HOME D.E. GUEST BOOK SPORT ISCRIVITI DELFINARIO LINKS COOKIE POLICY


•   Taranto, tutto pronto per la Festa di Sant'Antonio 2019
•   “Storia e Architettura”
“San Pietro: l’altra Basilica”.

•   Attenti a quei due: confronto diretto tra Mare e Terra in una sfida tra grandi chef
•   “Percorsi educativi per una società interculturale”
•   MAGNA GRECIA AWARDS 2019


•   MANDURIA (TA): La Coldiretti nella gestione del Parco dei Messapi
•   RICONOSCIMENTO NAZIONALE PER IL PIZZAIOLO TARANTINO PROFESSIONISTA MICHELE DI BARI
•   PULSANO: IL COMUNE FA COPRIRE TUTTE LE BUCHE SU VIA TARANTO



•   Riesame AIA ex Ilva: le valutazioni e richieste di Legambiente
•   Il Dossier Taranto di Legambiente sull’ex Ilva
•   GRETA CHIAMA TARANTO


•  U Tarde nuestre -
rassegna quotidiana

•  Basket
•  Atletica
•  Delfini Erranti Touch Rugby Taranto
•  Altri


Notizie
Ricorrenze
Raccolta Foto


Google
Web DelfiniErranti.Org



stampa l'articolo
Quando la vita è poesia ...
martedì 11 febbraio 2014

da Giovanni Parisi




Il lampione

Il lampione

 

T’aspettavo la sera, sotto il lampione,

Ricordi Concettina la tua gonna fiorita ?

Si ergeva cadente il muro di un lamione,

Sorridevi ed avanzavi un po’ intimorita

 

Sapevi l’ora e dal tuo balcone di gerani,

innamorata mi spiavi il cuore,

facevi ciao ciao con le mani,

sul mio viso spendeva il tuo candore.

 

Quanto tempo , Cettina, è passato !

Quanto silenzio caduto sul rimpianto,

Là vicino le tombe del camposanto,

Ora , chissà, il tuo cuore addormentato.

 

Più non ricordi il profumo casalingo

né le parole, i gesti, la civetteria,

poggiavi la spalla sulla mia e solingo

cinguettava di blà blà la periferia.

 

Abbracciati su una parete dirupata,

era il castello,il nostro, di sogni, alato,

davanti si allargava una scarpata,

profumi d’erbe  vergini ,da ogni lato

 

Fremeva il tuo corpo,  dolce signorina,

si avvampava il viso di rossore,

scendeva la sera e dolce si sfarina,

il tuo incanto di niente; era amore

 

Dolce creatura dei miei sogni lontani,

Concettina, dove sei ? Che fai ?

eravamo cosi, mani nelle mani

Che malinconia ! Chissà se sai !

 

Sapresti rivivere il nostro sogno ?

Vecchia non sei , signorina,

Ogni notte, il viso agogno,

vedo te bambola nella vetrina.

 

La luna veleggiava nel cielo terso,

uno sciaraballo  strideva coi cerchioni,

là, lontano, un punto solo, perso,

una carta gialla sdrucita di maccheroni

 

Un venticello sciorinava il suo violino,

un ragno usciva dalla ragnatela,

un vortice , pampini, in  un mulino

sopra di noi il cielo, una candida tela.

 

Tu mi amavi, io ti amavo,

scorreva il tempo, passava l’ora,

lento fluiva e raccontavo,

il naufragio morto della controra

 

Ora vorrei  incontrarti , Concettina,

vicino all’antica parete dirupata,

ti parlerei di un male antico,

di una musica oramai dimenticata.

 

Ti  parlerei forse della mia vita,

chiuso tra le mura della mia casa

tu ballavi con me la cumparsita,

l’alito  tuo fresco fin sulla cimasa.

 

Quanto tempo è passato ! Che tristezza !

È giunta l’ora  forse del tramonto ?

Mi consumo lento nell’amarezza,

dei giorni, degli anni, ho  perso il conto

 

 Mi appari carezzevole in questi versi,

come fantasma nella notte scura,

resti sempre una stella, nei cieli tersi

mi ritorna l’ombra, ma non mi  fa paura.

 

Sei a me vicina, signorina di paese,

quel caseggiato di case dimenticato,

sento tuo padre, lento,ma cortese,

mi raccontavi di un avo santificato.

 

Ti donavi. Ero felice, tanto tempo fa,

spandevi a me soltanto la tua malinconia,

Il tempo passa e lento disfà,

sentivo l’odore  caldo di casa mia.

