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Asmà e Shadi di Pierfranco Bruni nel passaggio dal samsara agli archetipi dell’amore
di Anna Sturino

venerdì 4 ottobre 2013

da csrbruni@alice.it


Anna Sturino



Asmà e Shadi di Pierfranco Bruni nel passaggio dal samsara agli archetipi dell’amore

Asmà e Shadi di Pierfranco Bruni nel passaggio dal samsara agli archetipi dell’amore

                                              di Anna Sturino

 

Breve, istantaneo, intenso. Lento, ricorrente, eterno. Tutto e il contrario di tutto si addice all’amore, sostanza e forma, atto, potenza e speranza della nostra vita, il vero significato che siamo in grado di attribuirle.

È l’amore il protagonista di “Asmà e Shadi”, (“Asmà e Shadi. Preziosa come la luna nel disincanto del sogno”, Pellegrini editore, 2013)  per presentare il quale null’altro si dovrebbe usare che un’altra poesia, perché poesia è, elevatissima, proprio perché si libra oltre la concretezza dei due protagonisti che nel loro scambio continuo di sguardi, brividi e silenzi disegnano la storia che ciascuno di noi ha vissuto (o forse si è augurato di vivere), compreso un epilogo che si vorrebbe evitare con ogni forza, ma talvolta è possibile.

Se preziosa sei stata

Ora non più

nel giardino delle lune cadute”.

Agli struggenti, eppure semplici, versi di Manuz Zarateo, Pierfranco Bruni affida l’esordio del suo afflato poetico, lasciato in particolare libertà a seguire Asmà e Shadi che da protagonisti della storia, gradualmente divengono comparse dinanzi all’avanzare del loro amore, che occupa, quasi ingombra la scena, come un prepotente primo attore che non lascia spazio a null’altro, una volta alzato il sipario della vita, un palcoscenico in cui tutti siamo chiamati a recitare la nostra parte, scegliendo di rischiare nel rivestire il ruolo primario, ovvero di lasciarsi esistere sullo sfondo, nell’ombra grigia e nebbiosa della vita senza amore.

Non è certamente casuale la scelta di ambientare questo amore tra i profumi e i suoni dell’Oriente, se ha un senso ambientare l’Amore, circoscriverlo se non un tempo, almeno in uno spazio riconoscibile ai nostri stereotipi culturali, in grado di evocare immagini e reminescenze sfocate, eppure precise.

Oriente, culla della nostra cultura, del nostro linguaggio, delle nostre categorie mentali e semiotiche. Per quanto ormai distante nel tempo e soffocato dallo spesso substrato della nostra articolata filosofia, il mondo orientale suscita in noi un fascino al quale ci è difficile sottrarci, proprio come non riusciamo a pensare di privarci della nostra identità profonda.

 

L’Oriente è il palcoscenico privilegiato ed insieme primordiale su cui, da un tempo antecedente alla nostra cognizione di tempo, si eleva l’interrogarsi dell’uomo sul perché del mondo e della vita, sui grandi temi etici, religiosi, esistenziali: quegli stessi che concepiscono la conoscenza in ragione della salvezza e della liberazione dell’uomo dai vincoli terreni, quella che consiste nel passaggio dal samsara¸ la vita ingannevole e imperfetta di questo mondo, a quello del nirvana, la Realtà vera, basica, assoluta, quella della sapienza originaria, pura, fondante.

Questo è lo sfondo, intatto, senza tempo, in cui pure Asmà e Shadi diventano archetipi degli amanti di ogni tempo e di ogni luogo, indifferenti allo spazio e al tempo, liberi da ogni vincolo umano, eppure così fragili e carnali, eterei, eppure caldi e appassionati.

Una eraclitea sintesi degli opposti che, attraverso l'amore, rievoca e ridisegna la legge sottesa al mondo che risiede nel rapporto di interdipendenza tra due contrari, che in quanto tali, lottano tra loro ma, nello stesso tempo, non possono fare a meno l'uno dell'altra, poiché l'uno esiste in virtù dell'altra.

Ciascuno dei due può essere definito solo per opposizione, prima, e per sintesi, poi. Non esisterebbe Shadi, se non dapprima contrapposto e poi fuso in Asmà, sua antitesi, mancanza e completamento.

Nello scorrere dei versi, Asmà prende gradualmente corpo e definizione solo in rapporto a Shadi, e viceversa: da individualità opposte, antitetiche per antonomasia, progressivamente le due entità corporee e spirituali si fondono fino a sancire il passaggio dallo statico “essere” al dinamico “divenire”, dall’essere non al dover, ma al poter essere, responsabili ed appagati da una scelta continua che si espone anche al rischio del non essere, ma proprio in questo perpetuo volere trova la sua essenza.

