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Girati a Taranto, doppia proiezione per la serata inaugurale
sabato 26 novembre 2016

da comunicazioniassociazioneterra@gmail.com

Al via la rassegna cinematografica organizzata dall'Associazione Terra e dal Cinema Bellarmino che porterà sul grande schermo in dieci serate l'intera filmografia su Taranto



Riscoprire Taranto, riscoprirsi tarantini lasciando scorrere sul grande schermo l'intera filmografia delle pellicole che hanno raccontato il nostro territorio. Intrattenimento, ma anche riflessione e suggestione, per riscoprire come eravamo ieri, come siamo oggi, come potremmo essere domani. Si chiama Girati a Taranto la rassegna cinematografica messa in campo dall'Associazione Terra con il cinema Bellarmino e la partnership di Programma Sviluppo, Progetto Taras, Fondazione Oro 6 e Andriani Boutiques. L'obiettivo è quello di raccontare in dieci serate il capoluogo ionico. Primo appuntamento lunedì 28 novembre, con una proiezione doppia. Nella sala del Cinema Bellarmino a partire dalle 20.30 sarà il cortometraggio Fireworks ad aprire la rassegna. A seguire, sul grande schermo sbarcherà la Taranto del 1941, tra le protagoniste de La Nave Bianca di Roberto Rossellini. Le due pellicole saranno presentate dal critico cinematografico Davide De Giorgio che si intratterrà con Angelo Cannata e Angelo Losasso, protagonisti in Fireworks, e Giuseppe Mazzarino al quale invece spetterà il compito di contestualizzare La Nave Bianca ricostruendone inquadramento storico e filmico. I biglietti per le proiezioni saranno acquistabili presso il botteghino del cinema Bellarmino, al costo di 4 euro. L'abbonamento per l'intera rassegna cinematografica - che spazierà dai classici ai cult-movie, passando per il cinema minore, i corti, la commedia all'italiana e la fantascienza che si fa distopia ricostruendo un percorso storico-tematico che, tagliando trasversalmente stili, epoche e generi, riassembla i grandi temi che hanno ispirato i registi innamorati della nostra città - può essere invece sottoscritto al costo di 30 euro, presso il botteghino del Bellarmino.



Infoline: 0997302794 - 3932204680 - 3331232629

Email: info@associazioneterra.org

Fireworks - In breve


Un gruppo internazionale di ecologisti pianifica di far esplodere, durante la notte di Capodanno, il complesso industriale dell’Ilva, che da mezzo secolo occlude la vista – reale e mefatorica – della città di Taranto. Dopo una lunga serie di riconoscimenti internazionali, Abbruzzese punta la camera sulla propria pelle: da tarantino, evoca il “sogno” di far saltare in aria il mostro, ambito e pericoloso. Un’utopia impossibile che ben traduce l’inconciliabile e paradossale dipendenza della città dall’impianto. Un tristissimo valzer pirotecnico in cui fantascienza e documentario non sono mai stati così intercambiabili. "Fireworks", pluripremiato cortometraggio realizzato nel 201, è stato girato dal giovane regista tarantino Giacomo Abbruzzese, Nato a Taranto nel 1983. Laurea specialistica al Dams di Bologna, si è diplomato al Fresnoy – Studio National des Art Contemporains, con menzione speciale per la qualità dell’opera cinematografica. I suoi cortometraggi sono stati selezionati in numerosi festival internazionali, tra cui Oberhausen, Viennale, Clermont-Ferrand, Tampere, Indielisboa, Nouveau Cinéma Montréal, Leeds. Sono stati inoltre presentati alla Cinémathèque française a Parigi e in musei come il Macro di Roma, il Mucem di Marsiglia e trasmessi dalle televisioni di tre diversi Paesi (France3, Sky Italia, SVT). Tra i riconoscimenti ricevuti come regista, il premio per il Miglior Cortometraggio al Torino Film Festival e una menzione ai Nastri d’Argento. I Cahiers du cinéma e Sentieri Selvaggi gli hanno dedicato recensioni e interviste.Tra il 2008 e il 2009 è stato direttore artistico della televisione pubblica palestinese AQTV e insegnante di sceneggiatura e montaggio alla scuola di cinema di Betlemme Dar Al-Kalima. Nel 2012 è stato artista in residenza alla Cité Internationale des Arts a Parigi e invitato al Berlinale Talents. Nel 2013 è stato selezionato dal Festival di Cannes per la Residenza della Cinéfondation.


