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Factus eram ipse mihi magna quaestio ma smetto di raccontare di Garcia e Sarashil …
venerdì 10 luglio 2015

di Pierfranco Bruni


Il vento sfiora la linea degli orizzonti.
Sono trascorsi anni e Garcia e Sarashil non si sono più incontrati.
Garcia è sempre in viaggio. Anzi è un viaggio. Ha percorso le vie del mistero cercando l’eterno finito tra gli echi assopiti di una conchiglia e il canto perso della nostalgia.
Sarashil ha superato gli specchi ed è andata oltre la Mecca. Sarà tornata nella sua Medina e poi è ripartita per la Cappadocia. Così mi è stato detto.
Anch’io l’ho cercata. L’ho cercata perché mi è stata recapitata una lettera di Garcia indirizzata a lei. Forse una risposta alle parole di Garcia. Ma sono passate stagioni di maree e di ossi di seppia trascinati nella risacca.
Il tempo resta una trincea dove la luna cade a frammenti nel deserto e il deserto è lo spazio degli indecifrabili passaggi di silenzi che hanno il passo dei destini.
Sarashil ha scritto.



“Mi hai chiesto, caro Garcia, di non rispondere ma non è possibile che la tua lettera possa restare senza una mia considerazione che, comunque, non vuole essere una risposta. Non ho ben compreso perché quell’aereo non è mai atterrato. Se non è giunto a Tunisi dove è finito?
Solcare ogni parola è definire l’oltre che abita il finito e abitarlo, questo oltre, è come andare lungo il camminamento dell’infinito. Il nostro distacco si è sempre giocato intorno a due parole: l’eterno e il finito, ovvero l’infinito e la fine.
Ci siamo abitati scrutandoci l’anima. Ogni nostra fisicità veniva ad essere superata dal cerchio magico dell’anima. L’anima è invisibile e l’invisibile è un attraversamento che porta dentro il fuoco il sogno la luna.
Avrei voluto che tu restassi con me e che il mio viaggio verso la Mecca fosse un desiderio tuo e mio e un destino nostro. Hai voluto interrompere la profezia del dio che conduce la verità verso la salvezza.
Devi sapere che se la verità non tocca le sponde della beatitudine e della salvezza non ha senso, perché si muove nell’intangibile.
Siamo frontiera ma siamo anche spazio.
La preghiera trova la sua illuminazione superando la frontiera e collocandosi nello spazio dell’infinito.
Tu hai sempre insistito sul finito, ma non sul finito eterno bensì sull’eterno finito e mutano la teologia e il mistero perché muta il tempo delle definizioni.
So che ci incontreremo. Tra i sette cieli del Paradiso oppure tra un canto della preghiera e una mezza luna tra le cinque lune.
Ti consegno soltanto il mio sguardo. I miei occhi, che restano la tua estasi, individueranno la luce del sublime e saranno meraviglia e stupore.
Tu non smetterai di interrogarti sulla mia vita e non smetterai di chiederti il perché della mia scelta.
L’Oriente lo porto nel cuore. Se tu sei viaggio, amato Garcia, tra le tue terre io sono l’Oriente. Sono quell’Oriente che hai sempre cercato, che hai sempre portato con te inavvertitamente, che ha la voce del vento e il grido dell’alba, che ha le cinque preghiere al confine del sorgere delle cinque lune.
Pur non smettendo di domandarti ti dirai, con Agostino, che tu resti per te un problema.
Il cuore si interroga ma l’anima no.
Io ti aspetto. Se vorrai mi troverai. Io non ti troverò perché non verrò a cercarti, ma se ti dovessi cercare sarà perché ho avvertito nella voce del mare la tua presenza.
Noi viviamo ormai di pensiero e di silenzio. Sia l’uno che l’altro sono radici di civiltà e di amore nel nostro cammino.
Ora ti saluto, ma noi non ci perderemo e non ci sarà dolore tra te e me perché siamo, nella persuasione, un viaggio indefinito e indefinibile. Ci ritroveremo!”.

Come farò a consegnare questa lettera a Garcia?
La affido a queste pagine.
Sono convinto che Garcia la potrà leggere o che qualcuno potrà riferire che c’è una missiva di Sarashil che l’attende.
Il vento non smetterà di raccontare e di raccogliere granelli di sabbia e stille di rugiada e di albe appena accennate.
Non so però, giunti a questo punto, se tra Garcia e Sarashil c’è stato amore e se amore c’è stato il sublime ha toccato la sensualità dei tremori? Ogni tremore resta un brivido nella passione e la passione è un cerchio magico che lega, stringe, intreccia e mai divide, ma se dovesse dividere significa che non è passione nell’amore o amore nei tremori della passione.
Il vento è un’onda e nello sguardo di Sarashil i riflessi della notte di Garcia. L’onda è nel labirinto dei passi di Garcia e i solchi sono il cammino di Sarashil.
Sarà vero che Garcia per se stesso è un problema?
Perché Sarashil ha citato Agostino? Restano sempre interrogativi, ma non è detto che bisogna continuare ad insistere costruendo nuove pagine per dare risposte…
I romanzi sono libri incompiuti… Ho già detto ciò…
Gli interrogativi restano e il lettore darà, volendo, una propria risposta…
Sono convinto che “factus eram ipse mihi magna quaestio”…
Non so però se queste parole di Agostino delle Confessioni del Libro IV sono per Garcia o sono per me o anche per me…
Ora che conosco a metà questa storia sono consapevole che io stesso ero, sin dall’inizio, divenuto per me un grosso problema… prima che questo libro cominciasse la sua confessione…
Sono io il mio problema? Ero… E ora? Io o Garcia? O entrambi?
Ma, ormai, Garcia capirà e Sarashil ha già compreso…
Il canto è giunto alle cinque preghiere e le lune sono cinque nel conto delle ore, mentre il Muezzin resta ad accogliere il vento del mare e del deserto…




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