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Pirandello nel libro di Pierfranco Bruni: didattica del confronto nelle poetiche del Novecento
giovedì 27 aprile 2017

di Marilena Cavallo



Anno pirandelliano. Appuntamento importante che ha posto all’attenzione delle riflessioni profonde tra il Novecento e Pirandello anche nei modelli didattici con i quali come scuola ci confrontiamo frequentemente.
Un confronto strettamente letterario che ha posto alle attenzioni metodologiche modelli per una decifrazione contemporanea della letteratura. Penso alla poesia di Pirandello. C’è un gusto romantico nella poesia di Luigi Pirandello che trova la sua griglia simbolica in alcuni poeti che sono stati caratterizzanti anche nel passaggio tra Ottocento e Novecento.
Il saggio di Pierfranco Bruni “Luigi Pirandello. Il tragico e la follia” (nelle edizioni Nemapress, con uno splendido video curato da Anna Montella: https://www.youtube.com/watch?v=vrzdqIxu5Ws), è uno dei libri più discussi e presentati in questa nuova stagione pirandelliana (ha toccato il punto più alto nella presentazione a Casa Pirandello di Roma nelle settimane scorse con un prestigioso confronto) e pone al centro proprio la poesia di Pirandello partendo da “Mal giocondo”. Bruni recupera un suo testo del 1986 e lo inserisce in un contesto molto più ampio e articolato con una comparazione con altri poeti. Poeti con i quali la cultura letteraria universale si è dovuta costantemente confrontare.
Soprattutto la prima poesia di Pirandello ha come elemento di base il raccordo tra la tradizione provenzale e Dante. La presenza di Dante compare e scompare in tutto il viaggio poetico e la sintesi – metafora dello specchio, usata magistralmente da Maria Zambrano, è evidente anche nel Dante della “Commedia”.
Dante è il poeta che si pone davanti allo specchio. Pirandello cerca nello specchio la sua teatralità e non è detto che il suo personaggio non nasca anche dal porre tra il personaggio e la recita la metafora di quel teatro nel quale lo specchio è il riflesso del legame tra pubblico e palcoscenico.
Comunque, nella sua poesia, la sua prima scrittura letterario – poetica, Dante è presente soprattutto nei versi che compongono proprio Mal giocondo. Ma il Dante di cui si parla è il Dante del “Messere”, è il Dante del “cavalleresca”, e il Dante di “O messer Lodovico…”. Oppure di “Poi da lungi ver me si volse ancora…”.
La ritmica ha un provenzale suono che ha derivazioni dalla scuola siciliana, di cui Pirandello era completamente impastato sia per formazione classico – rinascimentale sia per un ereditarismo geografico e culturale che ha le sue radici nel mondo arabo, come si è già detto in altre occasioni.
Il mondo provenzale di Pirandello, al quale fa riferimento il saggio di Pierfranco Bruni, è quel mondo che entrerà successivamente, in parte, nella ricerca ungarettiana e nella dimensione lirica di Quasimodo. Infatti, il provenzale di Pirandello è un attraversamento dell’Umanesimo che si specchia in Poliziano e raggiunge addirittura il classicismo leopardiano.
Il Pirandello del Mattia Pascal o del teatro è lo scrittore che si forma intorno alla classicità della tradizione superando, chiaramente, la interpretazione del naturalismo del linguaggio ottocentesco, ma anche della scrittura foscoliana, alfieriana e dello scavo illuminista.
Siamo al tragico che osserva con Pirandello, mentre D’Annunzio è il tragico che contempla. Entrambi sono un vissuto ancestrale che trova nella poesia la vivificante risorsa di un linguaggio che è lingua e semantica, ma resta soprattutto allegoria e metafora in un gioco di incastro che giunge alla recita.
La poesia di entrambi si fa recita.
Si pensi a Non si sa come per Pirandello e alla Figlia di Jorio per d’Annunzio. Ma in quel “Mal giocondo” c’è la melodia che toccherà la malinconia sorridente con l’ascolto de “La pioggia nel pineto”. Il filtro è proprio il passaggio dal provenzale al sensualismo panico del Poliziano e la luna che si contempla o l’osservante luna (per toccare un elemento della metafora) è una suggestiva illuminazione che conduce chiaramente a Leopardi.
Anche Pirandello farà i conti con l’immaginazione e l’immaginario leopardiano, come ebbero a confrontarsi Cardarelli, Ungaretti e Pavese. Bruni sottolinea l’importanza di queste comparazioni con una chiave di lettura completamente estetica.
La dimensione romantica nulla toglie, e tutto aggiunge, a quell’incontro misterioso che è fatto di decadentismo ed esistenzialismo. Il pansessualismo di Pirandello, nella poesia, è un richiamo alla terra, a quella terra che è madre sul piano di una letteratura che si registra nel realismo il quale, in questo caso, diventa chiave di lettura anche nel e del simbolismo.
Il punto nevralgico, soprattutto oggi, sta nel leggere Pirandello oltre le formule critiche, ma anche se si volesse leggere il suo itinerario letterario con una impalcatura critica sarebbe necessario non escludere lo sguardo verso la realtà attraverso uno sguardo ben più complesso, che è quello del simbolismo.
Una rilettura, dunque, sulla base dello scavo interpretativo delle sue ultime opere nelle quali la terra madre è il personaggio del melanconico. Il melanconico e il simbolismo, nello specchio del realismo magico, sono il centro del suo poetico senso del vivere la sua liricità.
Il libro di Pierfranco Bruni pone una questione squisitamente letteraria e poetica oltre che incastonare il pensiero sul legame tra letteratura e antropologia. Un incipit che porterebbe il Pirandello letto da Bruni a “vita nova”. Infatti il Pirandello di Bruni è stato letto come didattica del confronto nelle poetiche del Novecento tra i personaggi e il destino della maschera.





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