La Nave Bianca - In breve

L'azione si svolge su una nave da battaglia e la vicenda narra la vita che su di essa vi trascorre l'equipaggio. Nei momenti di riposo i marinai si dedicano alla corrispondenza e il loro pensiero va presso le persone care. Viene l'ordine di partire e la nave leva le ancore per la battaglia che sarà accanita e durante la quale un grave colpo la danneggerà. Vari marinai rimangono feriti e vengono trasportati su di una nave ospedale, dove prestano servizio con impareggiabile dedizione le infermiere volontarie della Croce Rossa. Mercé le amorevoli cure i marinai riacquistano la loro baldanza, ma il pensiero che la loro nave, colpita, non è rientrata dopo la battaglia, li rattrista profondamente. Ma presto anche essa, benché avariata, rientrerà in porto e l'allegria unita a un po' di commozione, ritornerà tra i feriti. Nel 1941 il tenente di vascello Francesco De Robertis, che l'anno prima aveva realizzato il documentario “Mine in vista” e il lungometraggio “Uomini sul fondo” per conto del Centro Cinematografico del Ministero della Marina (del quale era ufficiale addetto), commissionò a Rossellini la regia di un film, metà documentaristico metà romanzesco, di cui aveva scritto il soggetto e la sceneggiatura e di cui curò la supervisione: La nave bianca. L'opera, nata probabilmente come semplice documentario su una nave ospedale, assunse a poco a poco le dimensioni di un normale film a soggetto e costituì per Rossellini la prima vera prova registica.

Nel descrivere l'avventura di un marinaio ferito in combattimento e curato su una nave ospedale, dove incontra una infermiera di cui si innamora, Rossellini mescola più o meno abilmente gli ingredienti del cinema bellico e le ricette del cinema rosa, così come si praticavano allora in Italia. Visto in questa luce, La nave bianca non esce dai limiti angusti d'un mediocre prodotto confezionato secondo le regole dello spettacolo, con l'alternanza dei momenti di tensione drammatica e di stasi idillica, di azione eroica e di romanzo sentimentale. Tuttavia, a una più attenta visione (e in una prospettiva critica che, falsando in parte gli assunti del film e i suoi risultati artistici, si rifà alle opere rosselliniane del periodo postbellico), esso rivela nell'autore una attenzione per le piccole cose, i fatti insignificanti, le azioni quotidiane, colte quasi all'improvviso, immediatamente, e una disponibilità per la rappresentazione al tempo stesso distaccata e partecipe della realtà, ossia una rappresentazione la meno spettacolare possibile, che ritroveremo in ben altra misura nelle opere della maturità. Si noti: questa attenzione e disponibilità diventano, al di là di un atteggiamento morale, un'indicazione stilistica che sarà ampiamente sviluppata e portata fino alle estreme conseguenze nei film successivi.

Non è che Rossellini rifiuti lo spettacolo, o meglio il romanzesco - anzi pare che sia stato lui a introdurre, contro il parere di De Robertis, la storia d'amore fra il marinaio e la crocerossina -, ma cerca di svuotarlo delle sue componenti usuali per privilegiare l'attesa, l'assenza di dramma, la sospensione del racconto, in cui i fatti minimi acquistano un'importanza pari se non superiore a quelli decisivi. In questo senso l'aspetto documentario diventa l'aspetto più autentico; ma è bene dire che, al di là delle reminiscenze del Potèmkindi Eisenstein e dei canoni del documentarismo scolastico, la dimessa rappresentazione della vita dei marinai e dei feriti sulla nave risulta "vera" - almeno nei limiti di questa verità - nella misura in cui si presenta non come frutto di un'informazione, di un'osservazione distaccata, ma di una autentica partecipazione morale. Gli attori, che non sono attori professionisti, perdono in parecchie scene non soltanto il carattere di attori, ma anche quello di marinai, per rivelarsi uomini tout court, nella loro sofferta umanità di tutti i giorni.

In tale antispettacolarità, più intuita che cercata forse, sta l'originalità del Rossellini della Nave bianca. Ponendosi con questo film al di là del documentarismo spettacolare di De Robertis, il regista riscopre il valore del cinema come strumento di rivelazione della realtà nel suo farsi. Questo neorealismo ante litteram (come sarà d'altronde il neorealismo rosselliniano del dopoguerra per dichiarazione esplicita dell'autore) è prima d'ogni altra cosa una posizione morale, sicché i fatti e i personaggi del film vanno visti non tanto come portatori d'un messaggio etico quanto essi stessi interpreti d'una moralità latente, che non sarà difficile identificare con certo cattolicesimo dell'epoca.

Ma la posizione morale di Rossellini, che per questo suo non voler piegare i fatti e le cose a una tesi determinata può anche essere scambiata per indifferenza o agnosticismo, non solo non gli impedisce di fare del suo film un prodotto della propaganda fascista, ma addirittura pare ne sottolinei la portata didascalica. Proprio l'aver concentrato l'attenzione sui fatti quotidiani e sull'antieroismo dei personaggi, e quindi sui rapporti interpersonali fuori d'ogni dichiarato intento di parte, significa alla fine smarrire il discorso di fondo, rinunciare a un'analisi interna, accettare la realtà sociale e politica come immutabile. Di qui l'affidarsi sì all'interpretazione cosciente dello spettatore, ma anche all'utilizzazione politica dell'opera. È già il rischio dell'ambiguità che Rossellini correrà in seguito in modo più esplicito, e che negli, altri due film della trilogia della guerra cercherà di ridurre entro i confini di una posizione ideologica meglio definita, aiutato in ciò da una schiera di sceneggiatori politicamente più impegnati.





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