21/06/06
Nella nostra fabbrica (la INNSE Iniziative),l'ANPI ha chiesto alla rsu di poter far fare un'assemblea sul prossimo referendum sulla costituzione,al vice presidente provinciale dell''ANPI Antonio Pizzinato.
la rsu intendendo prendere una sua posizione autonoma su questa questione ha fatto un comunicato che vi allego.
cordiali saluti
rsu INNSE Iniziative
Costituzione: quali modifiche
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21/06/06
Costituzione
Costituzione:
quali modifiche?
Per quale
motivo gli operai Il 25 26 giugno 2006 dovrebbero esprimersi andando a votare al
referendum che intende riformare la Costituzione
Italiana?
Quali e quanti vantaggi ne ricaverebbero
dall’esprimere un no od un si a questa riforma?
La riforma è stata voluta e varata dal
centrodestra e chi ha votato per battere Berlusconi e soci, troverà naturale
dire no alla loro riforma costituzionale. Ma occorre dire qualcosa sulla
Costituzione in sé. La Costituzione italiana è stata varata nel 1948 come
mediazione tra le forze sociali che avevano combattuto nella resistenza, le
forze politiche che erano sopravvissute al fascismo ed elementi della borghesia
che intendevano salvaguardare completamente la struttura
capitalista.
Nella realtà i rappresentanti dei padroni,
non fecero nessuna concessione nello scrivere la Costituzione, se non qualche
formale riconoscimento per il lavoro in astratto, anche se i partiti che
rappresentavano la classe operaia sostenevano che la nuova costituzione nata
dalle ceneri del fascismo era una svolta democratica a favore delle classi
oppresse. Dissero che conteneva in sé la possibilità di un miglioramento della
condizione generale delle classi lavoratrici.
Niente di più sbagliato, la nuova
costituzione del 1948 si è rivelata come una costituzione classica borghese, che
sancisce il diritto allo sfruttamento degli operai, alla proprietà privata e a
tutte le leggi che consentono l’accumulazione del
capitale.
A distanza di quasi sessant’anni una
frangia della borghesia e del padronato italiano ha deciso una modifica, per
centralizzare di più il potere governativo e per decentralizzare la gestione di
alcuni servizi sociali, dando più mano libera ai gruppi di borghesi locali. Il
fatto grave è che si parla di modifiche da apportare dopo il referendum,
coinvolgendo tutti e cioè facendo un accordo anche con il centrodestra. Le
modifiche che verranno fuori non favoriranno sicuramente le classi più povere
della società.
Noi chiediamo invece un impegno, se si vuol
mettere mano alla costituzione, perché non iniziare dal diritto al lavoro, (art.
4 principi fondamentali) e rendere anticostituzionale la Legge Biagi ad esempio?
Perché non iniziare col dare un contenuto al diritto ad una dignitosa condizione
economica (art. 36 titolo 3° rapporti economici), rendendo fuorilegge i salari
di fame oggi in vigore nell’industria?
Se Pizzinato volesse riportare queste
nostre richieste ai difensori della Costituzione farebbe un gesto dalla parte
degli operai e gli è ne saremo riconoscenti.
In questi giorni in molte fabbriche gli operai esposti sono chiamati a sostenere, sottoscrivendo una petizione popolare, una nuova proposta di legge sull’amianto, presentata dai parlamentari Casson e Malabarba.
Il governo Berlusconi ha notevolmente peggiorato, con il D.L. n. 269 del 2003 la legislazione fino ad allora vigente per gli esposti all’amianto, cioè la famosa legge 257/92, che, per ammissione degli stessi Casson e Malabarba, è stata solo parzialmente attuata. In realtà la 257 poco ha dato agli operai esposti, basti pensare alle migliaia di contenziosi aperti. L’intervento del governo Berlusconi ha ulteriormente peggiorato la situazione 1) riducendo il coefficiente di moltiplicazione dei benefici pensionistici da 1,5 a 1,25; 2) limitando gli stessi benefici al solo importo delle prestazioni pensionistiche e non più anche alla anticipazione del diritto di accesso alla pensione; 3) stabilendo una scadenza perentoria, il 15 giugno 2005, per richiedere l’accesso ai benefici, pena la perdita di ogni diritto agli stessi.
Rimettere mano alla questione degli esposti non può che partire dalla cancellazione di queste inique misure, ma questo non è certo l’intento di Casson e Malabarba. Invece di ripristinare la situazione precedente l’intervento del governo di centrodestra ed apportare le necessarie modifiche alla legge 257 a favore degli esposti (ad es. aumento della misura del risarcimento, eliminazione della barriera dei 10 anni di esposizione, nuove modalità di accertamento dell’esposizione finora in balia degli arbitri e delle prepotenze dell’Inail), la nuova proposta di legge accetta in sostanza l’impianto delle modifiche berlusconiane, proponendo solo delle parziali e insufficienti correzioni.
