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La magia del Sud: Rocco Scotellaro a 90 anni dalla nascita e a 60 dalla morte con inediti di Pierfranco Bruni
mercoledì 6 febbraio 2013

da csrbruni@alice.it






Rocco Scotellaro a 90 anni dalla nascita e a 60 dalla morte. Un poeta nella magia e nell’alchimia del Sud contadino con inediti raccolti dal Centro Studi e Ricerche “Francesco Grisi”

 

Pierfranco Bruni

 

Rocco Scotellaro nasce a Tricarico, in provincia di Matera, novanta anni fa. Muore a Portici sessant’anni fa. È necessario ripensare il poeta delle “tomaie” e della madre che cuciva con la sua “Singer”. È fatto giorno... Una pioggia a fili e un paese vuoto che cerca a stento di ricordare. Un paese ormai come tanti di una Basilicata che si raccoglie tra le pietre e le tondeggianti colline. Gli sguardi dei vecchi hanno onde di nostalgia e sembrano raccontare fatti di secoli, avvenimenti lontanissimi, giorni in cui appartengono ad epoche distanti. Eppure sono passati solo pochi decenni.

E qui tra queste case, tra i vicoli stretti, in un paesaggio di angoli affollati, la gente lo ricorda, perché è necessario ricordarlo. Una strada dedicata a lui. La vecchia Via Roma. La casa natale, lungo questa strada, con una lapide. Un’altra lapide ancora in una piazza dove vi è il monumento dei caduti di tutte le guerre, una scuola che porta il suo nome. Ma neanche un busto per dire che questo paese è il paese dove è nato e vissuto, tutto sommato, il poeta.

Un libro dal titolo “Rocco Scotellaro. Poeta del Mediterraneo contadino”, curato da Gerardo Picardo,raccoglie testimonianze importanti e significative (per il Centro Studi e Ricerche "Francesco Grisi"), oltre che delle pagine inedite dello stesso Scotellaro, della madre Francesca, di Leonardo Sciascia e di lettere ancora di Scotellaro indirizzate ai coniugi Leone - Padula. Il tutto si deve a Gerardo Picardo che ha lavora sugli inediti ed ha dato la possibilità di pubblicare il materiale.

Il poeta dei “Contadini del Sud”. Il poeta di “È fatto giorno”. Il poeta di “Margherite e rosolacci”. Il poeta di “L’uva puttanella”. E sì, voglio ricordare il poeta e non il sindaco. Voglio ricordare: “Mamma, tu sola sei vera. / E non muori perché sei sicura”.

Rocco Scotellaro. Amico di Carlo Levi. Il Levi della Lucania dai volti stanchi e dei paesi abbandonati in una conca di terra. Tricarico. Si trova quasi a metà strada tra Potenza e Matera. Nel materano. Percorrere la strada che va da Potenza a Tricarico è un penetrare la campagna fitta, gli alberi che visualizzano immagini silane con la pioggia lenta e un vento leggero ma pungente. Aria fresca e ancora volti contadini e contadine nelle terre. E Rocco Scotellaro è ancora tra questa gente. Ma non lo si riconosce abbastanza. È un qualcosa che c’è e basta.

Sulla lapide dove è nato si legge questa scritta: “A Rocco Scotellaro - Sindaco socialista di Tricarico - Poeta della libertà contadina”. Via Rocco Scotellaro, numero civico 37. Tricarico. E poi? Era nato il 19 aprile 1923 e morto a Portici il 15 dicembre 1953.

Sono stato a Tricarico. Tanta solitudine e i versi di Rocco nel vento e tra le margherite e i rosolacci e le ginestre avevano la violenza del giallo. Il giallo da queste parti inonda le campagne. Le viti basse e le terre hanno colori nell’arcobaleno. E questo paese dove “siamo entrati in gioco anche noi/ con i panni e le scarpe e le facce che avevamo” si raccoglie nella storia in questa Basilicata che sembra recintare la favola dei contadini del Sud. Ma Scotellaro voleva renderla realtà, quella favola: “Noi non ci bagneremo sulle spiagge/ a mietere andremo noi / e il sole ci cuocerà come la crosta del pane”. Il fatalismo, il sonno, il sogno, la stanchezza: “Ognuno ha le ossa torte /non sogna di salire sulle donne / che dormono fresche nelle vesti corte”. Il racconto di un mondo che recita una preghiera antica è nell’immagine di un paese che intreccia presente e memoria: “Dormono sulle aie / attaccati alle cavezze dei muli”. “Si sente l’asina nel sottoscala, / i suoi brividi, il suo raschiare./ In un altro sottoscala / dorme mia madre da settant’anni”.

È tutto passato. Si potrebbe dire: è proprio passato il tempo. Ma resta a filigrana una pioggia che tocca le pietre della piazza e i vicoli dai quali, come fantasmi, compaiono gli uomini e vanno oltre. Ci sono ricordi che restano e che si perdono. Ma ci sono ricordi che sono ancora realtà.

I segni di quel mondo sono onde vellutate. Ci parlano e le parole sono fiumi di silenzio che tracciano destini. “Ho capito fin troppo gli anni e i giorni e le ore / gli intrecci degli uomini, chi ride e chi urla / ... / Sole d’oro, luna piena, le ore dell’inverno / le mattine degli uccelli a primavera / le maledizioni e le preghiere”.

È come se il tempo fosse ieri. Tricarico è immobile. E nelle stagioni ascolta il vento. Il vento che viene da Portici. Lì, dove Scotellaro è morto, lì dove cercava qualcosa di diverso dalle sue colline tondeggianti e dal giallo delle ginestre.

Il tempo che cerchiamo in Scotellaro è il tempo della poesia che vive anche tra le pagine di saggistica. Ed è quello lo Scotellaro che lascia tracciati, che continua nella sua storia letteraria, che ci ha spinto sino a Tricarico a vivere per un pomeriggio il fascino che non c’è mai ma che si ascolta solo nei suoi versi e nelle sue malinconie.

Ancora sassi. Anzi più sassi. Un camminare lento.

“... ognuno canta una storia / e insieme viene l’armonia”. “... il paese continua la sua storia / sotto il cielo stellato a foglia a foglia / per chi parte se vuol ritornare”.

Tricarico deve riscoprire il suo poeta. E forse deve amarlo di più. Si agita nella memoria, nei ricordi di alcuni o di molti; ma occorre altro. Di più.

Si è fatto notte. Il giorno lo si è depositato dietro i monti. Entriamo nella città dei sassi. Il caso o il destino? La prima strada che incocciamo è quella che porta il nome di Rocco Scotellaro. Strano? È il segnale preciso in questa terra di contadini antichi e di amori folli. Amori folli.

Questa Basilicata è anche la terra di Isabella Morra, la poetessa cantata da Benedetto Croce. Il castello di Valsinni, quelle strade che angustiano. Un altro paese nella poesia e nei ricordi. Siamo stati anche lì. In un’altra occasione. Il tempo scorre e traccia colori nella memoria delle parole. Ma questa è un’altra storia che non so se racconterò.

È rimasto l’odore / della tua carne nel mio letto. / È calda così la malva / che ci teniamo ad essiccare / per i colori dell’inverno”. Era il 1948 quando Scotellaro scriveva questi versi. Il destino si fa avventura e i ricordi non bastano più se la memoria non li raccoglie. Forse mi appartengono. Sono parte di una mia storia. Della mia storia.





 





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