La scuola deve ripartire da 
  D’Annunzio per capire il MEMENTO AUDERE SEMPER della Grande 
  Guerra in un centenario da celebrare
  La sintesi 
  tra letteratura e trincea sino al sentimento di Italianità
   
   
   
   
        La scuola 
  tra D’Annunzio sino a Seneca “spiega” MEMENTO AUDERE SEMPER partendo 
  dagli scrittori che hanno fanno la guerra e hanno vissuto la trincea. In fondo 
  per capire la Grande Guerra la scuola deve ripartire da 
  D’Annunzio.  Letteratura in Trincea. È uno dei temi fondamentali 
  che, all’interno di una dialettica tra impegno, interventismo e irredentismo, 
  “smobilita” il pensiero tra storia e linguaggi nei processi del Novecento. 
  
  Nel dibattito, che non si è mai assopito nel corso di 
  questi anni, su letteratura e Grande Guerra Gabriele D’Annunzio resta, 
  comunque, un protagonista tra pensiero e azione. Infatti nella tragedia della 
  Prima guerra mondiale D'Annunzio trova uno spirito profondamente nobile. Lo 
  trova nei momenti dell'interventismo, ma anche successivamente sino al sorgere 
  del fascismo stesso. Ma vive con intensità quegli anni tanto che fu artefice 
  di numerosi discorsi il cui punto nevralgico era il nazionalismo. Volle 
  partecipare alla guerra da protagonista. Di questo parleremo in Campidoglio, 
  il 13 febbraio prossimo, a Roma io e Neria De Giovanni in un dibattito sul 
  nostro: “Gabriele D’Annunzio. Io ho quel che ho donato” (Nemapress). 
  
   
   
   
        Per le 
  autorità militari, invece, D'Annunzio doveva rappresentare un simbolo, un 
  emblema, una bandiera, considerata soprattutto la sua età. Nel 1915 il poeta 
  aveva già 52 anni. D'Annunzio non accetta questa "immaginetta" e chiede 
  addirittura di essere impegnato come soldato. “Diari di guerra 1914 - 1918” di 
  D’Annunzio costituiscono un punto di riferimento non solo del rapporto tra il 
  Vate e la trincea, ma si scava in una esistenza di letterato tra il pensiero, 
  il pensare e il combattere.
   
        Presidente 
  del Consiglio dei Ministri era Antonio Salandra e a lui D'Annunzio il 29 
  luglio del 1915 scrive una lettera, nella quale si legge: "Io non solo un 
  letterato dello stampo antico, in papalina e pantofole. Io sono un soldato. Ho 
  voluto essere un soldato, non per stare al caffè o a mensa, ma per fare 
  semplicemente quel che fanno i soldati. Ho una situazione militare in perfetta 
  regola. Non soltanto ho la facoltà, ma ho l'obbligo di combattere". 
  
   
        In questa 
  cesellatura c'è tutto il suo spirito, la sua esuberanza, il suo protagonismo 
  ma anche il suo aspetto profondamente "guerriero", i cui ideali avevano quella 
  caratterizzazione, appunto, superomistica la cui concezione estetizzante 
  veniva applicata completamente all'evento bellico. La guerra per D'Annunzio 
  era un fatto esaltante ma anche un gesto che doveva portare al rinnovamento 
  attraverso un impegno civile e spirituale.  
        Era il 
  poeta soldato. Il poeta della contemplazione e del "piacere", il poeta del 
  bello e dell'alcionico, il poeta sensuale e greco diventava così il poeta 
  dell'azione. La guerra era, per D'Annunzio, azione. Lo dimostra, d'altronde, 
  la lettera indirizzata ad Antonio Salandra. 
        Durante un 
  azione D'Annunzio perse un occhio. Era il 16 gennaio del 1916. Durante 
  un'operazione di volo alla volta di Zara ebbe un incidente. La tempia destra 
  urtò violentemente contro la mitragliatrice di prua. Quel colpo gli causò dei 
  gravi disturbi tanto che fu costretto ad una pausa di riposo e a restare 
  bendato. Aveva perso la vista all'occhio destro. Ma questo non fermò la sua 
  attività militare. Riprese in pieno la sua attività e anche a 
  volare.
     
     C'è da dire che D'Annunzio è stato 
  dentro le cause dell'interventismo della Prima guerra mondiale (la sua 
  battaglia per un'idea di nazionalismo resta una testimonianza emblematica). 
  
   
        Fu, 
  infatti, proprio la grande guerra a riempirlo di nuova vitalità. Infatti oltre 
  ad essere presente con discorsi che invitavano gli italiani ad entrare in 
  guerra a guerra scoppiata si arruola come Tenente dei Lancieri di Novara. 
  
        Nel 1916 
  venne, come si è detto, addirittura ferito ad un occhio. Questa esperienza lo 
  portò delle pagine importati alle quali diede il titolo di “Notturno” 
  (una vera e propria metafora che testimoniava il suo stato di salute con la 
  vista). 
        Subito 
  dopo questo episodio D'Annunzio si contraddistinse per la "beffa di Buccari" 
  nel 1918 e il volo su Vienna dello stesso anno. 
   