Infatti,
1) La riduzione del coefficiente di moltiplicazione da 1,5 ad 1,25 viene confermata. Per 10 anni e un giorno di esposizione non si ha più un abbuono di 5 anni, ma solo di 2 anni e mezzo. Si aggiunge però la possibilità agli esposti per un periodo inferiore ai 10 anni di accedere ad una forma di risarcimento. Il nuovo testo di legge prevede infatti, anche un contentino per quelli che non hanno accumulato i dieci anni: 1,10 per i primi cinque anni, cioè sei mesi, e 1,15 per i secondi cinque anni, cioè nove mesi. Chi ha accumulato quindi, giusto dieci anni di esposizione, ha diritto a un beneficio di quindici mesi, una miseria. Con la rivalutazione del solo periodo di “esposizione” vengono a cadere per tutti, inoltre, i presupposti delle cause sulla “continuità”, cioè la possibilità di far valere il coefficiente moltiplicativo non solo per il periodo in cui si è stati esposti all’amianto, ma per tutto il periodo trascorso in fabbrica, possibilità finora confermata da moltissime sentenze favorevoli.
2) L’eliminazione del doppio effetto dei benefici, sia per la determinazione dell’importo della pensione che per l’anticipo all’accesso di questa, viene confermata, dando solo, rispetto alle modifiche di Berlusconi, la possibilità agli esposti di scegliere fra l’uno e l’altro tipo di beneficio. Ciò equivale, nei fatti a costringere tutti gli esposti ad accettare il mero incremento degli assegni pensionistici, come voleva Berlusconi, visto il livello delle nostre pensioni.
3) Si accetta di porre una scadenza per la richiesta dei riconoscimenti. Berlusconi l’aveva fissata al 15/06/04, il nuovo testo la posticipa al 31/12/06. Perché? Se un lavoratore conosce dopo anni quello che ha subito lavorando l’amianto, perché non può fare richiesta di riconoscimento? Quello che non trova risposta nella logica la trova nel denaro. Per salvaguardare le casse dello stato si impone la solita sanatoria che esclude di fatto migliaia di operai. L’aggiunta di non prevedere una scadenza per chi ancora lavora a contatto dell’amianto, perché impegnato nelle bonifiche, è una ovvietà che ci viene propinata come “grande misura”
4) Si accetta l’assurdità giuridica, imposta per legge da Berlusconi, che ad accertare l’esposizione sia l’Inail, cioè lo stesso ente coinvolto nell’esborso dei risarcimenti e che quindi ha tutto l’interesse a limitare i riconoscimenti. Si affianca però a questo anche le ASL, che finora a nulla sono servite nella prevenzione del rischio amianto, figuriamoci come potranno accertarlo! Intanto, non viene data nessuna indicazione su come accertare l’esposizione. I modi in cui è avvenuto l’accertamento sono stati, in passato, il maggiore ostacolo al riconoscimento dell’esposizione, per mancanza di documentazione da parte delle aziende coinvolte che, spesso, erano ormai chiuse. Come si deve provare l’esposizione? Questa è la domanda che interessa i lavoratori esposti. La mancanza di una proposta chiara non è un buon segno.
Continuando nell’analisi critica della proposta di legge, bisogna dire che con l’art. 2, il nuovo testo di legge ripropone la costituzione di un “fondo per le vittime dell’amianto”. Lo fa con il solito modo filo padronale. I guai li hanno creati gli industriali, ma dovrebbero partecipare al fondo solo per un quarto, i restanti tre quarti ed oltre sarebbero a carico dello stato. Un bel modo di socializzare a costo zero le spese. Nessun discorso viene fatto sulla possibilità di rivalsa delle moltissime aziende, che non denunciando le lavorazioni di amianto hanno per decenni evaso il pagamento dei premi Inail.
Si salvano le imprese anche sul danno biologico che in questi anni, ha fatto spendere loro un po’ di soldi, comunque pochi rispetto ai danni causati. Con il nuovo testo le imprese non pagherebbero più nemmeno questo “poco”, perché il danno biologico verrebbe indennizzato dallo stato sulla base di tabelle riduttive.
L’unica nota positiva del nuovo testo è l’attenzione che viene posta sullo smaltimento dell’amianto presente nei manufatti. Porre la cosa non significa però risolverla. Dovendo sempre guardare ai conti pubblici, il testo propone coperture finanziarie per la bonifica degli edifici che fanno ridere rispetto alla enormità del problema. A titolo di esempio, il testo prevede per la bonifica degli edifici pubblici, trenta milioni di euro che non bastano a bonificare nemmeno qualche decina di scuole.
