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Il cinema e gli eretici. La filmografia della Inquisizione.
Un dibattito attuale per un impegno di verità

venerdì 27 aprile 2018
di Pierfranco Bruni




Scrivere è ascoltarsi. O assentarsi? L'importante è essere percepito. Chi percepisce vive un viaggio sentito. Oltre ogni linguaggio. Il linguaggio del cinema diventa comunque spettacolo. Soprattutto rispetto al linguaggio della scrittura. Il linguaggio del cinema nasce già come immagine e proprio per questa ha, a priori, la spettacolarizzazione.

Mi occuperò, in un convegno internazionale di “MEMORIA FIDEI IV” dedicato a:L’INQUISIZIONE ROMANA E I SUOI ARCHIVIA, vent’anni dall’apertura dell’ACDF” che si svolgerà a Roma dal 15 al 17 maggio prossimo nel salone della BIBLIOTECA DEL SENATO DELLA REPUBBLICA di filmografia e inquisizione romana e il tema della spettacolarizzazione è di vitale importanza proprio in quella cinematografia che si base nello spettacolarizzare la storia.

L’immagine come dimensione di un raccontare la storia. Nel tema specifico ci sono aspetti che sono stati attraversati sia per dare risalto a processi storici veri e propri sia per dare un senso ai nuovi effetti speciali servendosi sempre di riferimenti che hanno alla base l’elemento storico.

In questo particolare percorso la filmografia ha dovuto fare i conti, per la maggior parte delle sue proposte, con la letteratura.

Infatti il cinema realizza il suo scavo all’interno di una definizione di linguaggi. Il linguaggio cinematografico ha una sua profonda eredità che nasce dal linguaggio narrante anche se il linguaggio e il narrato filmico, in più occasioni, non rispetto fedelmente il tracciato letterario.

“Il nome della rosa” del 1986 è uno di quei testi che potrebbe essere preso come esempio, non solo come rottura di schemi tra l’immagine e la trama narrante nel libro, ma soprattutto come interpretazione perfettamente ideologica alla questiono della Inquisizione in una chiave di lettura forzata su riferimenti storici che vengono volutamente traviati.

La filmografia dedicata alla Inquisizione ha considerato purtroppo più gli aspetti spettacolari che quelli formalmente fedeli alla storia. Un dibattito che interessa i vari aspetti della Inquisizione come il caso del film “Padrona del suo destino” del 1998 o “L’opera in nero” del 1988. Le tre fasi della Inquisizione, quella Medioevale, quella Spagnola – portoghese, quella Romana, presentano una filmografia che una articolazione di caratteristiche la cui diversità è nel rapporto tra storia raccontata e storia resa spettacolo.

A iniziare dal 1943 con “Dies irae” si entra in un intreccio in cui la Inquisizione si apre ad intreccio e tocca elementi che non sono italiani, ma spagnoli. Questo aspetto sarebbe da chiarire sino ad uno dei recenti fil dal titolo: “Sangue del mio sangue” del 2015.


E’ naturale, come già sottolineato, che la spettacolarizzazione ha il sopravvento, il cinema è immaginario e immagine, ma proprio approfondendo tali solchi la critica dovrebbe essere puntuale in una interpretazione da condurre su direttrici storiche e documentate. È su ciò che la discussione resta completamente aperta per giungere ad un mosaico di scientificità. Indubbiamente la filmografia che intreccia la finzione alla storia ed entrambi (finzione e storia) si legano ad un modello di spettacolarizzazione “impressa”, ovvero ad impatto, è quella che riguarda la Inquisizione romana.

Comunque bisogna fare riferimento ad un percorso preciso sul piano problematico, che riguarda aspetti come la magia, l’alchimia, la stregoneria, l’esoterismo, il selvaggio come modello antropologico e vaste aree di pensiero filosofico che restano parti integranti di interesse della Inquisizione. Elementi presenti nella filmografia antica e moderna. Credo però che la scelta debba cadere su tematiche robuste che toccano personaggi e filosofie che hanno caratterizzato il tempo della storia attraverso discussioni e atti processuali serie dove il contendere vada oltre i dati relativi.

Voglio qui ricordare, infatti, i film su Giordano Bruno, su Tommaso Campanella su Galileo Galilei (nelle loro diverse versioni e interpretazioni) o su Gostanza da Libbiano, oltre alla figura di Giovanna d’Arco. Il cinema è sì la macchina del trucco, ma è anche vero che lo stesso trucco deve avere una base sulla quale poter lavorare. La storia è una base fondamentale, alla cui radice però dovrebbero esserci sempre i documenti. Sosteneva Marguerite Yourcenar: “…che non esiste accomodamento durevole tra coloro che cercano, pensano, analizzano e si onorano di essere capaci di pensare domani diversamente da oggi, e coloro che credono o affermano di credere, e obbligano con la pena di morte i loro simili a fare altrettanto” (“L’opera in nero”).

La storia non militante soltanto, ma abilitata sui documenti dovrebbe tenere presente ciò per offrire più dimensione critica e meno grido spettacolare. Infatti è proprio nel registrare la filmografia riguardante tale tematica che si riscontrano situazioni attanaglianti in cui la critica sui fatti si scontra con i modelli spettacolari.

La spettacolarizzazione si pone su tre piani: - il pensiero (Inquisizione romana), l’azione (spagnola – portoghese), dogmatica (medioevale). La cinematografia ha puntato, in modo, particolare, sull’azione che offre spettacolo.

Proprio in virtù di ciò dovremmo tenere presente una cesellatura di un filosofo che ha pagato duramente il suo essere libero nel tempo della Inquisizione romana, Tommaso Campanella: “Perché nascano i buoni e ciascuno faccia l'ufficio a che è nato, e si schifino i mali ha bisogno ogni comunità di legge”.

Osserviamo con attenzione la filmografia ma non discostiamoci mai dalla funzione interpretativa che vive dentro il confronto critico del testo e del film. Una non bella lezione ci proviene, come già osservato, da “Il nome della Rosa”, dove l’impalcatura storica risente fortissimamente dell’indirizzo ideologico di Umberto Eco.


Ebbe a dire l’arso vivo a Campo de Fiori: “ Se questa scienza che grandi vantaggi porterà all’uomo, non servirà all’uomo per comprendere se stesso, finirà per rigirarsi contro l’uomo” (Giordano Bruno). Ecco, abbiamo bisogno di verità. Da una parte e dall’altra senza mai essere supplenti alla realtà







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