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Berto: uno scrittore per una lingua che diventa linguaggio etnico
martedì 30 settembre 2014

di Pierfranco Bruni




Uno scrittore per una lingua che diventa linguaggio etnico: Giuseppe Berto con la mia necessità di raccontarlo nel centenario della nascita

Uno scrittore per una lingua che diventa linguaggio etnico: Giuseppe Berto con la mia necessità di raccontarlo nel centenario della nascita

 

 

di Pierfranco Bruni

 

 

 

Lo scrittore Giuseppe Berto ha lavorato su una griglia di linguaggi che hanno sempre un riferimento antropologico. La lingua, per lo scrittore, in fondo, resta sempre un elemento antropologico attraversato da una esperienza  che non è soltanto direttamente esistenziale, ma è anche giocata dentro i codici di un vocabolario.

Tra gli scrittori del Novecento, che hanno usato una struttura linguistica abbastanza composita, oltre Gadda, Pasolini e Meneghello, c’è certamente Berto. Il Berto de “Il male oscuro”. Una forma linguistica sperimentale dal punto di vista strutturale, ma “enigmatica” nella proposta di un vero e proprio vocabolario che usa la parola e la sintassi nella sintesi di un raccontare.

Tra i suoi libri che maggiormente risentono di un apporto antropologico c’è, certamente, “Il brigante”. Ma tutto il trascorrere linguistico di Berto si è mosso da una esperienza che ha la sua precisa funzione antropologica. Questo perché è stato sempre uno scrittore attento alle manifestazioni di una lingua che ha giocato su due piani. Quello della tradizione quello della forza innovativa.

Nella sua “parola” ci sono esperienze ben vissute che vanno da Mogliano Veneto, città natale, a Venezia stessa e da qui alle esperienze di espressioni umane e culturali, la cui koiné è stata mediterranea.

Le sue “guerre” nel Mediterraneo sono anche un intreccio di linguaggi. D’altronde è in quel contesto che si fortifica la sua “azione” di scrittura e di scrittore. A compilare il suo percorso composito di processo linguistico è stato il suo vivere in Calabria e il suo abitare una lingua che Pavese aveva già definito greca anche se il contesto geografico calabro di Berto è abbastanza diverso dalla esperienza vissuta da Pavese.

Comunque la varietà delle lingua e dei dialetti della Calabria  sono una forza trainante in quanto costituiscono un legame tra le lingue del Regno di Napoli e il Mediterraneo.

Berto, da questo punto di vista, si rivela abbastanza legato alla tradizione mediterranea e credo che a cento anni dalla nascita anche questo sarebbe un elemento significativo per approfondire il suo essere scrittore e la sua necessità di scrivere come ho sottolineato nel mio libro a lui dedicato dal titolo “La necessità dello scrittore”. 

Forme di linguaggio e luoghi rappresentano una vera e propria funzione etnica in Berto. Si pensi all’atmosfera mediterranea de “La gloria” o a quella completamente veneziana di “Anonimo veneziano”. Ma la lingua, in Berto, non è mai una costruzione. È una identità che nasce in quell’appartenenza che è fatta di eredità esistenziali e di parlate.

La Calabria lega le eredità del padre con la terra che lo ha visto nascere. Un elemento antropologico nell’essere antropologia dell’anima la sua scrittura. La lingua viene ad essere frammentata per ritrovare la sua unitarietà nelle diversità dei linguaggi.




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