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7/06/06
Draghi, Prodi e gli altri commissis delle multinazionali : per non
dimenticare
CHI è DRAGHI ,NEO GOVERNATORE DELLA
banka D'ITALIA ' e' chi è romano prodi ? per non dimenticare e per
schiarirci le idee (soprattutto coloro che hanno votato prodi e
company) e rimboccarci le maniche senza arretrare. Detto in altre
parole: chi era ( e chi è ) il vero nemico ? Come diceva claudio lolli
" il nemico marcia alla tua testa " dobbiamo vedere nonsolo dietro
ma....chi marcia alla testa del proletariato . masssimo di operai contro
roma
L'ECONOMIA ITALIANA IN MANO AI....DRAGHI
Luigi
Tedeschi
Fatti e misfatti di Bankitalia. Il 2005 ha segnato una
svolta nella politica italiana: le dimissioni di Fazio da Bakitalia e la
nomina alla presidenza di Draghi è stato l'evento culminante di una lunga
stagione politica iniziata nel '92/'93 con tangentopoli, che ha visto il
progressivo smantellamento delle strutture politico – economiche nazionali
a favore del capitalismo finanziario globale. Tale evoluzione dell'Italia, è
esaltata dai media e dalla classe politica, come un fase
del coinvolgimento dell'economia italiana nel processo di globalizzazione
mondiale che non tollera ostacoli al primato del dell'occidente capitalista
dominato dagli USA. La vicenda Fazio, legata alla scalata
degli immobiliaristi e della Unipol alle banche Antonveneta e BNL e della
difesa ad oltranza messa in atto dall' ex governatore per impedire l'ingresso
di banche straniere nel sistema lobbistico italiano, si riassume in uno
scontro frontale tra i gruppi della finanza italiana (sostenuta dai partiti
di sinistra e dalla Opus Dei), e quelli legati al capitalismo laico
e internazionale. La vittoria di questi ultimi, sancita dalla nomina di
Draghi a governatore di Bakitalia, apre nuovi scenari in tema di controllo
del sistema creditizio italiano da parte della finanza trasversale di
gruppi quali Bilderberg, Rothschild, Goldman Sachs. E'dunque d'obbligo una
riflessione sul ruolo politico-istituzionale ricoperto da Bankitalia,
alla luce del quale possono essere comprese le logiche e le conseguenze
relative a questo scontro tra “poteri forti”. Bankitalia, a seguito del varo
dell'euro, non è più istituto di emissione monetaria e, dopo il trattato
di Maastricht, non ha più il potere di determinare i tassi d'interesse. A
parte la sua funzione di controllo sul credito e sul risparmio, peraltro
esercitata in modo alquanto discutibile (come testimoniano i vari scandali
dai bonds argentini, a Cirio e Parmalat), la sua azione è puramente
esecutiva delle direttive della BCE. In questo contesto, in una Italia
privata della sovranità economica e monetaria, i compiti di Bankitalia
sono nei fatti indefiniti. Essa ha esercitato, nella realtà, dopo la
nascita della UE, il ruolo di influenza finanziaria su ispirazione dei gruppi
di pressione palesi ed occulti, impartendo direttive prammatiche ai
governi nella relazioni annuali del governatore. Questo nuovo ruolo,
determinante nella politica italiana, si è affermato di fatto dagli
anni di tangentopoli e i governi “tecnici” susseguitisi (da Dini a Ciampi
che non a caso è divenuto Presidente della Repubblica), sono stati diretta
emanazione di Bankitalia. Essa è stata protagonista del
mutamento istituzionale realizzatosi in Italia che ha comportato il
primato della economia finanziaria nel governo del Paese. Tramite Bankitalia
quindi, si è affermato un potere politico indipendente dal consenso
popolare. Sin dalla nascita della Repubblica, l'istituto ha svolto le sue
funzioni in piena autonomia rispetto alla politica, come previsto dal suo
statuto, ma il suo ruolo istituzionale è svincolato dallo Stato, dato che
il Tesoro non ne controlla la maggioranza delle quote. Bankitalia è
controllata dalle grandi banche quali Unicredito, Intesa, Capitalia, San
Paolo. Finché le banche d'interesse nazionale erano controllate
dallo Stato tramite l'IRI, il potere statuale aveva un'influenza
determinante sull'istituto, ma poiché il sistema bancario (già controllato
dallo Stato per il 70%), è stato privatizzato, Bankitalia è oggi un organo
di vigilanza i cui soci, in aperto conflitto di interesse, vigilano su se
stessi. La sovranità economica è dunque delegata ad un organismo privato
e la mancata tutela del risparmio evidenziatasi negli scandali degli
ultimi anni ne è la prova. In tali circostanze infatti, le banche, tramite la
conversione dei loro crediti in titoli ceduti ai risparmiatori, hanno
riversato il rischio sui cittadini, che si sono trovati ad essere spogliati
dei loro risparmi.
Ciampi e Draghi: i protagonisti dello Stato svenduto
e “privatizzato” Bankitalia è stata protagonista della politica
di privatizzazione delle partecipazioni statali inaugurata da Ciampi nel
'92. tali politiche hanno portato allo smantellamento dei settori
strategici dell'industria, della ricerca, alla fine degli investimenti
nelle grandi opere pubbliche. Ciampi nel '92, per fare fronte ad una manovra
speculativa perpetrata da Soros, per porre un argine alla svalutazione
della lira, prosciugò le riserve valutarie per ben 100.000 miliardi di lire.
