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Le Presenze Minoritarie in Italia come Beni Culturali.
sabato 6 luglio 2013

di Pierfranco Bruni




Beni culturali, modelli etnici e minoranze linguistiche

Le Presenze Minoritarie in Italia come  Beni Culturali.

Una strategia in un Patrimonio identitario da recuperare

 

 

di Pierfranco Bruni

 

 

Beni culturali, modelli etnici e minoranze linguistiche. Tre elementi significativi di un progetto che ha come punto fondamentale il rapporto delle identità antropologiche, delle radici, delle articolazioni linguistiche all’interno del panorama vasto del patrimonio culturale.

Le minoranze linguistiche, sia quelle sancite dalla normativa del 1999, inerente la tutela delle lingue minoritarie, sia quelle più sommerse in un’Italia delle culture includenti, sono, chiaramente, un bene culturale. Lo sono per il loro portato storico, per il loro intreccio tra lingua, arti, letteratura, biblioteche, archivi, piazze e soprattutto per la visione dialogante tra le stesse presenze minoritarie e il legame con le radici.

Chiaramente si parla di minoranze linguistiche ed etniche che hanno scavi storici, ovvero sono presenti sul territorio da epoche e che hanno lasciato segni tangibili di una matrice che ha rimandi a civiltà, che si sono, comunque, ben integrati nella geografia antropologica e artistica dei territori.

Sono un bene culturale perché nella loro presenza e nella loro testimonianza ci sono sia modelli radicanti ma anche modelli di completa originalità, che hanno permesso alle loro storie di siglare un patto culturale con le nostre culture.

Beni culturali, dunque, perché incidono con la loro tradizione e con le loro radici nella memoria storica di un popolo.

Quando una etnia si confronta con un’altra etnia (quella Arbereshe o quella Occitana con quella Greco – latina, Italiana, per restare soltanto ad un esempio) ciò avviene grazie ad una dimensione identitaria, che è il vissuto di una appartenenza, le cui “linee” sono tratteggiate dalla lingua, in modo particolare, e dalla metafisica dell’antropologia delle eredità.

Le minoranze linguistiche sono sempre una espressione di appartenenza ad un popolo e ad una civiltà che insiste in quell’abitato reale e storico che è l’eredità. Ma il concetto stesso di eredità storica vive nel raccordo tra bene culturale e cultura della modernità nella trasparenza dei miti, dei simboli, degli archetipi e dell’intreccio di memorie, che sono il passato. 

In fondo il bene culturale restituisce il passato di un popolo alla cultura moderna mai trasformandolo ma cercando di viverlo come metafora di un “avvenuto” che non smette di segnare il passo delle epoche. Il dialogante sistema di ricontestualizzare una minoranza linguistica passa inevitabilmente tra la testimonianza di comprendere il senso dell’etnia e la capacità di rendere storica la memoria della stessa minoranza.

Ciò significa che questo passaggio avviene soltanto nel momento in cui il passato di una minoranza diventa espressione realmente culturale, ovvero bene culturale. Infatti non ci può essere minoranza linguistica (o presenza minoritaria) senza essere, questa stessa, considerata bene culturale.

È certamente una questione strategica nel vasto e articolato panorama dell’etimologia moderna di bene culturale, ma è anche la consapevolezza che soltanto come bene culturale può resistere ad una società sradicante e che facilmente si smarrisce nelle perdute fisionomie delle radici.

Il nostro lavoro, ormai da anni, (il progetto sulle minoranze linguistiche del ministero per i beni e le attività culturali che porto avanti da anni con studi, ricerche, pubblicazioni e convegnistica anche in molti paesi esteri) è stato ed è quello di porre all’attenzione il valore storico delle presenze minoritarie: dagli Occitani ai Ladini, dai Croati agli Italo – albanesi, dai Grecanici agli Armeni, dai popoli Rom ai Catalani e cos’ via.

Insisto sul fatto (l’ho fatto anche in altre sedi e occasioni istituzionali) che bisognerebbe aprire una finestra sulla cultura Armena in Italia. O meglio aprirsi alla presenza storica degli Armeni in Italia. Una presenza che non nasce con il genocidio del 1914 – 1916, ma incide con la sua straordinaria realtà letteraria, artistica e antropologica in secoli di rapporti tra le culture Orientali e quelle Occidantali anche sul piano religioso.

Gli Armeni hanno lasciato tracce e documenti storici e artistici in molte comunità italiane. Una produzione letteraria contemporanea ha una sua significativa valenza ricostruttiva (i romanzi di Antonia Arslam o le canzoni di Charles Aznavour).  Come gli Occitani o gli Italo – albanesi (Arbereshe). Ma il dato di fondo resta sempre quello di non sottovalutare mai che una presenza minoritaria (storica) è un bene culturale. Un esempio ancora. La musica Grecanica e quella Arbereshe è un insieme di manifestazioni di eredità sia mediterranee che balcaniche.

Quando spesso si parla di un Mediterraneo inclusivo, si sottolinea l’importanza chiaramente di un Mediterraneo diffuso, ma questo perché geograficamente e in termini metafisici include non un’area (o delle isole territoriali) di mare e di terra soltanto, ma una lettura filosofica, letteraria, artistica, antropologica di popoli e civiltà che si confrontano e si incontrano su progetti politici (condivisi o meno: questi) e soprattutto culturali.

In Italia, per gran parte, le presenze minoritarie hanno caratteristiche culturali che rimandano a un Mediterraneo diffuso. Penso ai Sardi e ai Catalani (o a quelli già citati), ma anche ai Ladini e ai popoli Germanici che hanno storie chiaramente diverse, ma sempre dentro un bacino che ha avuto rapporti con il Mediterraneo. Penso ai Croati e agli Slavi ma anche ai Friulani e alla cultura Istriana. Su queste ultime insiste una letteratura di grande valenza: da Pasolini a Tomizza, da Sergio Endrigo a Carlo Sgorlon.

Insomma sia in termini linguistici puri che sul piano letterario (e ancora su quello storico – artistico e antropologico) le presenze minoritarie sono un bene culturale. Bisogna considerarle tali proprio in virtù dei modelli che hanno tracciato lungo le vie delle nostre comunità, e nell’intelligenza delle integrazioni e comprensioni storiche non possono che essere comprese se non attraverso una interpretazione che è quella, appunto, di un bene culturale sommerso ma definito nella ricchezza di valori, che sono quelli dell’eredità, dell’identità, dell’appartenenza. Aspetti che si fanno storia, una storia che è bene culturale. Il nostro intendo è proprio quello di approfondire, cercare comparazioni, dare senso alle presenza minoritarie in una lettura completamente vissuta come bene culturale.





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