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Fatima, la monaca Carmelitana nella magia raccontata da Alarcon De La Valle
martedì 16 aprile 2013

da csrbruni@alice.it


Nel rito della fantasia e del mistero il castello di Alarcon dove venne ritrovato nella stanza un petalo rosso




Fatima, la monaca Carmelitana nella magia raccontata da Alarcon De La Valle,

ha abitato il paese Lorenzo delle Grazie

di Pierfranco Bruni

Se la storia vive di documenti è anche necessario affidarsi al mistero per interpretare l’invisibile che le parole mascherano. E l’invisibile c’è e resta invisibile. C’è dentro la nostra percettibile capacità di essere impeccabili. Spesso mi diceva così il mio amico Alarcon De La Valle. Il mio unico e vero amico. Conosciuto negli anni Settanta in un città che aveva l’odore di un Oriente sbarcato tra le rive dell’Occidente cristiano.

Un amico che aveva come stile la profondità dello sguardo e come cammino il silenzio della pazienza. Scriveva, ma per Alarcon la scrittura era un vizio, come per Pavese, a volte assurdo a volte diventava un vero e proprio mestiere. Ma la scrittura nella sua scrittura era un gioco. Giocare con le parole e soprattutto con i personaggi era il suo viaggiare tra le epoche servendosi dei documenti ma soprattutto dell’anima, del cuore e della percezione del limite tra spazio e sublime.

Mi raccontò del destino di una monaca dei Carmelitani. Alarcon, dimentico di dirlo, era un principe ma il suo principato era tra le terre della Magna Grecia. Nei luoghi di Pitagora e tra le donne che sapevano amare nell’eros della bellezza dei sibariti. Un principe della contea del lusso dei sibariti.

Allora, la monaca dei Carmelitani. Era una giovane donna. Dagli occhi intensi. Verdi e neri. Verdi come il mare di Tunisi. E neri come le olive delle campagne della Magna Grecia. Giunse, così mi disse Alarcon, in un presto mattino dalle luci con scintille antelucane, in un paese del Sud chiamato Lorenzo delle Grazie. Questo paese, che era stato abitato anche da Alarcon, aveva un convento chiamato delle Carmelitane dai piedi nudi (perché non scalze?).

Venne mandata in questo paese dalla lontana Siviglia. Quasi in esilio. Perché lì avevano scoperto che, di notte, usciva dalla Casa Generalizia e si incontrava, in segreto, con il francescano Pier De La Luna. Si era in un tempo di inquisizioni e la Spagna possedeva tutte le chiavi delle parole misteriose per inquisire nei tribunali del dubbio.

Arrivò al convento di Lorenzo delle Grazie e si fece assegnare una celletta che non aveva finestre e chiese semplicemente dei fogli e del materiale per potervi scrivere. Accettò l’esilio per lunghi anni e quando morì trovarono la cella piena di figli, tutti scritti di storie. Fogli sparsi e senza essere numerati. Una scrittura sottile e a volte indecifrabile.

Questi fogli sono stati studiati per molti anni da Alarcon, il quale interpretò un misterioso dialogo tra la monaca e Pier De La luna che dopo la sua partenza aveva fatto perdere le tracce. Alarcon mi disse che, in sogno, comunicavano e si parlavano e tutto ciò che era scritto nelle pagine della Carmelitana dai piedi nudi, in esilio nella cella del convento, aveva qualcosa di magico perché accanto ad ogni parola c’era un segno, un simbolo, una foglia di rosa. Tanto che la monaca venne chiamata, dopo la sua morte, la monaca dalle foglie di rosa.

E’ rimasto tutto un mistero. Ma dal giorno in cui la monaca morì il convento venne chiuso e nessuno vi abitò più. Tutte le altre monache vennero trasferite. Furono scritti libri di storia sul convento e sulla monaca riportando documenti e bibliografie. Alarcon mi disse soltanto che la monaca carmelitana, venuta da Siviglia, si chiamava Fatima.

Nella sua cella venne trovato anche un rosario e su ogni grano c’era un segno, un inciso, un graffio. In una mano stretta conservava un petalo di rosa rosso.

Alarcon, raccontandomi, questo destino mi disse anche che tra il convento e il castello c’era un passaggio sotterraneo che partiva proprio dalla cella della monaca e conduceva in una stanza del castello. Studiando la stanza del castello Alarcon trovò, in un angolo, un petalo di una rosa rossa. Nessuno seppe che in quella stanza del castello venne trovato morto Pier De La Luna.

Tutta questa storia è una storia vera come è vera la verità che viene raccontata con la fantasia e con il gioco inevitabile del mistero.

Nel paese di Lorenzo delle Grazie c’è un castello e ci sono i resti di un convento ma anche i resti di una abitazione abitata dalle Carmelitane dai piedi nudi, ma nessuno ha mai saputo del passaggio segreto e neppure del petalo di rosa rossa trovato nella stanza del castello. Fu una storia d’amore?

Il principe Alarcon mi ha lasciato una bella e affascinante eredità che è quella di scoprire il resto della storia e di rivelarla soltanto ai miei figli con la promessa che loro dovranno rivelarla soltanto ai loro figli e così via di seguito.

Alarcon non so dove sia finito. Forse ha lasciato la città dai colori d’Oriente nell’Occidente cristiano per recarsi a Siviglia o è ritornato ad abitare il suo castello nel paese della Magna Grecia dove le donne hanno la bellezza della terra dopo la pioggia e lo sguardo del mare dopo le tempeste. Non lo so. L’ho cercato. Ma non ho avuto notizie.

Quello che posso dire soltanto è che Alarcon è un personaggio reale, la monaca Carmelitana è morta nella cella del convento e Pier De La Luna ha abitato una stanza del castello. Il petalo della rosa rossa non è la storia della rosa scarlatta.

La leggenda finisce qui. Ma qui comincia una storia che si perde proprio nel momento in cui abbiamo bisogno di testimoniarla con i documenti.

Alarcon mi ha detto ancora prima di far perdere le sue tracce: “Amico mio, quando cominci con la ragione a voler dare senso alle storie il tuo viaggio finisce. Non chiedere mai spiegazioni a ciò che reputi impossibile. Non stupirti se il miraggio del segreto insiste nel restare segreto. Non infilare mai il dito nel silenzio del mistero pensando di dare voce ad una storia che non ha bisogno di diventare storia. La magia, amico mio, sta proprio qui. Gioca sempre con l’alchimia che ti vive dentro. Non tentare di capirla. Fermati prima che lo specchio possa infrangersi e coprirti di ferite. La bellezza dura se la custodisce. E tu, amico mio, custodisci sempre, con il silenzio. Agli storici regala un sorriso. A te stesso il sogno. Così vivi tutto ciò che ti ho raccontato con il sogno. Il resto non ha importanza”.

Finisce qui il viaggio di Alarcon nei miei pensieri.

Caro amico mio, caro principe, così tu vuoi ed io non ti cercherò. Custodirò tutto ciò che mi hai raccontato nel sogno del mio cuore. Poi se accadrà altro dipende dai fili dell’alchimia che hai lasciato lungo le strade della magia.

Se questa storia è inventata prendetela con beneficio di inventario e ogni riferimento è puramente letterario. Se, invece, ha preso il sopravvento la fantasia nel mistero ogni fatto è puramente casuale.

Che dirvi di più? Ma dove è finito Alarcon?





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