In seguito ebbe luogo il summit sul panfilo Britannia, cui partecipò, tra
glia altri, Mario Draghi, quale direttore generale del Tesoro ed esponenti
delle banche Berings, Waburg, Barclay, ecc, ove fu deliberata la
privatizzazione delle partecipazioni statali e vennero conclusi accordi circa
la svalutazione della lira. Infatti, le privatizzazioni furono realizzate
dopo una svalutazione della lira del 30% circa, quindi a condizioni di
svendita fallimentare da parte dello Stato. Oggi si attribuisce a Draghi
il merito di aver concluso dismissioni per 182.000 miliardi di lire, che
costituirono entrate sufficienti a far diminuire il debito pubblico
dal 125% al 110% del Pil. Occorre osservare che, mentre la voragine del
debito pubblico ha continuato a riprodursi incessantemente, le entrate
derivanti dalle dismissioni servirono a ricostituire parte delle riserve
valutarie già bruciate nei mercati finanziari.
L'entrata in vigore
dell'euro e il “patto di stabilità” hanno accentuato la politica
delle dismissioni: i Paesi maggiormente indebitati (vedi Italia), alfine
di rispettare i parametri deficit/Pil imposti dalla UE, sono costretti
periodicamente a ricorrere alla cessione di quote cospicue del
loro patrimonio economico. Si tratta, tuttavia, di entrate una tantum a
fronte di decrementi di risorse strutturali: è questa una strategia che alla
lunga conduce al sottosviluppo. Nel curriculum di Draghi viene ascritta
la emanazione del Testo Unico della finanza che contempla
l'obbligo dell'Opa totalitaria per gli acquirenti di una quota di una
società che superi il 30%. Pertanto, chi lancia un'Opa acquista azioni ad un
prezzo uguale a quello dei piccoli risparmiatori. L'Italia nel '92 fu
oggetto di una campagna diffamatoria ordita dall'agenzia di rating Moody's
che declassò la Fiat e soprattutto i Bot italiani, contribuendo in modo
determinante alla svalutazione della lira. Esplicati di tale
situazione sono le dichiarazioni di Reginald Bartholomew (ambasciatore
americano a Roma): “Continueremo a sottolineare ai nostri interlocutori
italiani la necessità di essere trasparenti nelle privatizzazioni, di
proseguire in modo spedito e di rimuovere qualsiasi barriera agli
investimenti esteri”. Fece così ingresso in Italia la cultura liberista, che
vedeva le privatizzazioni come strumento di sviluppo dei mercati mondiali
e incitava i risparmiatori al disinvestimento dei titoli di Stato a favore
dei fondi di investimento internazionali, del mercato azionario
e obbligazionario. A quel tempo Draghi si rese responsabile della
immissione del debito pubblico nei mercati finanziari, facendo lievitare
l'indebitamento italiano verso l'estero, oggi assai rilevante,
mentre precedentemente la sua quota era esigua rispetto a quello interno.
Dai media apprendiamo che Draghi ebbe il merito di contribuire a far crescere
la capitalizzazione della Borsa italiana del 400%. Tuttavia, il
trasferimento del risparmio italiano nei mercati finanziari internazionali
ebbe l'effetto di privare l'economia italiana di ingenti
risorse necessarie allo sviluppo e contribuire a minare la credibilità e
la fiducia dei risparmiatori assoggettati al rischio dei mercati. La
successiva creazione della previdenza integrativa e la riforma del Tfr
sono varie fasi che delineano un processo di liberalizzazione ed esproprio di
risorse a danno delle imprese e dei lavoratori. L'ombra di Goldman Sachs
sull'Italia Attraverso le privatizzazioni furono smantellati settori
trainanti dell'economia italiana: il settore agro-alimentare già dell'IRI
(acquisito da gruppi inglesi, olandesi ed americani), il Nuovo
Pignone dell'ENI, la siderurgia di Stato, l'Italtel, l'IMI. Furono inoltre
privatizzate Telecom, Enel, ENI, già enti di Stato, ora attive e prossime
alla vendita a multinazionali estere. Draghi, nel mondo finanziario, vanta
un curriculum di prim'ordine, avendo operato nella banca Mondiale, nel gruppo
Bilderberg, oltre ad essere stato vicepresidente della Goldman Sachs.
Tale gruppo, già presente al summit del Britannia, ha ricoperto un ruolo
essenziale nel processo di privatizzazione delle partecipazioni statali. Non
si è allora autorizzati a sostenere che nella presenza di Draghi alla
presidenza di Bankitalia sia ravvisabile un evidente conflitto di interessi,
dato che egli, avendo ricoperto posizioni di vertice nella Goldman Sachs?
