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Cosimo Fornaro dantista tra Ginzberg, Ezra Pound e Simone Weil a 22 anni dalla morte
mercoledì 24 settembre 2014

di Pierfranco Bruni





 

 

Uno scrittore che resta. Se ne discutiamo con coraggio bisogna ammettere che Cosimo Fornaro, a 22 anni dalla morte,  è nel Novecento che si dichiara, con le sue partenze e i suoi recuperi di epoche, tra il simbolo e il teatro. Cosimo Fornaro oggi andrebbe riletto, oltre la poesia e il poetico del racconto, con quel suo straordinario studio su Dante scavando nella “costellazione” tra i dubbi e le maschere.
Ci sono maschere pirandelliane e ci sono maschere che portano alla virtù giapponese. Ma la maschera è la traduzione della danza nel gioco triste degli accampamenti achei e nel silenzioso camminamento religioso delle chiese.
Dante è l’Occidente, nel quale riesce a catturare Omero e Virgilio e le stelle della cristianità in un viaggio ancestrale nella cultura islamica di un Mediterraneo diffuso. Ma resta, fino in fondo, Occidente. La lettura di Renè Guenon, nel suo esoterico Dante, è affascinante perché va oltre la “lectura” e inserisce in una “costellazione” la visione sia della storia che del tempo nel cerchio di una magia che è sacra ma non religiosamente appesa alla cristianità.

C’è un Dante che nel suo pellegrinaggio attraversa la cristianità? Didone e Ulisse (Virgilio e Omero) non sono nel mistero cristiano. Sono il mito che si fa mistero. La prova di questa visione è nella dimensione di una contemporaneità grazie alla quale è possibile leggere quella “Commedia” che nasce tra le sponde di una “vita nova” in cui Beatrice è immaginario mariano e non maddeleniano.

Sembra azzardato un tale percorso ma l’esoterismo, di cui parla Guenon e anche la Zambrano oltre che è riscontrabile nella “luce” di Eliade e Zolla è vitale nel concetto di un “iniziato ai misteri”. Iniziato ai misteri non è Agostino ma Omero sì perché non conosce ancora l’inquieta certezza del cristianesimo. Il dubbio pascaliano è nella profezia di Virgilio. Ma Dante resta Occidente.

Cosimo Fornaro nella sua “Costellazione Dante” del 1989 aveva proposta una lettura dentro un Occidente che ha come frontiera comunicante, divisoria e includente sia il concetto di storia sia quello di tempo sia quello di mistero. Il sufismo è una chiave di lettura altra della “Divina Commedia” ma questo discorso implica una complicità di meticciato tra Dante e Kajjam. Tra i poeti “della nostalgia” dantesca c’è il Pascoli della “Minerva” in un illuminato bisogno di uno strato escatologico che ha un rinvio alle fonti musulmane.
Maria Zambrano, mutuando questa lettura, insiste sulle “fonti musulmane dell’escatologia della ‘Divina Commedia’” ma colloca tutta la formazione di Dante in un esilio abitato tra i confini di Occidente ed Oriente. Una comunanza che ci porta ad una lettura di un Dante fratello maggiore di Juan de la Cruz. Il gioco non è teologico ma marcatamente poetico ed è un incastro tra luce e tenebre.

La figura di Santa Lucia è una prospettiva quasi alchemica ma in Omero c’è alchimia: non si spiegherebbe diversamente la figura di Calipso come c’è alchimia nel Virgilio che lascia tra le fiamme Didone, le stesse fiamme che si lascia alle spalle Enea. Ma Dante propone una morale ed è quella morale teologica e non poetica perché la poesia non ha bisogno né di una etica né di una morale ma di una grazia o di una trasformazione del mito in un mistero nel quale la luce e la pesantezza, come diceva Simone Weil, sono le due forze regnanti nell’universo. Ma la Weil si inoltra nella grazia senza usare metafore.

Dante ha bisogno delle Grazie perché ha bisogno di “utilizzare” i processi per capire la storia dentro il tempo. Perché tutto questo? Perché Dante è Occidente. Ecco, allora l’ermetico – alchemico – esoterico di Guenon al quale, non volendo, fa riferimento anche il Pascoli della poesia “L’Immortalità” o il Cardarelli che mutua Dante da Leopardi. C’è sempre una discesa agli Inferi che però condurrà (Zambrano) verso l’aurora. Ciò è nel Dante del “Convivio” ma soprattutto nella presenza di Beatrice, Donna – Maria e non Donna – Eva.
Tutto ha una sua impalcatura antropologica: la colpa, il peccato, la superbia, l’umiltà. Ma sono giudizi. Condanne o non condanne. Sono processi in una cultura. La letteratura dell’Occidente ha ben incarnato le tre vie occidentali di Dante: la grecità, la latinità, la cristianità. Ma in una lettura mediterranea, tra Zambrano e Guenon, Dante diventa universo.

Cosimo Fornaro, una riproposta per la cultura italiana, tutto ciò lo aveva ben capito proprio quando, commentando il II Canto dell’”Inferno” nel v. 94 parla di peccato e di redenzione. E soprattutto quando cita una frase di Ginzberg detta a Ezra Pound. Ovvero: “Ci avete mostrata la via… Il Paradiso è nel desiderio, non nel modo imperfetto in cui è stato realizzato” (nel commento al v. 36 dell’VIII Canto dell’”Inferno”). I poeti, sempre nel suo Dante, il Dante di Fornaro, non chiedono al crepuscolo di insistere o di restare. Cercano la luce oltre il crepuscolo stesso. Cercano le stelle quando la notte si fa buio.

Quando il desiderio viene a mancare le emozioni si incupiscono e giungono i ricordi. Non vorrei che Dante oggi assumesse le parole della nostalgia della morale. In questo emisfero la costellazione è luce. Ma questa luce ha anche i segni di un esoterico vivere la vita oltre il peccato.

Io non vorrei morire di peccato, anche perché non credo al peccato, ma di emozioni. Il Poema dell’amore oltrepassa il mito di Elena. Ma Paolo e Francesca sono l’amore e l’Inferno è una pregiudiziale che condanna l’amore. Tutto il resto è letteratura. Può essere eretico? In letteratura, come mi ha insegnato Grisi, nulla è eretico.

Cosimo Fornaro, sul quale si discuterà a Taranto sabato 27 settembre prossimo, ha indicato nella “teologia” delle “costellazioni” il Mistero e la Grazia. Non due vie. Ma un solo viaggio lungo l’attesa che diventa interpretazione del sempre. Fornaro è uno scrittore dell’universale dentro l’Occidente che legge la Gerusalemme da ritrovare.




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