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La scuola nella pedagogia della integrazione
tra minoranze storiche e nuove etnie.
La scuola come riferimento

venerdì 23 gennaio 2015

di Marilena Cavallo





L’esperienza educativa rivolta alla conoscenza della cultura delle minoranze linguistiche nei territori non interessati stor

 

 

Scuola e minoranze linguistiche storiche. Un confronto che si apre a ventaglio per gli Istituti scolastici di ogni “ordine e grado”. Mi sembra un dato significativo soprattutto per aprire nuove finestre sui nostri territori. Modelli culturali e lingue nella diversità delle storie. Per stare insieme attraverso la parola e le identità inclusive nei confronti tra civiltà ed eredità. Una osservazione che faremo nostra all’interno di un fare scuola con quei parametri che sono le minoranze storiche presenti in Italia.

L’esperienza  educativa  rivolta alla conoscenza della cultura delle minoranze linguistiche nei territori non interessati storicamente (storicamente soltanto in parte) ad una matrice e ad una eredità etnica che rimanda a parametri cosiddetti di lingua minoritaria risulta sempre più interessante perché pone in essere alcune questioni sia di ordine comparativo antropologico sia di natura strettamente legata alla capacità di ricezione e di strategia di culture diffuse.

In questo senso il ruolo della scuola diventa sempre più importante e necessario.

La scuola è una agenzia nella quale il modello multiculturale costituisce una chiave di lettura di apprendimento di modelli e strategie ad intreccio. Soprattutto la scuola della nuova riforma ha la necessità di confrontarsi tra le identità acquisite e le appartenenze “altre”.  La scuola come riferimento, dunque, tra lingua, tradizione ed identità.

In una società in cui il concetto di etnia o di comprensione dei significati e significanti di “etnocentricità” diventano elementi culturali includenti la scuola non può essere intesa come “struttura” che si apre alle società ma ridiventa sempre più agenzia della società e come tale deve avere la forza e la capacità di raccogliere istanze che provengono da realtà articolate non solo dal punto di vista antropologico in sé ma anche linguistico.

Le minoranze etno – linguistiche sono testimonianze di fenomeni in cui l’espressione culturale diventa articolata attraverso delle varianti che provengono da diverse conoscenze perché la stessa è contaminata ma parimenti diventa contaminante.

Una “scuola assorbente” è una scuola motivata perché mette in moto delle caratterizzazioni individuali e di gruppo in cui il portato esperenziale diventa formativo e formante in un intreccio di fenomeni che hanno una loro valenza prioritaria: la conoscenza.

Soprattutto in quelle scuole che ricadono nei territori dove non c’è una memoria storica etno – antropologica e linguistica diversificata compararsi con le lingue altre ( lingue tagliate come si usava ripetere alcuni anni fa) significa non solo aprirsi ad una integrazione comprensiva ma ad una conoscenza valorizzante.

Ormai molti Istituti scolastici, al di là della questione relativa alle minoranze linguistiche storiche, hanno costanti rapporti con le culture migranti proprio attraverso la presenza di alunni che provengono da altri Paesi, da altre comunità, da altre identità.

Questa apertura interessa certamente il confronto con una società sia multietnica sia pluriculturale ma un discorso completamente diverso è quello delle scuole che vivono il fenomeno di un bilinguismo storico o di una cultura radicata come quella Italo – albanese o grecanica, quella catalana ad Alghero o occitana nell’area delle valli piemontesi (zona Pellice), quella ladina o friulana con una koinè ben definita e così via.

È su queste strutture territoriali che la comparazione tra minoranza storica (sia etnica che linguistica) e tessuto scolastico trova una sua importanza nevralgica sia sul versante istituzione e giuridico (la Legge 482/99 è una dimostrazione della sintesi di alcuni proposte e di alcuni risultati oltre ad essere ancora un punto di riferimento per ulteriori necessità che permettono l’utilizzo di un percorso di pedagogia della conoscenza) sia su quello prettamente educativo che tocca aspetti inerenti la storia e la tutela di un processo fatto di tradizioni, di intrecci tra lingue, di costumi, di scavi puramente identitari.

Ci sono esperienze che vanno recuperate come quelle sottolineate tra territori che portano una loro cultura di bilinguismo vero e proprio e territori monolinguistici (e anche monoculturali) che  vivono però sullo stesso tessuto geografico, o meglio sono comunità confinanti.

Ci sono diverse realtà che si presentano in un tessuto paesaggistico similare. A distanza di ottocento metri, faccio un esempio, si riscontrano comunità Italo – albanesi affiancate a paesi di lingua e tradizione completamente italiana. La scuola, in questi casi, deve saper dialogare e non può creare degli steccati a priori o delle nette separazioni partendo da un presupposto principale che è quello del confronto a tutto tondo tra culture e lingue.

Credo che il vero modello di integrazione contaminata e valorizzante passi dentro questa rete di contatti e intermittenze antropologiche. D’altronde, la scuola è anche una agenzia delle conoscenza e del recupero delle antropologie disperse.

Abbiamo due contesti. Il primo riguarda il rapporto tra scuole e minoranze linguistiche nelle comunità che rientrano nella normativa di tutela delle minoranze perché le comunità hanno una loro radice storica etno – linguistica ben definita. Il secondo, invece, riguarda il dialogo tra scuole e territori che non presentano una realtà di bilinguismo ma viciniori alle comunità che vivono nel contesto culturale e  giuridico del bilinguismo.

Cosa fare? Si pone il problema per le scuole non interessate al bilinguismo storico? È un interrogativo sul quale occorre chiaramente riflettere. Occorre però una lettura complessiva, soprattutto in termini culturali, del fenomeno da parte delle scuole non interessate al bilinguismo storico ma che accolgono però alunni provenienti dalle comunità di minoranza linguistica.

Si parte da una considerazione che ha una visione geografico – territoriale. In fondo il tessuto territoriale è unico. La scuola dell’accoglienza è una scuola che si apre non solo al confronto, è un dato già risolto questo, ma deve insistere su una proposta che è quella della cultura ad intreccio.

Pur non usufruendo dei diritti della normativa vigente inerente la tutela delle minoranze linguistiche, la scuola deve raccogliere, dico raccogliere e considerarli come esperienze sul territorio, i patrimoni linguistici dei territori vicini e fare in modo che la cultura definita possa diventare un percorso di “culture comprese e capite” come patrimonio di una eredità di beni storici, linguistici, umani.

Il nostro è stato sempre un Paese delle etnie e delle lingue incluse. Proprio in virtù della nostra storia linguistica (unitaria, articolata e disomogenea), che parte da molto prima della Unità d’Italia, il modello etnie – lingue è un rafforzativo in una scuola delle identità ritrovate e delle appartenenze, antiche e contemporanee, coinvolgenti in un dialogo tra pedagogie del rispetto, minoranze linguistiche e comunità con “antropologie confinanti”. La scuola sempre più gioca un ruolo importante sia nel campo delle integrazioni moderne sia nella comprensione delle etnie storiche presenti nei nostri territori.

 




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