   
       Cosa è stata, in 
  realtà, la beffa di Buccari? La notte tra il 10 e l'11 febbraio del 1918, 
  insieme ad altri 20 compagni, portò a termine un azione di siluramento di un 
  piroscafo austriaco ancorato nelle vicinanze di Fiume, in una baia denominata 
  Buccari. Il comandante di questa azione era Costanzo Ciano. 
        Il volo su 
  Vienna, invece, è stato un atto dimostrativo importante. Il 9 agosto del 1918 
  volò su Vienna ammantando la città di manifestini che recavano dei messaggi. 
  Un atto dimostrativo di coraggio che rese popolare la figura militare di 
  D'Annunzio. 
        Egli è 
  stato fautore delle istanze contro la "vittoria mutilata" alla fine della 
  guerra stessa e condusse quella "presa" di Fiume come un atto non solo 
  militare ma intriso di forti connotazioni ideologiche, spirituali e 
  nazionalistiche. 
        D'Annunzio 
  rivendicava all'Italia, dopo la fine della guerra, il diritto a tutto 
  l'Adriatico sino a Valona. In quel contesto numerosi furono le strategie 
  diplomatiche per raggiungere accordi su questo problema. Restava in piedi una 
  questione irrisolta: Fiume. A capo di un piccolo esercito D'Annunzio occupò, 
  il 12 settembre del 1919, in nome dell'Italia, (pur contro gli accordi 
  raggiunti dai Governi), la città di Fiume. La si ricorda come l'impresa 
  fiumana. 
        Qual era 
  lo scopo di tale impresa? Era principalmente quello di creare, nell'opinione 
  pubblica, una sollevazione contro i patti della Conferenza di Parigi. Nel 
  settembre del 1920 venne proclamata dai legionari di D'Annunzio l'indipendenza 
  di Fiume e nella stessa occasione venne emanato un “Ordinamento dello Stato 
  libero di Fiume” (meglio conosciuto come la "Carta del Carnaro"). 
  
        
  L'occupazione della città e la cosiddetta "Reggenza del Carnaro" non 
  risolsero, comunque, il problema. Man mano D'annunzio venne lasciato solo 
  nonostante gli appoggi economici di molti industriali di quell'area 
  geografica. La questione si risolse nel dicembre del 1920 quando il Presidente 
  del Consiglio Giovanni Giolitti, in virtù del Trattato di Rapallo, ordinò di 
  soffocare nel sangue l'impresa dannunziana. Infatti, Fiume venne bombardata e 
  i legionari lasciarono ben presto la città. 
   
        D'Annunzio 
  è stato, sostanzialmente, un precursore di quelle istanze di cui si 
  approprierà Benito Mussolini con la nascita del Fascismo (come Partito nel 
  1919 e successivamente con la Marcia su Roma nel 1922). Dopo l'impresa fiumana 
  D'Annunzio era ormai stanco della vita politica e delle azioni militari. 
  Aveva, comunque, creato le basi teoriche sulle quali il Fascismo iniziale era 
  nato. 
        L'impegno 
  diretto politico, nonostante qualche altro tentativo, non lo stimolava più. La 
  stessa Marcia su Roma venne accettata con quasi indifferenza. Rinunciò 
  spontaneamente a qualsiasi altra azione anche durante i primi anni del Regime. 
  
        Su 
  Mussolini, nonostante la loro amicizia, nutriva anche molte diffidenze pur 
  condividendo alcune impostazioni ideali. Ma si allontanò completamente dalla 
  politica e il Fascismo lo rispettò proprio per la sua indifferenza e il suo 
  distacco dalla vita del Regime.
   
        
  D'Annunzio, proprio negli ultimi anni della sua vita, aveva invitato 
  Mussolini a restare fedele all'amicizia con la Francia. In una lettera di 
  D'annunzio al Duce dell'11 aprile del 1935 si legge. "Tu sai - se ti ricordi 
  d'altri nostri colloqui arcani - quanto mi sia cara la nostra rinnovellata o 
  principiata amicizia con la Francia". Mentre non condivideva la posizione 
  della Germania e non condivideva un accordo di Mussolini con Hitler, il quale, 
  quest'ultimo, era definito, dal poeta, l'"Attila imbianchino".
   
        Tre 
  momenti (l'interventismo, la battaglia per la vittoria mutilata e il 
  nazionalismo, la  nascita del Fascismo), dunque, che 
  lasceranno un segno in quell'Italia che si prepara alla guerra e 
  successivamente al Fascismo ma da scrittore e da intellettuale non misura, in 
  termini politici, le conseguenze. 
        Ecco 
  perché resta, fino in fondo, un poeta. Un poeta con la sua quotidiana tragedia 
  del vivere che trasporterà completamente nei suoi scritti la sua passione, la 
  sua intemperanza e quel bisogno di sfuggire al tempo. 
        Non 
  bisogna dimenticare un contesto storico ben preciso. Dal 1916 al 1920 sono gli 
  anni della preparazione politica e militare. Sono gli anni che preparano una 
  ricca discussione sul nazionalismo, sul sindacalismo, sul socialismo, sul 
  fascismo. Da questa discussioni si innerva il D'Annunzio comandante, il 
  D'Annunzio che marcerà su Fiume.
        Non c'è 
  dubbio che il D'Annunzio di Fiume è un D'Annunzio anarchico ma anche 
  profondamente nazionalista. La sua rivolta fiumana è una manifestazione di 
  difesa del nazionalismo. Nella sua marcia e nei suoi legionari c'è la 
  testimonianza della guerra e con le conseguenze del dopoguerra e c'è 
  soprattutto la preparazione al fascismo che troverà in Fiume una prima 
  prova.
   
        C'è da 
  dire che Gabriele D'Annunzio trasforma la retorica in estetica. I suoi canti, 
  i suoi versi, il suo atteggiarsi ci portano ad una cultura del movimento della 
  parola intesa anche come estetica della forma. L'idea di Patria in D'Annunzio 
  resta sempre centrale. Un’idea fondante che trova in un motto antico innovato 
  l’essere del pensare la vita come un combattimento sempre. La Grande Guerra è 
  anche quel suo MEMENTO AUDERE SEMPER.