 

Tutto è passato, anche la lontananza,

il fluire lento di un fiume in piena,

niente potrà colmare la distanza

Cade sul mio cuore tanta pena.

 

Un dolore invisibile, ma profondo,

la morte avanza ed attendo il giorno,

unica fata vera al nostro mondo,

resto solo ed attendo mezzogiorno.

 

Tu non sai, Concettina,il male dei poeti

Beata te ! Sei agile fanciulla.

 I sentimenti sono mari inquieti,

sognare come un bimbo nella culla

 

Quante volte ti rivedo , signorina,

Indovina che fa il tuo ragazzo ?

Scrive e scrive, vagheggia la sua bambina,

Nel tempo galleggia solo un pupazzo.

 

Non ricorderai il nostro passato,

intimo e solitario il nostro amore,

un solo io, ma tanto inebriato,

riapre le porte il nostro cuore.

 

Eri bella vestita di tulle bianco,

le scarpette di fine seta,

ti ammiravo , non ero stanco,

eri acqua fresca che disseta.

 

Gli aghi dei pini sparsi sul terreno,

le formiche in fila in processione,

tu sapevi ed io fragile, ma sereno,

spuntava da un buco un lumacone

 

Ho perso la tua voce, Concettina,

i tuoi occhi celesti di cerbiatta,

un sogno lontano che si sfarina,

:Che tristezza ! Un vita cosi piatta.!

 

***********************

 

La noia.

 

Sono stanco,

mi aggredisce la noia di ogni giorno,

stessa monotonia, levarsi e dormire,

sono annoiato dell’inverno,

delle primavere e delle estati,

ho visto molti amici nella bara,

ho pianto per loro in silenzio

Sono stanco di vedere la luna ed il sole,

contare le stelle, a sera

Cedo ogni giorno qualcosa, lo so.

Mi nutro di farmaci,

colesterolo, glicemia, diabete

Non sono un povero depresso,

ma un illuso sconfitto,

un cavaliere  in cerca  di un approdo,

non sono che una pietra

di un tratturo di  campagna

una foglia morta che il vento

trascina lontano.

Leggo e penso,

penso e leggo, da mane a sera,

né mi giova il volo delle rondini,

il canto delle capinere.

Osservo le mie povere piante nei vasi,

il vento che pulisce i balconi,

sono stanco del politichese,

delle villanie, delle morti, dei terroristi,

ho visto molto e ho scritto.

Nulla è cambiato, la mia penna vuota,

il silenzio copre Seneca, Virgilio

Lucrezio, Ovidio e padre Dante.

Navigo nell’indifferenza, nell’ozio,

nulla mi giova e il niente avanza.

Vedo il trionfo dei ciarlatani, le grida

dei filibustieri i tanti falsi artisti farsi avanti,

i premi agli scarpari, il trionfo della vanagloria

l’abbandono degli innocenti

vedo, non pongo ripari a nulla.

Il mediocre vince sempre e squarcia le tenebre,

l’arrogante avanza e si vanta,

gli imbecilli, tanti si fanno valere.

Io  resto nel mio piccolo guscio

senza nulla pretendere ed avere.

Non ho piegato le ginocchia davanti ad alcuno,

ed ho pagato caro il prezzo

del mio fatuo orgoglio.

Sono stanco e sfiduciato, privo di illusioni,

sughero galleggiante.

Molti si parlano in faccia e si credono

dei padreterni, io resto solo nel mio cantuccio,

come una pietra abbandonata delle Murge,

un gomitolo di mentastri,

violentato dal vento di tramontana.

Al altri corone di alloro e coppe,

a me basta la stima vera di un solo amico

la voce del silenzio arcano in un casolare,

le guance rosse di un bimbo

le fanfaronate, le spacconate vincono e stravincono,

sempre cosi è stato sotto il nostro cielo,

Sono stanco di vivere una vita

curvo a leggere e  scrivere.

Non cambia nulla. Se vado al camposanto,

mi sento un sopravvissuto ai lager nazisti,

vedo tanti parenti ed amici sorridenti,

nei dagherottipi ogivali,

la data di nascita e di morte.

Che malinconia, povero cuore !

Mi ricorre sempre “ ormai “ come fossi

un vero fossile e la vita finita

Non ho più voglia di perdermi nel dedalo

dei vicoli, avvertire il profumo della penta

della luipinella, del basilico.

Sono stanco, si, lo sono.

Nessuno se ne accorge

e  sopravvivo nel silenzio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Segnala questa pagina
mappa del sito

Per un tuo commento scrivi sul Guest Book del Delfini Erranti


home   cookie policy guest book   sport   cultura   società   ambiente   delfinario   blunote