Draghi, oltre che segretario del Tesoro tra il '91 e il 2003, presiedette nel
'93 il Comitato per le privatizzazioni. Nello stesso periodo Goldman
Sachs, tramite il fondo Whitehall acquisì nel 2000 l'ingente patrimonio
immobiliare dell'ENI di San Donato Milanese, oltre agli immobili della
Fondazione Carialo e, assieme alla Morgan Stanley quelli della Unim, Ras e
Toro. Altro consulente di rilievo della Goldman Sachs è stato Prodi, il
quale, una volta asceso alla presidenza dell'IRI, realizzò la privatizzazione
della Credit tramite la Goldman Sachs, che fissò il valore delle azioni a
Lit. 2.075, meno del valore in borsa, che era di Lit. 2.230. Prodi, inoltre,
ha concluso la cessione dell'Italgel (900 miliardi di fatturato)
alla Nestlé per 437. Questo benefattore delle multinazionali si è reso
inoltre responsabile della cessione della Cirio-Bertolli-De Rica (fatturato
110 miliardi, valutata 1.350), ad una fantomatica finanziaria lucana
(FISVI) al prezzo di 310 miliardi (unica offerta), che ne garantì il
pagamento con la futura alienazione di parte del gruppo stesso.
La cessione venne effettuata successivamente nei confronti della Unilever,
gruppo del quale Prodi era stato consulente. Denunce, indagini della procura
non sortirono alcun risultato. Goldman Sachs (che ora afferma
sarcasticamente che a noi italiani è rimasto solo cibo e turismo), è dunque
il filo conduttore che lega il governatore Draghi a Prodi, probabile
futuro premier. Tra l'altro, alla vicepresidenza di Goldman Sachs,
lasciata vacante da Draghi è stato ora chiamato Mario Monti, ex commissario
UE e uomo di fiducia dei poteri forti. Politica ed economia nell'Italia
“privatizzata” La consapevole e colpevole assenza di
coscienza dell'interesse e della dignità nazionale della classe politica
italiana è palese a tutti. Alla sovranità nazionale si antepone l'interesse
della lobby, del partito, del credo ideologico. La chiave di lettura della
storia d'Italia degli ultimi 50 anni è questa: la visione ideologica e
particolare si è sempre sovrapposta all'interesse nazionale, senza valutare
la compatibilità tra l'una e l'altro. Già nel 1944, dal viaggio negli USA
degli esponenti dell'azionismo italiano Mattioli, La Malfa, Cuccia e Sforza,
latori di un memoriale in cui si delineava un'Italia antifascista,
liberale e non comunista (un Paese che non esisteva se non nei deliri
ideologici azionisti, ma comunque omologabile agli USA), si prefigurava
il destino di un Paese che sarebbe stato governato di fatto da elites
finanziarie che fossero garanti di un ordinamento subalterno agli USA e
funzionale ai loro interessi. L'economia italiana è stata per 50
anni succube di Mediobanca e del capitalismo familiare. Il regime di
economia mista si è realizzato mediante il controllo dello Stato sulle banche
d'interesse nazionale, il cui ruolo è stato quello di procurare fondi alla
grande industria privata. L'anomalia italiana è consistita nella subalternità
dello Stato verso il grande capitale privato, le cui perdite ed errori
imprenditoriali hanno gravato sulla finanza pubblica. Dopo il crollo
dell'URSS e l'avvento della globalizzazione tali equilibri vennero meno.
Alla vecchia classe politica si sostituì quella di una sinistra ex Pci
riciclata e convertitasi al credo liberista-finanziario, che potesse
garantire la pace sociale necessaria all'instaurazione di
un'economia liberista eterodiretta dalle multinazionali. La nuova classe
politica divenne intermediario politico del neocapitalismo, mantenendo
tuttavia i suoi privilegi nella sussistenza del movimento cooperativo
(di diretta emanazione diessina), che contò a godere di protezione
politica. Il recente fallimento della scalata della Unipol alla BNL è, con
tutti i suoi risvolti giudiziari, un evento indicativo di una
nuova trasformazione. Il neocapitalismo non necessita più di intermediari
per preservare un ordine da esso istaurato. La fine di certo capitalismo
nostrano cresciuto all'ombra della politica e del capitalismo assistito
sotto le mentite spoglie delle Coop, sembra ormai imminente. Il
neocapitalismo globale vuole gestire il potere economico in Italia, mediante
una politica eterodiretta che nasce dal connubio tra Bankitalia, poteri
forti e la coalizione di centro – sinistra prossima ventura. Prodi potrebbe
essere il gestore provvisorio di un governo a tempo, cui potrebbe
succedere un nuovo un nuovo “Partito Democratico” sostitutivo dell'Ulivo,
sostenuto dalla grande industria, da una sinistra rinnegata e veltroniana,
dalla cultura radical chic. Tale ipotesi è avvalorata dalle iniziative degli
industriali (in primo luogo De Benedetti), circa la scelta dei
nuovi futuribili ministri. Tra l'altro, in un vertice tenuto nell'autunno
scorso tra i grandi personaggi internazionali della finanza, della politica
e dell'industria, l'ospite d'onore Henry Kissinger ha affermato che il
ruolo del Continente europeo è quello di “serbatoio di risparmio mondiale”
occorrente al perseguimento degli obiettivi strategici americani
per “l'esportazione della democrazia nel mondo”. Da tutto ciò emerge che
l'Italia è parte di un disegno strategico di colonizzazione perseguito
dagli americani verso il Continente europeo. Ma l'Europa può esportare
democrazia americana solo a prezzo della propria indipendenza. Infatti la
democrazia ha una propria ragion d'essere solo in un ordinamento libero e
sovrano, la sua espressione egemonica e mondialista presuppone il primato di
un occidente che si rivela ogni giorno di più la tomba dell'Europa.
