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Proposte culturali
martedì 17 aprile 2018
da Piefranco Bruni



 

 

 

 

 

Celebrazioni nazionali dei 110 anni della nascita di Cesare Pavese a Cosenza per la “Maria Cristina di Savoia” con la presenza di Pierfranco Bruni del Mibact – Venerdì 20 aprile – Biblioteca Nazionale

 

Cosenza celebrerà i 110 anni della nascita di Cesare Pavese con un appuntamento di alto profilo culturale sul tema “Cesare Pavese tra storia e letteratura. L’incontro è fissato per venerdì 20 aprile alle ore 16.30 nei saloni della Biblioteca Nazionale di Cosenza – Mibacat, Piazzetta Toscano.

La manifestazione è organizzata dal Convegno di Cultura “Maria Cristina di Savoia” presieduto da Angela Gatto, che introdurrà la serata. I saluti saranno portati dalla Direttrice della Biblioteca Nazionale Rita Fiordalisi e da don Salvatore Fuscaldo, Assistente del Convegno di Cultura.

Le relazioni saranno svolte da Pierfranco Bruni, Direttore archeologo del Mibact e autore di numerosi libri su Pavese, che si soffermerà su: “Pavese. La disubbidienza della letteratura nel mito”, e da Matteo Dalena che tratterà: “La storia nella vita e negli scritti di Pavese”.

I lavori inizieranno con la proiezione di un Video su Cesare Pavese di Pierfranco Bruni e curato da Anna Montella e si concluderanno con un ulteriore Video curato da Stefania Romito sul Confino di Pavese secondo la lettura di Bruni. La lettura dei testi è affidata a Michele Lionetti. L’incontro gode di prestigiosi patrocini.

Cesare Pavese. Uno scrittore che ha attraversato le malinconie dell’amore in un vissuto di esistenze e di parole. Lo scrittore che non ha mai creduto nel realismo e non credendoci non lo ha mai accettato. Uno scrittore osteggiato e temuto perché la sua poesia e il suo romanzo hanno fatto scuola, ovvero hanno creato degli indirizzi letterari, estetici e linguistici. Era nato a Santo Stefano Belbo il 9 settembre del 1908. Muore, suicida, il 27 agosto del 1950, in una stanza dell’Albergo Roma di Torino.

Molto diversi dagli altri scrittori della sua generazione. Ha lasciato allievi che lo hanno tradito. Succede così ai veri maestri. Infatti Cesare fu un maestro.
Da “Lavorare stanca” a “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”, da “Paesi tuoi” a “La luna e i falò” la griglia simbolica è un percorso di archetipi e di miti sino a toccare la bellezza e la morte dei “Dialoghi con Leucò”.


“Pavese è un  percorso unico nel contesto del Novecento, ha dichiarato Pierfranco Bruni, tra i massimi studiosi dello scrittore piemontese, che la critica italiana non ha mai capito abbastanza e tanto meno hanno compreso i compilatori delle antologie scolastiche e tanto meno i docenti che si formano su tali antologie. Pavese resta un riferimento”.

Si tratta di uno straordinario e originare appuntamento perché porrà all’attenzione ilo dialogo pavesiano tra letteratura e storia attraversando i segmenti del mito e dei simboli.

 



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La scuola italiana sul filo del ciarlare platonico e del Dante teologo è scollegata dalla dialettica seria

Pierfranco Bruni




Se Platone è un ciarlatano Dante è un profeta non capito dai dantisti che pensano di spuegarlo

 

 

 

 

 

La scuola è faziosa. Crede di possedere la verità su fatti e pensieri tramandati faziosamente. Il problema è che chi insegna non riflette mai sulla faziosità. Ripete una faziosità come se fosse un rito. Così si generano menti faziose e incolte.

Di Scuola bisogna parlare. Ma oltre le schedature antologiche di un “pappagallismo” senza stile. La letteratura  necessita di un pensiero filosofico forte se tale vuole restare. La cronaca non fa letteratura. Potrebbe creare piuttosto rappresentazione. 

La rappresentatività della parola crea, comunque, dissolvenza. Se la parola dovesse sgretolarsi nella tradizione senza il recupero dell'immaginario resterebbe una retorica deficitaria di significante. 

Tra filosofia e letteratura vive la magia. Ovvero l'alchimia. Occorre coraggio ma anche cultura.

Più volte mi sono soffermato su tali elementi che chiamerei epistemologici e archetipali.

