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Giovedì 23 gennaio a Grottaglie (Ta) il saggio a più voci: “Il Principe. Il Machiavelli di un secolo di mezzo”
mercoledì 22 gennaio 2014

da csrbruni@alice.it




Tra il realismo politico (e la ragione della politica) di Machiavelli e l’utopia (ovvero la conservazione di uno stato morale

Si presenta giovedì 23 gennaio a Grottaglie (Ta), Convento dei Paolotti, ore 19.00, il saggio a più voci: “Il Principe. Il Machiavelli di un secolo di mezzo” (Pellegrini editore) a cura di Micol Bruni, con Introduzione, nel testo, del Rettore dell’Università degli Studi di Bari Antonio Felice Auricchio e Conclusione del politologo Alessandro Campi dell’Università degli Studi di Perugia.

Il saggio verrà presentato dal Presidente del Tribunale di Taranto Antonio Morelli con i saluti di padre Salvatore Palmino, del Dirigente scolastico del Liceo Moscati Anna Sturino, coautrice con un capitolo su Hobbes, Maria Pia Ettorre, Assessore alla Cultura del Comune di Grottaglie. Concluderà la curatrice del saggio Micol Bruni. Coordinerà i lavori la saggista e docente oltre ad essere coautrice con un capitolo sugli aspetti linguistici e antropologici.

Segue un breve saggio, inedito, di Micol Bruni sul rapporto tra Machiavelli e Moro che rientrerà nella nuova edizione del libro che sarà arricchita di ulteriori capitoli.

 

 

**************************

Aldo Moro e la lezione di Machiavelli:

la necessità e il bisogno nella Ragione della politica

di Micol Bruni

 

 

Tra il realismo politico (e la ragione della politica)  di Machiavelli e l’utopia (ovvero la conservazione di uno stato morale della ragione) di Tommaso Moro c’è la sintesi più estrema e più definita, (e direi avvincente che riguarda la modernità), nel dare alla politica una ragione nella realtà e nell’essere testimoniata da Aldo Moro.

Aldo Moro, che porta nella sua visione critica alla politica la formazione di Tommaso Moro, non fa mai venir meno alla concezione dell’utopia il senso della “ragione politica”. Si può governare (governare senza sottolineare la necessità e il bisogno di gestire il potere) con la consapevolezza dell’incontro tra la necessità della ragione e il bisogno di non perdere l’orizzonte della morale.

Aldo Moro è come se dicesse che si ha bisogno della concretezza della ragione di Machiavelli, ma non si può prescindere dal tessuto morale al quale ci ha avviato Tommaso Moro. Il concetto di “prassi” non ha mai il sopravvento nella ragione politica di Aldo Moro perché c’è sempre, oltre la Ragione di Stato, una ragione dell’essere.

Ciò lo ha evidenziato nei suoi Discorsi e lo ha fortificato nelle Lettere dei cinquantacinque giorni del suo rapimento chiuso con la morte (1978).

Aldo Moro non può prescindere dal mezzo o dallo strumento che la ragione può applicare nello Stato. Recuperando Machiavelli recupera un pensiero filosofico che trova in Kant un intreccio nevralgico, il quale diventa precursore di uno Stato di diritto che, comunque, supera, per il senso dell’umanità dello Stato stesso, qualsiasi ragion di Stato o diritto di ragione di Stato.

Il punto centrale è che Aldo Moro non ha mai accantonato la visione di Machiavelli. Pur consapevole, da cattolico, che non si governa con il “padre nostro” (affermazione laicamente machiavelliana) è, comunque, consapevole che occorrono sempre dei criteri morali per governare attraverso la politica (chiave di lettura nella visione di Tommaso Moro).

Il concetto di ragione politica diventa, in Aldo Moro, fondamentale. Nel suo Discorso alla Camera dei Deputati dell’11 marzo del 1977 Aldo Moro sottolinea, più volte, la necessità della ragione legandola, comunque, al bisogno della coscienza. 

Nel Discorso citato, che riguardava lo scandalo Lockheed, ebbe a dire: “Di coscienza, dico, e non già di utilità, che anzi forse la ragione politica potrebbe suggerirci un atteggiamento dilatorio, anche se sappiamo che l'ulteriore momento processuale, unico e definitivo, potrebbe riservare, per il modo come esso è strutturato, incomprensioni ed impuntature non minori di quelle (tutte politiche) di fronte alle quali sinora ci siamo trovati”.

Il concetto di ragione è un perno centrale in Aldo Moro. Addirittura parla anche di “ragione di disciplina”, di “ragione logica”, di “ragione di intrinseca contraddizione”, di “eccezionale ragione politica”, di  “illuminazione della ragione”,  di “una ragione di opposizione”.

Per Aldo Moro i tempi della politica devono sempre confrontarsi con la “misura” e con la “ragione”  compenetrando il tutto in una “esigenza politica del momento”.

Conclude il suo Discorso sfrecciando su Tommaso Moro, ma riesce ad intrecciare la lezione di Machiavelli con la “cognizione” dell’essere attraverso un tessuto filosofico: “…noi non possiamo giungere per una ragione di coscienza. Di coscienza, dico, e non già di utilità”.

Si ritorna, dunque, all’intreccio tra la necessità e il bisogno al quale Machiavelli, se pur non direttamente, fa spesso riferimento. Aldo Moro era consapevole, per formazione, di praticare una politica basata sull’ideale e sulla morale (e Tommaso Moro ci sta tutto), ma sapeva anche che la politica si governa con la ragione del realismo.

Machiavelli, pertanto, diventa interprete delle necessità e dei bisogni nel processi politici studiati da Aldo Moro, il quale ha sempre, in modo parallelo, posto delle direttrici, avendo conoscenza, a volte, delle incomunicabilità, tra l’utopia necessaria e la ragione che muove i bisogni della realtà.

Fare della necessità un bisogno e del bisogno una necessità. Una lezione sulla ragione e sull’etica dell’essere:  da Machiavelli ad Aldo Moro.

Un machiavelliano che ha tentato di far incontrare “Il Principe” con l’Utopia di Tommaso Moro. Ciò  resta uno dei nodi (o un snodare l’idea e la forma) prioritari che hanno guidato Aldo Moro nella comprensione di Machiavelli. E diventa un capitolo aperto, o da aggiungere, al nostro “Il Principe. Il Machiavelli di un secolo di mezzo”.






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