Entreranno in
vigore il 14 giugno 2006 le disposizioni del Decreto
Legislativo 195/2006 recanti modifiche al Decreto Legislativo
626/1994 derivanti dal recepimento nel nostro ordinamento
della Direttiva 2003/10/CE relativa all'esposizione dei
lavoratori ai rischi derivanti dagli agenti fisici
(rumore).
In particolare,
il Decreto Legislativo ha inserito il titolo V-bis (articoli
49 bis e seguenti), denominato Protezione da agenti fisici,
nel corpo del Decreto Legislativo 626. Particolari obblighi
sono posti a carico del datore di lavoro che è chiamato a
compiere una valutazione del rumore secondo parametri definiti
ed una conseguente valutazione dei rischi cui sono esposti i
lavoratori.
2. Le misure di
prevenzione
Il datore di
lavoro dovrà poi adottare misure di prevenzione, al fine di
eliminare i rischi alla fonte o di ridurli al minimo e, in
ogni caso, a livelli non superiori ai valori limite di
esposizione, tra cui, in particolare, le seguenti: a)
adozione di altri metodi di lavoro che implicano una minore
esposizione al rumore; b) scelta di attrezzature di lavoro
adeguate, tenuto conto del lavoro da svolgere, che emettano il
minor rumore possibile, inclusa l'eventualità di rendere
disponibili ai lavoratori attrezzature di lavoro conformi ai
requisiti di cui al titolo III, il cui obiettivo o effetto è
di limitare l'esposizione al rumore; c) progettazione della
struttura dei luoghi e dei posti di lavoro; d) adeguata
informazione e formazione sull'uso corretto delle attrezzature
di lavoro in modo da ridurre al minimo la loro esposizione al
rumore; e) adozione di misure tecniche per il
contenimento: 1) del rumore trasmesso per via aerea, quali
schermat ure, involucri o rivestimenti realizzati con
materiali fonoassorbenti; 2) del rumore strutturale, quali
sistemi di smorzamento o di isolamento; f) opportuni
programmi di manutenzione delle attrezzature di lavoro, del
luogo di lavoro e dei sistemi sul posto di lavoro; g)
riduzione del rumore mediante una migliore organizzazione del
lavoro attraverso la limitazione della durata e dell'intensità
dell'esposizione e l'adozione di orari di lavoro appropriati,
con sufficienti periodi di
riposo.
3. Il periodo
transitorio
Per consentire
un adeguamento alle imprese sono stabiliti termini dilazionati
di adozione delle misure prescritte. In particolare, gli
obblighi introdotti con modifica al Decreto Legislativo 626 si
applicano trascorsi sei mesi dalla data di entrata in vigore
del decreto e pertanto dal 14 dicembre 2006. Per il settore
della navigazione aerea e marittima, l'obbligo del rispetto
dei valori limite di esposizione al rumore entra in vigore il
15 febbraio 2011. Per i settori della musica e delle attività
ricreative, le disposizioni di cui all'articolo 2 si applicano
a decorrere dal 15 febbraio 2008.
La citazione
della settimana Arthur Bloch
Legge di
Good Se hai un problema che deve essere risolto da una
burocrazia, ti conviene cambiare
problema.
(Da Il libro
degli aforismi, a cura di Federico Roncoroni, Oscar Mondadori,
Arnoldo Mondadori S.p.a., Milano, 2002,
p.458)
Lavorolex
è una produzione di Buongiorno Vitaminic SpA In
collaborazione con www.filodiritto.com
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26/05/06
RESPONSABILITA' DEI PREPOSTI PER INFORTUNIO DEI LAVORATORI
1. Il
caso
Nell'interessante sentenza in
oggetto la Cassazione ha confermato la pronuncia del giudice di secondo grado,
che aveva condannato per il reato di lesioni colpose il caposquadra che aveva
assegnato ad un lavoratore un compito (trarre dei cunei da un’asse di legno), la
cui esecuzione richiede l’adozione di specifiche cautele al fine di evitare
lesioni alle mani (utilizzazione di un apposito arnese, lo “spingi pezzo”), non
controllando che il lavoratore facesse uso del necessario strumento di
protezione.
2. Le motivazioni della
sentenza
Interessanti i passaggi della
pronuncia che riguardano la suddivisione delle competenze tra datore di lavoro,
dirigenti e preposti.
"Con le innovazioni apportate al
testo del 1994 dal Decreto Legislativo del 1996 si sono distinte
le funzioni e
la posizione di garanzia che è propria del datore di lavoro e non è delegabile a
terzi dalle funzioni delegabili (articolo 1 comma 4 ter).