 

Perché intreccio la filosofia con la letteratura e la magia?
Una domanda che mi è stata rivolta in un recente convegno.
Risposta immediata: Perché  penso che Platone sia un ciarlatano e Seneca ha inventato il morire della morte. Unico filosofo in un tempo di chiacchiere senza sottosuolo.
Un completo putiferio soprattutto da parte dei docenti schedati ieri come oggi. 

Cosa voglio dire usando il termine docenti schierati? Che non vanno oltre la dicotomia dei testi base di letteratura e di filosofia o di storia. 

Testi impostati che lasciano poco spazio alla dialettica e che non permettono una discussione di fondo. 

Da epoche recitiamo il solito ritornello e inquadrano eserciti di generazioni a ripetere una impostazione che potrebbe non essere nel vero. Incapsulata sulla cattiveria di Manzoni sino alla cronaca pensata letteratura di Primo Levi.

Per ciò che mi riguarda:  Platone resta un cialtrone. Basterebbe considerare il suo rapporto con Socrate e la sua assenza nella presenza della morte di Socrate. Il filosofo registra il mondo pessimo nella coerenza delle contraddizioni. Ma non diventa la legittimità del mondo pessimo.

La sua apologia è la contraddizione retorica di un Occidente inventato e non vissuto perché avrà bisogno dei pitagorici per entrare nella vera grecitá. L'occidente è una metafora perché avrà bisogno di Troia per legittimarsi.

I pitagorici non sono Occidente. Pitagora è un orfismo nella discussione aperta agli Orienti del Mediterraneo.

 

Altri interrogativi mi sono stati posti dai ragazzi smarriti dalle mie parole e dai docenti esterrefatti ed ibridi.

Un'altra domanda dunque è stata: Nei suoi scritti sembra non amare Dante. Vero?
Risposta immediata: Falso. Non sopporto le Lecture su Dante. Sono svolte da ignoranti che non conoscono gli scritti di Guenon, Zambrano, Eliade, Ionesco, D'Annunzio, Pascoli, Pirandello, Cioran, Horia, e la mia posizione. Dante è un profeta ridotto a teologo dai dantisti di fatto.

 

Non solo ignoranti ma gonfi di presunzioni e capaci di distruggere Dante pensando di commentarlo. I docenti dovrebbero essere intellettuali ma sono troppo inquadrati per avere un pensiero pensato.

Colpa di una scuola incolta. Solo gli incolti commentano gli scrittori e i poeti.

Dante si legge nella chiosa di una silenziosa traduzione, perché spiegandolo lo si tradisce, perché la giustificazione scolastica è sempre pigra di un articolato modello di conoscenza. 

 

Gli autori base oggi che hanno letto Dante fuori dal manierismo mnemonico sono: l'esoterico Guenon, la metafisica Zambrano, il circolare Pascoli, il labirintico Pirandello, il mistico Pound. Nessuno di questi rientra nella monolitica visione delle letture conformiste dei cosiddetti dantisti di maniera e senza Dante.

Poi?  Ormai siamo dentro la leggerezza di Italo Calvino e del populismo moraviano - pasoliniano. Entrambi cattivi esempi di una parola sfregiata.
La leggerezza è il metodo calviniano dello  scoiattolo ci dice Pavese.
Se si leggesse con serietà  Cesare Pavese, che traduce soprattutto Nietzsche,  si capirebbe perché hanno trionfato gli scrittori senza pensiero: da Calvino a Primo Levi  e antropologi relativisti e della prassi come De Martino. 

 

Cesare Pavese resta una parola pensante. Dopo il suo suicidio anche il percorso editoriale è mutato completamente. Un non scrittore come Primo Levi non avrebbe invaso il campo. 

Infatti Pavese non volle pubblicarlo. Calvino era una riserva della Einaudi e tale sarebbe rimasto. Moravia si sarebbe chiuso nella indifferenza. La morte di Pavese nella lezione di Vico Eliade Nietzsche ha fatto precipitare un modello di cultura metafisica.

 

La letteratura aperta alla metafisica e alla antropologia è una interpretazione pavesiana. 

Il mito combatte la cronaca. 

Senza mito non si ha poesia. 

La nostalgia è il viaggio che vive di nostos. 

Tre codici pavesiani al di fuori dei quali non si ha la memoria della letteratura. E in Pavese la lezione di Seneca è scavo di esistenze. Ovvero Provvidenza e destino.

La scuola sul filo dell’archiviazione platonica e del Dante teologo si distacca dal pensiero pensante e resta omologata in una rigidità di cose dette trite e ritrite. La scuola è faziosa. Non ha la forza e la capacità di contrapporsi a libri di testo solcatati da una provvisorietà terribile e da un neo posizioniamo conformistico dilagante.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


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