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Bob Dylan un poeta che ha tracciato un’epoca nella canzone.
I miei studi su di lui e su De André

venerdì 14 ottobre 2016

di Pierfranco Bruni



“Romance in Durango” di Bob Dylan cantata da Fabrizio De Andrè ha il sublime del verso che recita una avventura. Dal romance alla avventura. Che straordinario passaggio. L’ho sempre sottolineato. Dylan e De André. Due poeti nella musica. Così. Il linguaggio poetico in musica ottiene un grande riconoscimento.
Di questo sono molto soddisfatto. Bob Dylan. Premio Nobel per la letteratura. Nei miei lavori sui cantautori Dylan resta fondamentale.
È un fatto significativo. Rompe steccati e varianti. Si entra nella cultura popolare che ha fatto della musica una forma di linguaggio nel quale si vivono non solo le sensazioni, ma anche le forme di un processo che è strettamente letterario e linguistico.
Questa volta sono felice. I motivi sono tanti. Principalmente perché si riconosce il testo di una canzone come vera e propria DIMENSIONE letteraria. La canzone d'autore non è mai stato un prodotto diverso rispetto alla poesia.
Questo vale per Dylan ma vale, come più volte ho scritto nei miei libri sui cantautori italiani, per De André, per Califano, per Conte, per Tenco, per Baetz, per Noa, per Franco Simone, per Mia Martini, per Francesco De Gregori che ha legato molti suoi testi al suo cantico.
Il testo musicato è un testo poetico. Un dibattito che ho sempre seguito e sul quale ho speso molto lavoro con numerose pubblicazioni che continuano a stimolare un interesse particolare.
Dylan chiaramente dagli anni sessanta in poi ha contrastato le istanze sommesse dei linguaggi tradizionali, ed ha creato la parola rarefatta come nel mondo simbolista francese o ermetico italiano e latino americano. Perché nel testo di Dylan ci sono gli intrecci tra contenuto e forma, tra immaginario e regia della parola.
Le parole portate dal vento e il vento che si fa parola. Una visione delle metafore corte.
Ma a Dylan molti della mia generazione devono gran parte della propria formazione. Magari un Dylan non diretto e filtrato dai testi dei cantautori italiani. Lessi Dylan e Baetz prima di ascoltarli nei testi della Newton.
Brassen o Brel sono dentro quel viaggio che parte dal canto di "Gracias de la vida" sino al tempo che viaggia nello spazio della spiritualità appunto di Dylan.
Un Nobel meritato. Questo sì. Innovatore. Maestro e corruttore positivo dei linguaggi in cravatta e gile'.
Attraversamenti di linguaggi che portano alla letteratura perché in Dylan c’è letteratura:

“Non serve a niente sedersi e chiedersi perché se non lo capisci subito. Quando il gallo canta al sorgere dell'alba, beh, guarda fuori dalla tua finestra, piccola, me ne sarò andato.
Tu sei la ragione per la quale me ne sarò andato.
Si non pensarci due volte va bene così.
Ho guidato lungo la strada desolata ragazza, dove sono diretto non posso dirtelo. Arrivederci è una parola troppo buona ragazza così ti dirò addio. Non sto dicendo che mi hai trattato male avresti potuto fare meglio di così ma non importa.
Si non pensarci due volte va bene così.
Poi autorevolmente si riconosce alla canzone il ruolo di essere patrimonio della creatività. Ma c'è di più. La poesia che oggi è in travaglio nasce non più dalla retorica. Bensì dalla inquietudine del rinnovamento”.




Dylan in fondo regala spiritualità intrecciata nella antropologia dei linguaggi con una dimensione sempre innovativa. Non sperimentalista tout court, ma nelle avanguardie che danno un senso.
La canzone dunque come espressività letteraria e il linguaggio musicale come modello emozionale.
I suoi testi lo dimostrano ampiamente. Io l'ho sempre percepito e recepito come poeta. La poesia come dimensione onirica nel percorso linguistico. Uno scavo nella parola cantata.
Ma cosa è un poeta per Bob Dylan?
Ecco come Dylan si dichiara: “Se mi sento un poeta? Qualche volta. È parte di me. È parte di me il convincere me stesso che sono un poeta. Ma ci vuole molta dedizione. Molta dedizione. I poeti non guidano. I poeti non vanno al supermercato. I poeti non svuotano la pattumiera. I poeti non fanno parte dell'Associazione dei genitori e insegnanti. I poeti non vanno nemmeno a fare picchetti davanti all'ufficio delle Case popolari, o qualunque altra cosa. I poeti non parlano nemmeno al telefono. I poeti non parlano con nessuno. I poeti ascoltano molto e ... di solito sanno perché sono poeti! Sì sono ... come posso dire? Il mondo non ha bisogno di altre poesie, c'è già Shakespeare. Ce n'è già abbastanza di qualunque cosa. Qualunque cosa venga in mente, ce n'è già abbastanza. Ce n'era già fin troppa con l'elettricità, forse. C'è gente che l'ha detto. C'è gente che ha detto che la lampadina era già fin troppo. I poeti vivono in campagna. Si comportano da gentiluomini. E vivono secondo il loro codice di gentiluomini e muoiono in miseria. O annegano nei laghi. Di solito i poeti finiscono molto male. Basta guardare alla vita di Keats. O a quella di Jim Morrison, se lo vogliamo chiamare un poeta”.
Questo scavo di esistenza nelle parole è un viaggiare tra i linguaggi e l’anima.







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