In questo modo si sono enucleati degli obblighi
così ontologicamente connessi alla funzione propria ed alla qualifica del datore
di lavoro da renderli assolutamente insuscettibili di traslazione su altri
soggetti, sia pure prescelti ed espressamente delegati dal titolare.
Si tratta dei compiti di valutazione dei rischi
connessi all'attività d'impresa di individuazione delle misure di prevenzione e
dei mezzi di protezione, di definizione del programma per migliorare i livelli
di sicurezza, di fornitura dei dispositivi necessari di protezione individuale,
di designazione del responsabile del servizio di prevenzione e
protezione. Il datore di lavoro non
è tenuto ad elabora re personalmente il piano di sicurezza, ma dovrà scegliere
gli esperti che lo faranno, fissando i tempi ed i modi delle forme di controllo
della loro attività senza rimettere ad altri l'incarico di assumere questa
iniziativa ed una volta ottenuto il piano dovrà reperire le risorse, organizzare
le strutture e distribuire i compiti fra i suoi collaboratori per renderlo
operante".
3. Responsabilità dei
preposti
"Accanto al datore di lavoro sono
menzionati dal decreto i dirigenti ed i preposti, dei quali non si dà una
espressa definizione, per cui tali qualità discendono dalla loro posizione
assunta all'interno delle singole aziende o enti.
Venendo a considerare la figura
dei preposti perché il ricorrente, caposquadra, non aveva senz'altro una
posizione dirigenziale e contesta di poter essere considerato preposto, la
nozione si ricava dall'articolo 4 bis che riprende il concetto contenuto
dell'articolo 4 dei Decreti del Presidente della Repubblica 547/55 e 303/56,
definendo li come i soggetti che sovraintendono all'espletamento delle attività
soggette alla normativa prevenzionale. Con il termine "sovraintendere", secondo
il concorde orientamento della dottrina e della giurisprudenza, si indica
l'attività rivolta alla vigilanza sul lavoro dei dipendenti per garantire che
esso si svolga nel rispetto delle regole di sicurezza. Non spetta al preposto adottare
misure di prevenzione, ma fare applicare quelle predisposte da altri,
intervenendo con le proprie direttive ad impartire le cautele da
osservare.
Con l'articolo 90 del Decreto
Legislativo 626/94, così come modificato dal Decreto Legislativo 242/96 è stato
ampliato il precetto prevenzionale diretto al preposto, ma perché possa essere
chiamato a risponderne in concreto occorre che utilizzando il criterio guida
dell' effettività egli abbia in concreto il potere di intervenire nei compiti
precettati, per cui l'area della sua responsabilità viene circoscritta dagli
effettivi poteri a lui spettanti, indipendentemente dalle più ampie indicazioni
normative. Nel caso di specie il caposquadra va inquadrato nella figura del
preposto perché rientra nei suoi compiti dirigere e sorvegliare il lavoro dei
componenti la squadra.
Al lavoratore era stato ordinato
dal caposquadra di trarre dei cunei da un'asse di legno, operazione che
necessita dello spingi pezzo onde impedire lesioni alle
mani.
Si tratta di una dotazione
obbligatoria che va fornita dal datore di lavoro, ma l'imputato non ha sollevato
obiezioni circa la possibilità di disporre di tale strumento.
Trattandosi di un' operazione espressamente
ordinata dal preposto il controllo della stessa era di sua competenza e se vi
fosse stata una qualche difficoltà nel reperimento dello spingi pezzo avrebbe
dovuto preoccuparsene o sospendere l'operazione stessa, essendo suo compito
quello di fornire ai lavoratori i mezzi di protezione o di fame richiesta al
datore di lavoro ed al responsabile del piano di sicurezza. quantomeno
nell'ambito delle attività lavorative di sua
competenza.
Non può, pertanto sfuggire
alle sue
responsabilità il soggetto che avendo il potere di
ordinare un tipo di lavoro non controlli che questo sia compiuto secondo le
norme antinfortunistiche. In caso contrario verrebbe meno un anello della catena
organizzativa, essendo impossibile per chi non si trovi sul posto di lavoro
effettuare tale controllo che costituisce una delle attività più importanti tra
quelle dirette ad evitare gli infortuni".
(Corte di Cassazione - Sezione
Quarta Penale, Sentenza 21 aprile 2006, n.14192: Delitti contro la persona -
Lesioni personali colpose - Infortuni sul lavoro - Preposto - Responsabilità -
Condizioni).
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25/05/06
PROMOZIONE AUTOMATICA DEL LAVORATORE PER SVOLGIMENTO DI MANSIONI
SUPERIORI
La
Cassazione Sezione
Lavoro
con sent. del 7 marzo 2006, n. 4842, ha
disposto che la promozione automatica del lavoratore per svolgimento di mansioni
superiori spetta anche nel caso che la formale responsabilità del suo nuovo
incarico sia stata attribuita dall’azienda ad altro dipendente – In base
all’art. 2103 cod. civ. quindi il lavoratore acquista il diritto ad essere
promosso alla qualifica superiore quando abbia svolto per tre mesi le relative
mansioni. Ove il datore di lavoro, nel collocare il dipendente in una posizione
che comporta lo svolgimento di mansioni superiori, attribuisca formalmente la
relativa responsabilità ad altro lavoratore, come
“reggente”.
