Paura di volare

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di Francesco Calia
Fonti molto attendibili danno il 1906 come anno di inizio del calcio a Taranto. Ciò significa che il recente sospiratissimo ritorno in serie C1 ha coinciso proprio con il centenario del pallone a tinte rossoblu, cadendo come il cacio sui maccheroni.
E allora alleluja alleluia! Esultano, ovviamente, soprattutto le nuove leve del tifo nostrano costrette ad ingoiare, giusto agli inizi di “carriera”, all’incirca un quindicennio ben condito di cavoli non propriamente dolci.
Ma si vede che lassù qualcuno ha avuto compassione di loro e di noi tanto che, dopo una serie di vicende orripilanti alquanto, un franco e largo sorriso ha voluto donarcelo.
Non sembra vero che noi si possa marcare e volentieri ricordare una nuova data del mese di giugno tirando profondissimi sospiri di sollievo. E così, dopo il giorno 5 dello scorso anno che già sapeva tanto di gradito miracolo, eccoti l’11 giugno 2006 a dolce chiusura di un anno al galoppo, con annesso record di vittorie consecutive eguagliato, e dal penetrante profumo di rinascita vera e propria.
O almeno così si spera ardentemente in riva ai due mari.

Blasi Luigi è decisamente l’uomo nuovo del calcio tarantino. Promozione in C1 a parte, è riuscito a riportare sulle scalee dello “Iacovone” più di ventimila persone, il che risulta conquista notevole, non solo e non tanto per la categoria raggiunta quanto per aver, nel giorno di cui sopra, di parecchio allontanato incubi e spettri che ancora aleggiavano nelle e sulle teste degli astanti, molto più che la catartica pioggia inviata in abbondanza a bagnare il festevole evento.
E invece con De Liguori (che non si chiama Alfonso, al pari del più famoso santo, bensì Vincenzino e tuttavia risulta senza dubbio meritevole di qualche attenzione nelle alte sfere celesti) “ù Tarde nuestre” è ritornato a vincere, vincere, verbo melodioso di cui a queste latitudini era un po’ che s’erano perse le tracce.
Salvezza e salto di categoria a primo colpo, centenario, società nuova, sana ed ambiziosa, il ritorno del grande pubblico. Insomma tanti ottimi ingredienti per farsi una bella scorpacciata di sogni.

Ma a Taranto, si sa, considerata l’atavica tendenza a ritrovarsi (o andarsi a cercare) qualche mare avverso … o messo di traverso, smaltite le umane sbornie da vittoria, si fa fatica a viverli e considerarli come i primi passi di un ciclo finalmente virtuoso. E allora già senti mormorare: “Stiamo calmi, meglio andare con i piedi di piombo, ne abbiamo passate tante, che andiamo a fare in B se poi dobbiamo retrocedere o fallire?”.
Mò, io non è che voglio fare il bastian contrario a tutti i costi, ma questa, se vogliamo, chiamasi paura di volare!
Ammesso e tranquillamente concesso che non mi farebbe assolutamente ribrezzo qualche tempo in C1 dopo aver visto la morte con gli occhi o, nella migliore delle ipotesi, aver dovuto incrociare le patrie pedate con paesi e paeselli più o meno sperduti, tutti adeguatamente scelti per darci un’idea precisa delle … condizioni raggiunte, bene, non è che però l’ha ordinato tassativamente il medico di retrocedere e fallire se uno va in B. Può pure succedere che ci resti (e una lunga storia del Taranto nella serie cadetta non me la invento io) o può anche accadere esattamente il contrario della retrocessione o del fallimento!
Chiedere nel merito informazioni a Siena, Lecce, Empoli, Reggine e Chievi vari, tutti siti non certo messi meglio di noi quanto a dimensioni o risorse. E sto parlando di chi ha raggiunto infinite beatitudini. Per fermarci “solo” alla B, tra un po’, senza offesa, dopo l’Albinoleffe, ci vanno pure il Gallipoli o il Pizzighettone …
Non sarà che ci sfugge (o ci manca) qualche piccolo, piccolissimo, dettaglio?
Ecco, semmai mi chiederei, ma una volta per tutte e senza finzioni o ipocrisie, come mai tante difficoltà e tanti “mari avversi” solo per noi?
A mò di sintetica battuta, forse vogliamo, vogliamo, vogliamo avere. Ma quando essere?
Le mosche che quasi sempre ci restano in mano qualcosa dovrebbero insegnarci.
Non sarà intanto utile darsi uno sguardo attorno e capire, apprendere, con un tantino di umiltà, come fanno per esempio certe realtà non certo più forti e più ricche di noi a fare salti doppi, tripli e quadrupli? Cercare di emulare chi ha imparato ad andare alla grande non è titolo di demerito, anzi.

In cento anni oltre una B, e spesso pure travagliata, noi non siamo mai andati, caso unico, più che raro, a certi livelli. Che sarà? La “nuvoletta” di fantozziana memoria?
Rimanendo seri, a me vengono piuttosto in mente gestioni allegre o truffaldine, scarsa capacità o proprio incompetenza nel creare o saper reperire baldi giovani che costino la metà e valgano il doppio di vecchi tromboni buoni per imbonire la gente, strutture che mancano o difettano, rapporti società - città - tifoseria da rendere più trasparenti, coinvolgenti e produttivi, biglietti che non si pagano e abbonamenti che non si fanno, eccessi di euforie o di depressioni che molto spesso, alla velocità della luce, come creano ed idolatrano miti, genietti o presunti tali, così senza pensarci troppo li abbattono
Appunto, in cento anni di storia, ce n’è di roba, oltre i gol, da ricordare e rivedere, a tutti i livelli …

Ora, essendoci bruciati più di una volta, le mani sul fuoco non ce le metto, ma con Blasi e Vinciguerra mi sa che con i contratti e con gli euro da distribuire ai prodi atleti in casacca rossoblu non c’è proprio il pericolo di fughe in avanti, e già questa è una novità più che confortante, che, se vogliamo, diventa persino valore aggiunto in un mondo-calcio come quello attuale.
Sventato allora il pericolo più grave di improvvisi e sciagurati capitomboli finanziari, se vogliamo fare il salto di qualità (e, come dicevo, non si capisce perché solo noi non lo possiamo e non lo dobbiamo fare) urge forse, diciamo così, qualche necessaria variazione sul tema.
Oltre le parole, i progetti ed i bei sogni, ci vuole una “cassa”, e la cassa (che riguarda tutti, società, istituzioni, sponsor, ed anche noi tifosi, se è vero che il Taranto “siamo noi”) bisogna riempirla, non svuotarla o, quando va bene, tenerla sempre ai minimi termini.
Una contabilità severa ed oculata garantisce sopravvivenza, ma ci vuole dell’altro per pensare o sognare in grande. Come ben si sa per le nozze, soprattutto per certe nozze, non bastano i fichi secchi. Né solo luci, musiche, canti, balli e balletti a buon mercato alla Rotonda.

Il cambiamento di una storia non è mai casuale, dipende soprattutto dal cambiamento degli uomini. Di tutti gli uomini che abbiano sul serio voglia di cambiarla.

No, lo ripeto, non bisogna aver paura di volare. Solo, bisogna prima imparare come si fa.


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(gentilmente entro e non oltre il giorno 25 di ogni mese)