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Francesco De Sanctis: un antropologo della letteratura nelle comparazioni vissute da Luigi Pirandello
di Pierfranco Bruni



Ci sono tre vie che si intrecciano nel percorso culturale di Francesco De Sanctis e formano le basi per una dialettica che chiude la stagione romantica, ma non quella dell’Ottocento, e apre una prospettiva esistenzialista e già novecentesca. Non deve sembrare una contraddizioni. La letteratura nei processi antropologici vive, a volte, di Opposti.

Qui siamo ad una letteratura, quella di De Sanctis (Morra Irpina, 28 marzo 1817 – Napoli, 29 dicembre 1883), che smette l’accademismo scientifico e penetra la visione antropologica dei linguaggi e delle forme letterarie stesse. In fondo le tre vie sono: l’estetica, l’idealismo, il nazional – popolare. Come per dire Croce, Gentile e Gramsci. La sua Storia della letteratura si apre ad una coraggiosa interpretazione che pone al centro sì la lingua, ma anche i linguaggi.

Lingua e linguaggi e costume si vivono nel suo testo ”Viaggio letterario” nel quale il dato antropologico diventa un riferimento non solo importante bensì utile e necessario perché è costruito proprio sul campo, ovvero nel suo ritorno nel 1876 in quella terra natìa, in Irpinia, (alta Irpinia), per una campagna elettorale non tanto fortunata però significativa per le conoscenze e gli incontri che hanno messo a confronto aspetti sociologici, politica e tradizioni. Una dimensione direttamente antropologica.

Già, comunque, De Sanctis aveva usato il metodo del confronto e nel suo discorso del 18 novembre del 1872 a Napoli per la sua inaugurazione della cattedra come docente di letteratura comparata dirà: “La scienza non è ozio mentale, ma l’attività della mente concentrata nel pensiero, sospettosa dei moti dell’immaginazione e del sentimento. E la sua missione è di rifare la vita così come la vede specchiata nel suo pensiero. Il che in altre parole significa che la sua missione è di rifare un’ideale alla vita”.

De Sanctis va alla ricerca di una letteratura che sia “comparata”, o meglio che possa costituire una struttura da confrontare con altre discipline e soprattutto con alti sistemi non solo letterari ma pregni di una cultura umanistica tra storia, civiltà e funzione popolare dei linguaggi. Individua in Guicciardini lo scrittore di una memoria nuova perché è proprio lui che pone come esperienza letteraria la testimonianza dei “Ricordi”. Un Guicciardini antropologico sta alla base della lettura desanctisiana della letteratura nonostante il suo amore per Leopardi, per Dante e per Zola.

Da dove nasce la necessità di approdare e far approdare il linguaggio della letteratura al ricordare? Nasce dalla sua formazione profondamente vichiana, tanto che Vico viene anche considerato uno dei primi antropologi che scava nel vissuto delle anime dei popoli. Poi dirà: “Kant avea mostrato che il mondo è un fenomeno del cervello, ma che sotto al fenomeno ci è pure una cosa in sé, fuori della conoscenza. Qui fu il suo torto; se avesse battezzato questa cosa in sé, avrebbe posta l'ultima pietra al tempio della filosofia”.

Vico è il riferimento fondamentale con il quale intreccerà la tradizione alla lingua, la lingua alle civiltà. Anche per questo è interessato alla letteratura come modello comparato. Essere l’artefice di una visione antropologica della letteratura non lo distacca minimamente dall’estetica. In lui c’è lo storico, c’è il letterato e il critico, c’è il linguista ed è riuscito a filtrare proprio grazie ad una lettura antropologica della letteratura le varianti dell’estetica: “La semplicità è compagna della verità come la modestia lo è del sapere”. Attraverso l’opera di Vico lega la filosofia alla filologia.