La
Cassazione
ha ribadito che l’art. 2103 cod. civ. non consente di ritenere che, al fine di
escludere il diritto del dipendente alla superiore qualifica per effetto dei
contenuti professionali delle mansioni svolte per il periodo di tempo minimo
previsto dalla norma, sia sufficiente che il datore di lavoro, nell’esercizio
del suo potere organizzativo, conferisca ad altri dipendenti la titolarità
formale delle mansioni stesse, ovvero degli elementi più qualificanti delle
stesse. Appare, infatti, incontestabile che, ai fini di una norma di tutela,
diretta con evidenza a privilegiare l’effettività, l’affidamento formale della
responsabilità non incide minimamente sulla realtà della situazione di fatto.
La Cassazione ha
ribadito che a tal fine non rilevano le dichiarazioni esplicite di volontà se
non coerenti con i comportamenti rivolti ad attuarle, i quali, se in contrasto,
concretano essi manifestazione della reale volontà
negoziale
Sent.
Cassazione Sezione Lavoro. del 7 marzo 2006, n.
4842
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22/05/06
Caro socio,
Comunicato stampa
Amianto alla ex Breda Fucine di
Sesto San Giovanni:
4°
vittoria consecutiva dei lavoratori
Altri 6 operai
del reparto Forgia vincono la causa contro l’INAIL e l’INPS.
Il
giudice del lavoro dott.ssa
Manuela Scudieri
del Tribunale di Milano, ha condannato oggi l’INPS a riconoscere i contributi
previsti dalla legge sull’amianto ad altri 6 operai del reparto Forgia della ex
Breda Fucine di Sesto S.Giovanni.
La perizia del Consulente Tecnico del
Tribunale di Milano, le testimonianze dei lavoratori e dell’ASL hanno dimostrato
che “l’utilizzo dell’amianto nel
reparto forgia della Breda Fucine Spa era massiccio. Per tutti i
lavoratori ricorrenti, l’esposizione
all’amianto era diretta, indiretta e ambientale, e ha superato le soglie
previste dall’art.31 D.Lgs. 277/91, che prevede 600 fibre per
centimetro cubo per il crisotilo; (200 fibre litro per tutte le altre varietà di
amianto)” come ha ribaditoil CTU del tribunale.
Questa
nuova sentenza, la quarta
favorevole agli operai della Breda Fucine, apre la strada al riconoscimento di
tutti coloro che sono stati esposti all’amianto in questo reparto.
Altre
due cause (che riguardano decine di lavoratori) andranno a sentenza nei prossimi
mesi a Milano e Monza. Il Comitato ha inoltre deciso di avviare, sempre con gli
avvocati Nicola Coccia e Claudio Frugoni, un’altra serie di cause che
riguarderanno centinaia d’operai, prime fra tutte quelle per il riconoscimento
dei danni biologici ai lavoratori ammalati.
Per
anni l’INAIL ed il suo organismo tecnico preposto a valutare l’esposizione ad
amianto (CONTARP) – che si sono ben guardati dal sanzionare l’uso criminale
dell’amianto fatto dai padroni nelle fabbriche - hanno negato ai lavoratori
il riconoscimento dell’esposizione all’amianto ormai provata oltre ogni dubbio,
e delle malattie professionali causate da questa sostanza cancerogena. Ora dopo
ripetute manifestazioni, proteste e cause vinte dai lavoratori l’INAIL ha
cominciato a riconoscere solo alcune mansioni, nel tentativo di dividere i
lavoratori mettendoli gli uni contro gli altri.
Oggi per la 4° volta il tribunale riconosce
in pieno la nostra tesi che, al di là delle loro mansioni, tutti coloro che sono
stati esposti all’amianto hanno diritto a vedersi riconosciuti i
“benefici”previdenziali stabiliti dall’art. 13 della legge
257/1992.
Un altro passo
è stato fatto, ma la nostra lotta continueràfinché tutti i lavoratori avranno
giustizia.
Comitato per la Difesa della Salute nei
Luoghi di Lavoro e nel Territorio.
Sesto
S.Giovanni, 22 maggio 2006
Per
contatti: cell. 335.7850799 – 3394435957
E-mail:
michele.mi@inwind.it
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21/05/06
Il testo del disegno di
legge dei Senatori Casson, Battafarano e Malabarba depositato al Senato il primo
giorno di seduta, che ricalca le proposte avanzate nella precedente legislatura
in Commissione lavoro del Senato.
DISEGNO DI LEGGE
Disposizioni a favore dei lavoratori e dei cittadini esposti ed ex esposti
all’amianto e dei loro familiari, nonché delega al Governo per l’adozione del
testo unico in materia di esposizione all’amianto d’iniziativa dei senatori:
CASSON MALABARBA fonte fiom.cgil.it