Nell’identità della lingua l’invisibile della presenza
e dell’assenza:
Pirandello nel gioco delle maschere
di Pierfranco Bruni
Alla
ricerca del personaggio perduto. Una sottolineatura che Luigi Pirandello
avrebbe inserito in quei personaggi che, per resistere al gioco del tempo,
devono percorrere la strada della ricerca dell’autore. Il personaggio, il più
delle volte, anche quando resta in silenzio, ha quotidianamente bisogno della
parola. Ovvero della lingua. Ovvero dei linguaggi che sono un intreccio di
archetipi e di tradizioni in un logos antropologico.
La
lingua di Pirandello dialoga con le radici delle sue appartenenze (quindi con
le sue città in una Sicilia profondamente e archeologicamente mediterranea) e
con un vocabolario fatto di apparenze, ma che, in sostanza non ha apparenza
bensì ha il riflesso della società nello specchio del suo sguardo. Uno sguardo
che diventa coscienza.
Dialoga,
così, ancor di più con la letteratura. Con quella letteratura che ha una base
fortemente greco – romana e prima ancora araba, ma tocca anche derivazioni che
partono da Dante, Ariosto, Machiavelli, Tasso.
Tra
Dante e Machiavelli, Pirandello individua il suo percorso che vive di “vuote
favole”, come egli stesso afferma, per intrecciarsi in una estetica che ha
connotazioni antropologiche.
Legge
in Machiavelli il connubio tra la difficoltà della società ad apprendere un
linguaggio che abbia una sua valenza letteraria, ma è proprio in Machiavelli
che rintraccia il superamento dell’ironia in favore del mero umorismo nella sua
teatralità quotidiana.
Legge
in Dante la Intuizione che non è solo l’interpretazione del vortice delle
cantiche, ma è nella trasparenza del risvolto della “nova vita” che diventa,
tale Intuizione, un rinascimento di un uomo che vive tra apparenza e realtà.
Non
cerca la verità. Il così è, se vi pare è proprio il retro cavo dello
specchio e non conosce la possibilità di poter dialogare per raggiungere una
probabile verità. Accetta la realtà sommaria, infilandola nel dubbio
dell’apparenza.
Forse
è qui il ricercare una lingua che sia e resti lingua nazionale, attraversandola
grazie agli strumenti di una cultura letteraria. Per cultura letteraria,
Pirandello si lascia alle spalle la formazione umanista per un risorgimento
dell’antichità classica, si deve intendere il rapporto tra ciò che la lingua
mostra e ciò che si sente e si esprime con il linguaggio.
Proprio
per questo, Pirandello, non perde mai il contatto con quella lingua che giunge a
Dante e la rivoluziona nei codici della letteratura. Il “traghettare”
linguistico di Dante, nel quale Pirandello si identifica come interprete di un
Otto – Novecento che ha bisogno di non dimenticare la classicità ma ha pure la
necessità di creare una parola moderna che possa avere uno stile e una eleganza,
diventa così il centralismo della parola dialogante.
Giunge
a Pirandello con la teatralità di Machiavelli e, soprattutto, con la follia di
Ariosto e con la profezia di Tasso. Ma la sua versione rivoluzionaria è
nell’umorismo che applica ai concetti di vita e di morte. Il suo Mal
giocondo è proprio un gioco nell’ironia e si avvale, già nella poesia,
della consegna della maschera al lettore.
Quella
maschera, “or compunta” e “or gioviale” (di chiaro richiamo dannunziano), si
indossa per apparire come altro, ma l’altro è già una apparenza che ferisce il
tempo in virtù di una memoria che ha la follia della recita ariostesca.
Definendolo
come personaggio moderno, Pirandello si impossessa della lingua ed è la lingua
che diventa teatro, è la lingua che manifesta i personaggi, è la lingua che
rende Mattia Pascal presente e invisibile o visibile e assente. Ma tutto ciò
rientra nella identificazione del personaggio perduto?
Il
personaggio è lingua perché è anche una eredità di parole, ma si scontra e si
conta con il tempo. Siamo nel passaggio in cui la lingua resta identità
nazionale, in una cultura che, per vivere la “sua” società, ha bisogno,
naturalmente, di farsi lingua letteraria. Pirandello fa di tutto questo un
archetipo. Un archetipo estetico, piuttosto che un archetipo morale.
Il
suo teatro, che nasce dentro la poesia, è l’estetica del visibile
nell’invisibile dell’incontro tra l’assenza e la presenza. Nell’identità della
lingua l’invisibile della presenza e dell’assenza permette alla maschera
pirandelliana di diventare gioco. Forse un “mal giocondo” in mal giocando.