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La mezza luna non è un simbolo o un archetipo ma una danza. Garcia scrive a Sarashil
giovedì 9 luglio 2015

di Pierfranco Bruni

L’Oriente si confonde nel rosso tramonto di un mare che tocca l’Occidente… Echi di conchiglie e danze di Sufi…
Sono Garcia. Scrivo una lettera… Una lettera per Sarashil… Non è neppure una lettera… Sono parole consegnate a pagine bianche… Affido queste mie parole ad un io narrante che non narra, non racconta, non definisce… Ma ecco… Non sono un intruso. Dentro queste pagine sono il protagonista insieme a Sarashil …



Da questa frontiera ti penso e pensando ti chiamo tra una stella caduta e una cadente e i fili sottili della luna si intrecciano e segnano i nostri viaggi tra un tremore di senso e una favola che è bella oltre ogni certificata bellezza... e sei vita, vita nell'infinità...
Perché soltanto nella Infinità, Sarshil mia, si vive lo spazio dell'eterno nell'estremo illimite del tempo che non può sfiorare l'intensità e l'immensità dell'amore, che è forza, e questa forza accompagna ogni partenza nella trasparenza dell'attesa, che scruta l'onirico dell'anima nella fessura della sensualità, che ha il respiro dei baci delle carezze del silenzio nell'ascolto del mare le cui onde toccano il cuore e il corpo tra la tenda della stanza e il soffio del vento, che trascina immagini nella passione che è fuoco...

Sarashil mia non sei un punto e neppure una distanza...
Tu resti la vita e tra le mie mani scivolano i tuoi profumi sino a toccare l'estasi e il sublime ora e sempre...
Da questo orizzonte ti scrivo... Ti scrivo non per giustificarmi o per giustificare il mio non arrivo a Tunisi… Ma sei convinta che io non sia giunto nella tua Medina e non abbia abitato la tua casbah?
Io non ho più certezze, non ho certezze salvifiche… Non ho le tue certezze e non ho Maometto che mi possa dare un segno di salvezza… Io eretico per vocazione, e lacerato nell’anima per mestiere, sono una costante provocazione nei miei stessi confronti…
Sarei venuto con te nella Città Santa ma non avevo e non ho la consapevolezza sia religiosa che storica… Forse ci sarei venuto per una metafisica antropologica, che mi accompagna, ma avrei usato la ragione e non la fede e tanto meno la religiosità del tuo sguardo…
Non credere che io non sia affascinato dalla tuo forza religiosa… Io in te ho trovato il fascino del mistero e la vocazione al martirio che è fedeltà ad una bellezza oltre la teologia…

Quando ho scritto le pagine del mio romanzo La pietra d’Oriente ho cercato di leggere la luce e il buio delle dune del deserto e delle onde del Mediterraneo… Tu già c’eri e ti chiamavi Nadine, ovvero speranza… ed ho camminato con te lungo tutti i capitoli del libro, inventandomi destini e intrecciando segreti nel viaggio di Cristo, ma ti osservavo con molta trepidazione.
Ho posto il capitolo a te dedicato, in modo particolare, alla fine per segnare l’inizio di un nuovo cammino che mi ha condotto sin qui.
Non per paura o per tremore io sono dove tu non sei e tu sei dove io non sono. Non ci siamo persi e neppure abbiamo creato separazione, perché se sono qui a scriverti e se questo raccontare continua significa che non abbiamo trovato il punto di contatto nella verità delle cinque lune che restano il canto del Muezzin o dei Muezzin.
Questo punto ha la preghiera della salvezza.
La tua mezza luna che non è un simbolo o un archetipo, bensì è una danza, ha la visione della mia conchiglia che mi porta verso la salvezza che è la salvezza che tu cerchi nella luce della Città Santa. Luoghi del silenzio e della preghiera nella profezia del pellegrinaggio. Ma io credo nel tempo. Nell’eterno finito.

Tu non hai tempo, o meglio non conosci il tempo, e per te l’infinito resta il viaggio indefinibile ma certo che ti condurrà in quell’Assoluto che è il dio della suprema verità.
Segni con il tuo pensare nel vivere e con il tuo vivere nel pensiero le parole del Corano e ti lasci guidare tra le terre dell’Islam ed io avrei dovuto seguirti?
Ho spezzettato la mia anima e non l’ho dedicata all’Occidente o al cattolicesimo della teologia.
Sempre più divento eretico perché soltanto così ho la disperazione della libertà e l’eresia ci rende, mi rende, non trasgressori, ma forti proprio nel momento delle grandi crisi spirituali.

Vorrei che tu non rispondessi a questa mia breve riflessione.
Vorrei che tu non rispondessi e vorrei che non mi cercassi più.
Ti cercherò io se avrò bisogno della tua mano e del tuo sguardo.
Io mi incammino fissando una stella lontanissima e ascoltando il mare nel suo infrangersi sulle rocce. Ho scelto la solitudine perché è la solitudine che salverà dall’agonia della nostalgia.
Mia Sarashil fai il tuo viaggio. Segnati nel tuo destino.
Il nostro incontro sul volo Roma Tunisi non è stato un caso. Non credo nel caso. È stato un incontro senza appuntamento nello spazio che lega il destino alla profezia.
Tu sei partita da Roma con tante incertezza e in Oriente hai scavato nel canto della preghiera con la complicità della luna. Io, invece, dalle certezze sono entrato nel labirinto del dubbio.
Ho rischiato il sottosuolo, ma da quelle memorie ho trovato la forza per capire l’elogio della follia e dell’oblio. Ma la mia terra non è l’Occidente e non è neppure il tuo mondo.

Non chiederti più perché l’aereo non è atterrato o perché in quell’aereo io non c’ero. Ha preso un’altra rotta. Ho preso un’altra rotta. Io resto ancora sospeso in volo e tu incamminati, senza aspettarmi ancora, nei luoghi che ti faranno approdare nel sogno delle spose sublimi. La Mecca. Qui dove vivo ora non ci sono fantasie, ma neppure realtà.
Non mi inseguono più i fantasmi e tanto meno le finzioni. Io e te non siamo fantasmi e neppure finzione. Siamo nel vento. Tra l’Oriente dei dolci profumi di miele e l’Occidente che tenta di rubare più notti possibili alle mille che noi non abbiamo vissuto.

Forse un giorno ci ritroveremo. Io con l’azzurro e il bianco degli uomini del deserto o del mare e tu con i veli di Cleopatra tra i fianchi e sul viso.
Ti chiederò soltanto di concedermi l’estasi di un’altra danza ancora e poi basta. Farai silenzio. Sarai silenzio. E il silenzio farà compagnia alla solitudine.
Non scrivermi, non rispondermi, non cercarmi.
Resta con il tuo chador a raccogliere l’attesa della speranza o la speranza della salvezza. Io non voglio alcuna salvezza e raccolgo memorie per disperderle lungo il viaggio della mia assenza.
Ti scrivo dalla frontiera della solitudine e la trincea è ormai colma di terra.
Puoi immaginarti il mio viso, le mie rughe, le mie espressioni e ogni segno sembra dirti e sembra darti.
Io non immagino più il tuo volto. Sono i tuoi occhi a invitarmi, a sfidarmi, a raccogliermi. Soltanto il tuo sguardo.

Si è fatto tardi.
Non so se è sera o è l’alba. Ormai non ha alcuna importanza…
Cosa è che ha importanza… Cosa ha importanza…
Non scrivermi. Ho smesso anche di leggere…



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