettive, soluzioni e alternative. Ma nel dibattito devono avere un posto privilegiato gli abitanti del luogo, i quali si interrogano su ciò che vogliono per sé e per i propri figli, e possono tenere in considerazione le finalità che trascendono l’interesse economico immediato. Bisogna abbandonare l’idea di “interventi” sull’ambiente, per dar luogo a politiche pensate e dibattute da tutte le parti interessate. La partecipazione richiede che tutti siano adeguatamente informati sui diversi aspetti e sui vari rischi e possibilità, e non si riduce alla decisione iniziale su un progetto, ma implica anche azioni di controllo o monitoraggio costante. C’è bisogno di sincerità e verità nelle discussioni scientifiche e politiche, senza limitarsi a considerare che cosa sia permesso o meno dalla legislazione.”

Biagio De Marzo





170405 GdM_BDM_Volete l'Ilva_Prima diteci il rischio sanitario

 





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