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Dibattito sul Ministero per i beni e le attività culturali


giovedì 31 gennaio 2013

di Pierfranco Bruni

da csrbruni@alice.it




 

Dibattito sul Ministero per i beni e le attività culturali

Senza provocazioni ma con serenità e serietà

Chiamiamolo Ministero della Cultura e dell’identità Italiana o trasformiamo il concetto di cultura

di Pierfranco Bruni

 

Si riapre il dibattito sulla proposta di una nuova progettualità, di un nuovo “abito”, di nuove competenze, di nuovo tutto che dovrebbe avere il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, già Ministero per i beni culturali e già ancora Ministero per i beni culturali e ambientali.

Un Ministero che si rinnova sostanzialmente o non sostanzialmente con il Codice dei beni culturali del 2005. Prima di questa data, nonostante circolari, decreti, strutture e sovrastrutture tra dirigenze varie e dipartimenti, aveva (e forse ancora lo ha) un punto di riferimento certo: la legge del 1939, la n. 1089 per i beni culturali, ovvero una Legge nata in Regime fascista. Ci fu, addirittura, il tentativo di soppressione del Ministero o dell’accorpamento.

La storia la conosciamo bene (la conosco bene anche per i diversi libri scritti sia in termini istituzionali – organizzativi che culturali: “La risorsa beni culturali” e poi “Beni culturali identità”, 2004, 2005, sia per le diverse consulenze gratuite sul tema) sin dalla Commissione Franceschini (anni Sessanta) e poi dal 1974 e ufficialmente dal 1975. Il problema si pone per una serie di questioni. Che non abbia avuto un ruolo importante, nel corso di questi anni, non è vero. Altrimenti chi avrebbe retto tutte le strutture periferiche del mondo dei beni culturali: dagli scavi archeologici alle biblioteche, dagli archivi ai monumenti, dai musei alla promozione della cultura italiana nei paesi esteri?

Deve essere chiaro un dato: aver inserito i beni archeologici, i beni musicali, lo spettacolo dal vivo, il cinema, il teatro, le antropologie, i premi per la traduzione, il diritto d’autore in un unico taglio istituzionale è stato un fatto interessante perché è la testimonianza di una idea complessiva di cultura e aver messo insieme la valorizzazione, la tutela e le attività è stato un inizio in cui i processi vitali di un territorio si sono aperti, almeno idealmente, ad un raccordo tra risorsa, vocazione ed economia. Il nervo scoperto è che senza “finanze” non si fa cultura. Ed è una questione nevralgica emersa nel dibattito di questi giorni che sta impegnando intellettuali ed esperti. Ciò è l’antico Nodo di Gordio. Ma per chi fa cultura, secondo la mia diretta esperienza, e per chi ha rivestito cariche istituzionali proprio in questo campo anche come assessore alla cultura della Provincia di Taranto (per quattro anni) e per chi è stato in molti paesi esteri a rappresentare la cultura italiana e per chi ha ricoperto e ricopre presidenze in Comitati e Centri Studi e per chi continua a lavorare sul campo istituzionale posso affermare con consapevolezza che non tutto dipende e può dipendere dalla mancanza di risorse economiche.

Visitiamoli questi luoghi della cultura in tutta Italia, quelli che dipendono dal Ministero e quelli che dipendono dagli Enti locali, per renderci conto che le idee fanno, in molte occasioni, un salvadanaio per investimenti. Spesso ci “nascondiamo” sotto il fatto che non abbiamo i soldini per portare avanti un progetto ma il progetto ha bisogno di idee e, quindi, non solo di linee amministrative ma di percorsi culturali che tirano nel gioco altre realtà. Allestire un museo didatticamente leggibile nella modernità delle dialettiche internazionali non è solo una questione di vuoti economici. Lavorare tra Enti e associazionismo e volontariato non è questione soltanto di vuoti economici. Proporre una articolazione di mostre tra archeologia, antropologia, architettura, “emeroteche” non è questione di mancanza di economie. In quattro anni di assessorato i progetti non mi sono piovuti da Marte me li sono inventati guardandomi intorno.

Aprire un forte dibattito sulle culture sommerse è coraggio, volontà e scelte. I compiti dei beni culturali non sono solo quelli rigorosamente istituzionali ma intellettuali. L’intellettuale deve raccordarsi con il mondo vasto dei beni culturali e poi bisogna ampliare sempre più questo mondo dei beni culturali alle culture che non sono solo quelle “caratterizzate” nelle norme del Codice. Un Ministero aperto. Ovvero un Ministero della Cultura. Già, fa paura ancora parlare di Ministero della Cultura. Ci porterebbe direttamente al Min.Cul.Pop.? Invece, dell’attuale Mi.B.A.C?

Ci sono epoche che separano realtà. Bisognerebbe rileggere la posizione di un intellettuale che conosceva il fascismo della cultura e la cultura del fascismo, ovvero Giuseppe Bottai, quello che votò per l’Ordine Grandi nella seduta che fece cadere il fascismo.

In questi giorni si è parlato della “nazionalità” delle cultura e del valorizzare la cultura italiana attraverso le diverse arti. Per fare questo bisogna aprirsi ad idee divergenti e articolate per giungere ad una convergenza di una cultura dell’identità italiana. Senza una filosofia e una estetica della identità italiana non si può parlare di un Ministero dei beni culturali che sia altamente rappresentativo in tutto il mondo. È vero che le economie sono povere. Ma anche le idee non sono ricche.

Un Ministero della Cultura deve essere un Ministero delle Idee e per le idee e non tentare di fare della cultura unicamente un progetto economico “provvidenziale”. Capovolgo il discorso. Partiamo dalla cultura delle idee per proporre una cultura che possa essere investimento. In questo discorso abbandoniamo una volta per sempre le ideologie perché nonostante si continui a dire che sono morte queste, le idee, sono ancora più vive che mai anche se si sono trasformate in pensieri sull’economia.

I beni culturali lasciamoli alla cultura e a chi fa cultura, con ciò non si intende di rinchiuderli nel cerchio degli addetti ai lavori ma il discorso è molto più alto e problematico in un coinvolgimento di visioni globali (e chi scrive ha sempre lottato per lo sdoganamento dei beni cultuali come appannaggio degli specialisti), e a chi vive la cultura con esperienze, eredità e una forte testimonianza identitaria. Perché la cultura resta l’identità di una Nazione.

Chiamiamolo, dunque, Ministero della Cultura dell’Identità Italiana. Altrimenti trasformiamo il concetto stesso di cultura.(sic!).

 





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