Ritroviamo lo Yin e lo Yang del pensiero cinese, i due emblemi di ciascuna coppia di opposti che interagendo e dando vita al nuovo, generano ogni Realtà e danno il vero accesso all’eternità, attraverso la loro sintesi: la realtà diventa “consenso delle parti”, armonia dei contrari, ordine consonante.

É quasi scontato il ripensare alle pagine del platonico "Simposio", allorché Eros non viene descritto da Socrate come un dio, poiché rappresenta un desiderio di raggiungere la bellezza per effetto, evidentemente, di una mancanza.

Eros non é per questo perfetto come un dio, ma un daimon, né divino, né umano o meglio, né solo divino, né solo umano, che aspira in continua tensione a realizzare il bene, ovvero l'assoluto, unico, perfetto, eterno e immutabile.

E torna in mente la famosissima narrazione di Aristofane che esprime la sua idea di amore, raccontando il mito delle metà con cui ci illumina sul potere di Eros che, a dispetto del fatto di non essere un dio, è in realtà il più importante amico degli uomini, l’unico in grado di soccorrerli e farli guarire dai mali dell’esistenza, soprattutto l’unico a cui possiamo chiedere felicità.

Asmà e Shadi, allora, non solo individui, ma archetipi di umanità che è sempre diversa, ma sempre identica a se stessa, quando ama che è lo stesso che dire “quando sperimenta la felicità”.

Asmà e Shadi che sono pronti all’itinerario magico della relazione, al viaggio che in realtà è una partenza solo quando sono realmente consapevoli di se stessi: Asmà che, si è già spogliata di fronte allo specchio della verità, donando a Shadi la propria coscienza femminile.

 

“Tu mi conosci

e sai la mia storia, le mie nuvole, la mia nebbia”.

 

 

Dal canto suo, Shadi è l’uomo che eroicamente ha liberato la sua anima, scendendo agli inferi del proprio inconscio, facendo i conti con le proprie paure, i propri errori, toccando il fondo per riemergere, pronto a fondersi con l’eroina.

 

“Restami nell’incantesimo

Preziosa come la luna

Nel cuore dei deserti che ho camminato

Senza cercarti

Ma come destino ritrovato […]

Il sogno non teme il tempo

Nel tremore del disincanto”.

 

I due amanti, le due metà che instancabilmente si cercano, dopo aver trovato se stessi preparano la sublime armonia e perfezione della propria unione, l’unica possibilità di dare scopo alla propria esistenza, la meta divina dell’autorealizzazione, il platonico androgino, l’ermetico Rebis che emerge compositum de compositiis.

Anche Asmà e Shadi, proprio in quanto archetipi dell’uomo e della donna, sottostanno alle regole e agli ostacoli dell’amore che, per essere vero e completo, presuppone che gli amantes pervengano all’incontro avendo percorso fino allo stesso grado di maturazione e integrazione lo sviluppo della propria individualità.

Solo questa isocronia di percorsi garantisce che Asmà e Shadi, l’Io e il Tu, siano perfettamente trasparenti l’uno all’altra, in cui l’uno conosce l’altra senza parole, in una fusione integrale eterna e divina.

 

“Ma sei amore, amore mio

Nell’orizzonte di pioggia

Nel colore di terre al sole.

Mai ti perderò

Concedimi il tuo silenzio nel mio silenzio”.

 

Asmà e Shadi archetipi che rappresentano l’uomo e la donna ideali, ma anche reali, l’uomo e la donna che non sempre giungono all’incontro con lo stesso patrimonio derivante dal confronto con la parte oscura di sé.

E allora quello stesso silenzio che evoca l’amore vero è profondo, quello che non ha bisogno di parole, che è immediato, senza mediatori, né mediazioni, tangibile, istantaneo, diventa macigno di incomunicabilità.

Esseri veri, Asmà e Shadi, anche nella sofferenza della disillusione, nella scoperta che illusorio può essere l’incontro, se a dettarlo è solo la passione e non la consapevolezza di sé.

 

“Se tu mi parli

Ed io non ti ascolto

Non chiedermi

Perché il mio sorriso

Ha il sale del silenzio

Domandati soltanto

Se a scioglierti i capelli

È stato il vento

Della mia sera

O l’inganno del deserto.

Non mi ascoltare

Se non mi senti

Amore mio”.

 

Nessuno di noi può davvero leggere questi versi senza sentire un nodo alla gola, un’emozione pervasiva e dolente, la stessa sensazione di impotenza provata davanti ad una perdita definitiva, quasi come se volessimo prendere le mani della persona amata tra le nostre e le avvertissimo scivolose, incapaci di trattenerla. E del resto, perché trattenerla?




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