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“Giuseppe Berto. La necessità dello scrittore”

di Pierfranco Bruni




Giuseppe Berto è il ribelle nella rivolta metafisica

Giuseppe Berto è il ribelle nella rivolta metafisica

che traccia l’inquieto del mondo moderno

 

di Pierfranco Bruni

 

 

Nel mio “Giuseppe Berto. La necessità dello scrittore”, ho cercato di puntualizzare un percorso che supera completamente quello degli scenari realistici per sottolineare l’importanza di una profonda metafisica che è perno nell’opera dello scrittore de “La Gloria”. C’è da sottolineare che la letteratura del Novecento non può non fare i conti con l’inquieto dell’uomo in rivolta.

È un dato certo che nello scavo esistenziale della contemporaneità ci sono le griglie dei miti che si confrontano. Così in Giuseppe Berto. Se a parlar di Giuseppe Berto l'itinerario puramente letterario trova il suo tracciato tra i personaggi ricostruiti e quelli inventati, l'io dello scrittore si sdoppia, non di tratta soltanto di entrare in un campo psico-analitico, proponendosi come attore e spettatore.

Ma Berto scavando e recuperando una vita, la sua, porta sul teatro dell'esistenza il coinvolgimento tra cadute estraniamento. Questo estraniarsi è un sentirsi e viversi come straniero. Assorbe sostanzialmente tutto il ritmo della inquieta sorte che non è il male oscuro, ma diventa un vizio assurdo.

In fondo, Giuseppe Berto vive l'agonia e l'inquieto esistere tra Cesare Pavese e Albert Camus. Non è  soltanto uno spazio letterario che si ritrova in Berto o un cercare l'intreccio tra la parola e l'anima in una forma di terapia d'analisi, bensì di avverte una filosofia dell'anima che si intreccia tra la metafora della scrittura come frontiera da contrapporsi alla realtà e un vero e proprio concetto di metafisica. I personaggi che lo attraversano sono destini e avventure della sua coscienza in un timor panico che di legge nelle parole e negli occhi dei personaggi.

I personaggi assumono griglie ad intreccio. Si pensi alla forma e alle strutture che mette in campo. Dalla confessione al diario al dialogo. Ma è sempre lo scrittore  che cerca una vera uscita di sicurezza dentro la letteratura stessa, perché la letteratura diventa alla fine l'unica possibilità vera o la vera possibilità per sconfiggere il Caso. Berto ha vissuto tutte le contraddizioni di un novecento sconfitto, ma mai perdente con le  tradizioni e i suoi conflitti dentro le agonie, che, per uscire dalla possibile morte, il personaggio e l'uomo vivono la rivolta.

Berto è realmente un uomo in rivolta come li è  stato Camus. Entrambi appartenenti ad una stessa generazione il primo nato nel 1914 e il secondo nel 1913. Uomini che hanno fatto della rivolta una chiara metafisica dell'anima e della loro confessione un genere letterario (Zambrano).

Nella metafisica dell'anima c'è la condizione dell'esilio dell'uomo moderno nella crisi tra il concetto del finito, papiniano, e dell'infinito. Entrambi chiedono al sacro di non assentarsi. Giuda in Berto. La devozione e la Croce in Camus. Tra i due è sottile il senso del tragico. Qui, sia in Berto che in Camus il vizio assurdo di Pavese diventa centrale. Ma Pavese è lo spartiacque ma anche il legame tra il vivere la vita nel non dimenticare la inquieta sorte. Il destino. Il mistero. Il sacro. Tra  "Dialoghi con Leucò", "Anonimo veneziano" e "L'uomo in rivolta" c'è uno spazio  - luogo che è il Mediterraneo.

L'uomo tragico, l'uomo in rivolta, l'uomo finito (non quello papiniano ma quello di Pavese) navigano inquietamente il Mediterraneo del Novecento dentro le civiltà perdute e ritrovate. Il Mediterraneo è un’espressione di orizzonti nei processi esistenziali che si articolano nel nostro tempo. Quella metafisica dell’anima ha una visione letteraria certamente, ma ha una puntualizzazione soprattutto spirituale. Berto è uno scrittore ribelle, che riesce a portare sulla scena una rivolta che è tutta metafisica.

 



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