Senza “espropriare” i docenti delle loro competenze i
beni culturali devono essere riferimento per la scuola italiana. Una politica
tra conoscenza e valorizzazione che il Ministro Franceschini dovrà portare
avanti
di Pierfranco Bruni
Senza espropriare i docenti
degli Istituti superiori delle loro capacità e del loro ruolo ricominciamo
dalle culture. Dunque. Se nel mondo scolastico entrano le specificità e le
capacità degli esperti dei beni culturali la cultura italiana non potrà che
avvantaggiarsi. La politica dei beni culturali deve necessariamente collegarsi
con quella scolastica. Ha ragione il Ministro Dario Franceschini ad offrire
professionalità che provengono dal mondo dei beni culturali come modelli di
esperienze ed esperti nei vari campi disciplinari: dall’archeologia all’arte,
dall’antropologia all’archivistica, dalla musica allo spettacolo.
Gli Stati Generali della
Cultura devono servire ad un confronto a tutto tondo tra i vari campi delle
culture. Nella scuola bisogna poter insegnare anche archeologia come
metodologia per capire la storia antica. Non può farlo soltanto un docente. Necessitano
professionalità altre. Così come parlare della storia dei popoli in un
contesto, oggi più che mai, di geopolitica bisogna “interpellare” un esperto di
discipline antropologiche lavora sul campo.
Il Ministero dei beni e delle
attività culturali e del turismo non ha soltanto una attrezzata visione
scientifica della cultura. Ma sa applicare metodologie didattiche e pedagogiche
all’interno di una interpretazione sia storica, che ha rimandi chiaramente
all’archeologia, sia letteraria sia artistica. Nel campo letterario il Mibact
ha delle alte professionalità che vivono il confronto con le realtà,
soprattutto quando si parla di letteratura contemporanea. Così come per l’arte.
L’alta specializzazione non può che venire dallo storico dell’arte e dallo
studioso che “gestisce” elementi artistici applicati al territorio.
Deve darsi una “rivoluzione”.
E Dario Franceschini è ben consapevole di questi nuovi processi che si
sviluppano all’interno del contesto attuale. Insomma la scuola non può vivere
la sua “solitudine” applicata ai testi scolastici, al di qua o al di là delle
cattedre e delle aule scolastiche, ma deve confrontarsi con quel mondo che la
cultura la fa, la pratica, la diffonde.
È naturale che restano due
professionalità completamente diverse sia per formazione che per articolazione
di modelli culturali. Ma occorre recuperare, giustamente, il valore dell’arte
come bene culturale e quindi patrimoniale, il valore della musica come
espressione di una realtà moderna e contemporanea e la letteratura in un
confronto comparato che deve andare molto oltre gli schemi scolastici.
Una visione alla quale il
Ministro guarda, credo, con molta attenzione attrazione. Ma anche la Pubblica Istruzione deve rivedere la sua impostazione.
Insomma bisogna dare
centralità ai beni culturali nel mondo della scuola perché la scuola deve poter
entrare nelle culture comparate. Il bene il culturale, oltre alla tutela, ha
sempre proposto un processo di valorizzazione e di conoscenza delle culture
attraverso una visione, a tutto tondo, del rapporto tra identità nazionale,
Europa, Occidente ed Oriente e territorialità.
Sarebbe un contributo
notevole offerto anche ai docenti delle varie discipline ai quali andrebbe il
merito della metodologia didattico – pedagogica.