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La morte della poetessa Nina Cassian
venerdì 18 aprile 2014

di Pierfranco Bruni




 

Muore la poetessa Nina Cassian. Una vita per la parola e nella poesia delle “sparizioni”.  Dalla Romania a New York

 

di Pierfranco Bruni

 

 

C’è modo e modo di sparire. Di respirare.  È proprio vero. Basta un urlo. Oppure bisogna aspettare sino al termine della notte o raggiungere l’inizio del giorno. La poesia è stanza e anticamera. Labirinto e assurdo. Disperazione e assoluto. Dio e  impazienza?

Ma è certo che la poesia non conosce la noia e il relativo. Perché è sempre il mistero e l’alchimia che tagliano l’anima e squarciano il petto dell’impossibile e dell’indissolubile.

La poesia di Nina Cassian, nata in Romania, a Galaţi, 27 novembre 1924 e morta a New York il 15 aprile 2014, è una poesia dalle ali di una farfalla strappate al vento spaginato dalla pioggia battente.

Il triste desiderio di capire il destino ha sempre il destino triste delle solitudini che la parola intreccia con il silenzio. Mai con l’oblio.

Se ci fosse oblio non ci sarebbe l’estrema esasperazione del verso. Come in un cammino in cui la dissoluzione dei miti strazia ogni punto del viaggio. La poesia è il porto scomparso.

Il porto che non si vede e il suono della nave che non si ascolta e non si regge senza il marinaio che va in avanscoperta. Siamo tutti marinai con le mani incallite dai duroni della corda che si tende per rischiare una sferzate del vento in tramontana.

Nina Cassian distrugge le idee e le ideologie. Scappa dal suo Paese. Rinnega il comunismo. La pigrizia della metafora si auto assolve dalla inclusione delle accettazione e riparte dallo scoglio della (sua) vita. È un viaggio più che una fuga. Ma il suo ritorno diventa poi una metafora della fuga. La metafora della fuga.

La fuga è, comunque, un ancestrale scavo nelle assenze del silenzio per consegnarsi completamente alla notte.

Come in Cioran, la cui disperazione dei linguaggi è disperazione di esistenze. Sì, come in Eliade che si cerca nel labirinto e si immagina di navigare tra le rive e le isole di Ulisse. Come Ionesco che recita l’assurdo per trovare l’enigma.

La poesia è una essenza. Sparire. Quanti sono i modi di sparire?

Ci sono modi e modi per sparire. Il titolo del suo libro edito in Italia nel 2013: C’è modo e modo di sparire (poesie 1945-2007)” - a cura di Ottavio Fatica – traduzione di Anna Natascia Bernacchia e Ottavio Fatica – Adelphi 2013, è un attraversamento di fughe, viaggi, acqua tra le dita che bucano il vento. Appunti di anima. Appunti nello spazio e nel tempo.

 

Titolo: “Preghiera”

Se esisti per davvero – fatti avanti,
sii nuvola, caprone, aviatore,
porta con te occhi, bocca, voce,
- chiedimi qualcosa, lascia che mi sacrifichi,
prendimi tra le braccia, proteggimi,
nutrimi con la settima parte di un pesce,
fammi un fischio, dissodami le dita,
ricolmami di aromi, di stupore,
- resuscitami
”.

 

Esisti per davvero. Ma per davvero il desiderio è il destino che solchi i nostri passi.

Perché lungo i passi ci sono le cifre di un dolore che è tragico inquieto degli scavi nella terra del cuore e nell’anima.

Sono scavi tra le zolle dei ricordi che rigano il tempo. Vissuto sconfitto perduto riconquistato.

La poesia è labirintica. Se ci fosse il filo intrappolato tra i sogni i sogni non avrebbero respiro.

 

Io sono io.
Sono personale,
soggettiva, intima, singolare,
confessionale.
Tutto quel che mi accade e si ripete
accade a me.
Il paesaggio che descrivo
sono io stessa
”.

 

E poi silenzio. Perché il silenzio è sempre una trincea. Si resta in trincea per vincere la sopportazione e restare nel gioco infernale della pazienza.

Già, perché la pazienza non è un lento fascino della contemplazione. Si giunge alla pazienza sconfiggendo la disarmonia. Bisogna fermarsi un attimo prima che possa giungere il disamore. Si vince il disamore scavando nei buchi del sottosuolo.

Siamo invasi dalla polvere che non è più sabbia. Dalla rocca che non è più scoglio. Dalla mareggiata che non è più marea. Perché tutto ciò che succede succede nel mio cuore. Ma non succede soltanto. Si ripete anche. E tutto ciò che si vive si vive perché vive in me e io sono la vita. Ed essendo la vita posso essere e sono anche la morte.

In fondo cosa accade nella geografia della mia metafisica, nella geografia della poesia, nella geografia di Nina Cassian?

 

Ecco:

Le unghie si ritraggono,
si gonfiano le dita.
Non scivolano più
sotto il ponte abbattuto dei miei anelli
”.

 

Dopo tutto arriva Celine a congedarsi dalla notte. Non solo dalla sua, ma anche dalla notte nostra. La fine della notte è l’accaduto. E inizia il viaggio nel labirinto che resta, Eliade, la prova tra le caverne scavate nella profondità dello sguardo.

E poi resta :  …- qualcosa che nessuno sa decodificare”.

 




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