Cosa sono i
Mediterranei? Tra storia letteratura etnie. Per parlarne bisogna conoscerli,
averli abitati, averli attraversati altrimenti è meglio raccontare di
peperoncini appesi alle finestre
di Pierfranco Bruni
Quali
sono le condizioni per un Mediterraneo condiviso? Il dilettantismo, in un tale
argomento, occupa ormai lo scenario. Occorrono vissuti profondi per raccontare
i Mediterranei. Non è possibile o pensabile discutere dei (o nei) termini
culturali del Mediterraneo, pur in una sempliciotta visione letterarie, se non
si raccordano nodi e snodi, gordiani o meno, che hanno radici storiche,
archeologiche, linguistiche, antropologiche, economiche, finanziarie che hanno
intrecciato popoli e civiltà: dalla Mesopotamia ad oggi.
Ormai
discutere di Mediterraneo è diventato come disquisire sulle cipolle di Tropea o
sui peperoncini calabri o tunisini. Smettiamola con il fatto che tutti possono
disquisire di geo-politica in una visione mediterranea. Bisogna conoscere, ma
per conoscere non bisogna aver letto un’antologia o due o tre. Bisogna aver
visitato quei luoghi. Bisogna aver abitato quei contesti. Bisogna aver
penetrato le coscienze di un Mediterraneo che è Siria ma anche Omero, che è la
Striscia di Gaza ma anche la Cappadocia, che è letteratura albanese (sì, perché
l’Albania è un mondo balcano nella storia dei processi ottomani mediterranei),
che è il Regno di Napoli con Corrado Alvaro che offre le straordinarie
immagini di Istanbul e Ankara, ma anche il vento del Libano, le strade di
Siviglia, la roccaforte di San Paolo a Malta.
Smettiamola
di parlare di Mediterraneo per entrare nella ovvietà. Non serve un
dilettantismo, dicevo, fatto di parole, perché anche in letteratura non c’è un
solo Mediterraneo, come non c’è un solo Mediterraneo nella visione di Braudel,
perché il rapporto tra etnie e religioni è imprescindibile da una struttura che
sia letteraria o antropologica. Ci vuole attenzione e conoscenza,
professionalità e saperi.
È
da trent’anni che lavoriamo su questioni relative al rapporto tra etnie,
letteratura e mediterraneo ed è da decenni che pubblichiamo testi con relativi
bilanci su una tale questione e non smettiamo mai di approfondire, restare
estasiati, rimanere rattristati in quelle realtà cangianti tra il gioco dei
colori, la misura del tempo e la cifra dello spazio.
Albert
Camus che ha inventata la linea meridiana era un grande conoscitore del
Mediterraneo nella coscienza dello straniero e nella caduta delle rivolte. Carl
Schmitt in “Terra e mare” ha disegnato l’inizio e la fine del Mediterraneo. Il
Mediterraneo è fatto di voci. Ma il Mediterraneo, si comprenda bene una volta
per tutte, non è il musulmano, il cristiano, il bizantino che proviene da una
geografia ben definita.
Il
Mediterraneo è anche il Pascoli che legge e introduce la storia del Novecento
moderno in una Mediterraneo della linea magrebina. È anche Enrico Pea che
dedica le sue pagine più belle all’Egitto. È il Ludovico de Varthema che ci fa
compiere quel “meraviglioso” viaggio alla Mecca.
Ma
di quale Mediterraneo si vuole parlare? Ho partecipato a centinai di incontri
in tutto il mondo discutendo dei Mediterranei esclusi e dei Mediterranei
includenti. Ma il concetto di condivisione esula da qualsiasi interpretazione
che possa avere alla base la profondità della conoscenza. L’etnia e la lingua
sono un dato di fatto. Come è un dato di fatto l’intreccio tra la fuga,
l’esilio e la nostalgia.
Il
mondo Mediterraneo è un intreccio tra realtà araba, musulmana, islamica,
cristiana. Ma anche in termini culturali non basta puntare lo sguardo su questi
semplici elementi. Siamo nostalgici dei dervisci, ma per capire io dervisci
abbiamo bisogno di aver capito Rumi e Kajjam in un intreccio tra Oriente ed
Occidente.
Il
punto nevralgico della visione di una mondo e di una identità nelle identità
del Mediterraneo è la consapevolezza di essere occidentali, non in una visione
terzomondista, negli Orienti che non solo sono civiltà frontaliera, ma sono ben
strutturati in un processo culturale che trova la sua sintesi contemporanea in
Italia, come ho avuto modo di sottolineare in una mostra su “Donne
mediterranee” presentata su Rai Uno recentemente, attraverso tre processi
storici: il Regno di Napoli e l’Unità d’Italia, che nasce sotto la spinta di
conquista del Mediterraneo, la guerra giolittiana la cui fase, come preannunciò
Pascoli nel 1911, termina con la Grande Guerra, l’occupazione dell’Africa e
dell’Albania da parte del Fascismo e l’importanza che ha avuto Italo Balbo nel
mediteraneizzare l’Africa.
Tutto
ciò che è avvenuto dopo nasce sotto la spinta di un Occidente americano ed
europeo sino alla primavera di Tunisi e alla “rivoluzione” in Libia, compresa
la Guerra del Golfo, con la morte di Gheddafi.
Non
si può prescindere da ciò anche in letteratura. Soprattutto per una letteratura
che è metafora della fuga, del viaggio, dell’esilio, della estraneità, della
religiosità portata alla tragedia con il 2001.
È
dentro questa constatazione che si fonde vita, storia, letteratura tra poesia e
racconto. La letteratura diventa un innesto di un linguaggio esistenziale che è
linguaggio di lingue, di etnie, di tradizioni. Si tratta di un’antropologia
vissuta sulla conoscenza e non sulla lettura soltanto.
Ecco
perché orami, dopo una vita spesa viaggiando e lavorando con le culture dei
Mediterranei, diffido sentir parlare di Mediterraneo e di raccontare il
Mediterraneo soltanto attraverso la lettura di pagine di libri o dalle singole
voci di testimoni che sono nate sulle sponde del Mediterraneo soltanto.
Per
dare un senso ad un Mediterraneo, che non potrà mai essere capito attraverso la
versione della condivisione, bisogna averlo penetrato, bisogna aver penetrato
i Mediterranei, bisogna aver frequentato i luoghi: dalle Medine ai deserti, dai
Camini delle Fate alle Moschee. Essersi incontrati e scontrati con il mondo
musulmano e islamico. Aver osservato le Gerusalemme e i mari che toccano i
deserti di Tunisi, aver capito che la Macedonia e il Kosovo sono in un Oriente
islamico e in una ambiguità cattolica sino a toccare l’ortodossia di Cipro.
I
Mediterranei sono una letteratura inafferrabile e quando riusciremo a trovare
il legame tra queste geografie o la definitiva discordanza tra gli Oceani e
l’Adriatico e il Tirreno, che sono nell’abitazione dei Mediterranei, possiamo
cominciare a muovere qualche tassello del vasto mosaico anche sul piano della
consapevolezza.
Ci
vuole conoscenza e frequentazione, capacità interpretativa e molto coraggio.
Non basta una lettura tra fogli di libri per discutere di Mediterraneo. Altrimenti
è più semplice dialogare di peperoncini appesi alle finestre come cantavano
Fabrizio De André e Mia Martini o di danze recitate da Franco Battiato, che ha
abitato il Mediterraneo tunisino.