Un legame che si ritroverà addirittura in Luigi Pirandello (Girgenti, 28 giugno 1867 – Roma, 10 dicembre 1936) , il quale aveva saputo rappresentare le istanze desanctisiane già a partire dalla sua tesi di laurea dedicata alla parlata di Girgenti. Filosofia e filologia aprono una prospettiva ampia al linguaggio delle antropologie che sono la riunificazione delle tradizioni e dei costumi di un popolo. Pirandello ha iniziato questa riflessione mutuandola, in parte, proprio dalla lezione “comparata” di De Sanctis.

Infatti De Sanctis anticipa Pirandello con queste sottolineature: “La coltura siciliana avea un peccato originale. Venuta dal di fuori, quella vita cavalleresca, mescolata di colori e rimembranze orientali, non avea riscontro nella vita nazionale”. Questo è De Sanctis. Ma Pirandello introduce le “rimembranze orientali” sia nella parlata di Girgenti sia nella letteratura a cominciare dalla poesia, nella quale definisce l’Oriente il mondo frontaliero alla sua Sicilia: l’Africa. Parlando del dialetto lo storico della letteratura cesellerà questa chiosa: “Il dialetto siciliano era già sopra agli altri, come confessa Dante”.

Infatti, Pirandello è come se recuperasse questa osservazione per introdurla anche nel suo teatro filtrato dalla educazione al “volgare” della lingua di Dante, amato da entrambi. Pirandello, d’altronde, è un conoscitore attento di Vico e si lascia condizione dal legame di “verum e factum”. L’espressione della società nella letteratura diventa un rimembrare la memoria delle civiltà. Insomma siamo nel campo del dialogo tra letteratura e antropologia. Gli opposto o le antitesti sono un gioco a rimando tra il poeta e l’artista, l’uomo e il letterato. Opposti che interesseranno anche Pirandello e che De Sanctis ha letto in trasparenza sia in Machiavelli sia in Giordano Bruno sia in Tommaso Campanella sia, soprattutto, in Vico. Si conferma così l’umanesimo di De Sanctis che attraversa le due letterature che convivono: quella popolare e quella dotta. È l’arte che fa la differenza.

Il concetto di arte ha una sua interpretazione anche considerando che “materia dell'arte non è il bello o il nobile, tutto è materia d'arte: tutto ciò che è vivo: solo il morto è fuori dell'arte”. Ma nel suon opposto, sembra un artificio tra lo specchio e la maschera, si coglie: “L’arte italiana nasceva non in mezzo al popolo, ma nelle scuole, fra san Tommaso e Aristotele, tra san Bonaventura e Platone”. Ritorna, dunque, la manifestazione più vera della completezza di una letteratura che vive di continuità e non di parentesi, di estetiche e non di sistemi, di proiezioni liriche che segnano una antropologia dell’anima.




In una tale antropologia dell’anima la filosofia e la poesia si incontrano sempre per dialogare e per separarsi, per distanziarsi e per ritrovarsi: “Leopardi e Schopenhauer sono una cosa. Quasi nello stesso tempo l'uno creava la metafisica e l'altro la poesia del dolore. Leopardi vedeva il mondo cosí, e non sapeva il perché. Arcano è tutto Fuorché il nostro dolor”. Un misterioso cammino? Forse sì o forse no. Leopardi e Schopenhauer sono il rimembrare. Così per non dimenticare: “La vita e i sogni sono fogli di uno stesso libro. Leggerli in ordine è vivere, sfogliarli a caso è sognare” (Schopenhauer). La strada verso Pirandello, da qui, è tutta aperta. Pirandello reinterpreta la forma e la conoscenza, il senso e la teatralità della letteratura.

De Sanctis resta chiaramente il precursore di una linea letteraria che sa ascoltare le comparazioni: “… vogliamo trovare uomini, che abbiano una coscienza, e perciò una vita, cioè a dire che abbiano fede, convinzioni, amore degli uomini e del bene, zelo della verità e del sapere…”. Una letteratura fatta di conoscenze nella tradizione!

Di ciò ne abbiamo discusso in un convegno dell'Associazione Internazionale dei Critici Letterari tenutosi nell'ottobre del 2011 nel comune di Morra De Sanctis in Campania, di cui sono stati pubblicato in un tomo gli Atti nella primavera del 2012 per le edizioni Nemapress.











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