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Il Gruppo “Le Grazie“ sul palco del Teatro Monticello di Grottaglie con “Li pacci siti vui”
martedì 30 gennaio 2018

di Pierfranco Bruni


Il Gruppo “Le Grazie“ sul palco del Teatro Monticello di Grottaglie con “Li pacci siti vui” con attori solidi e scene ben articolate in una brillante commedia di Scarpetta

 

 

I folli chi sono? Il Gruppo “Le Grazie“ sul palco del Teatro Monticello di Grottaglie con “Li pacci siti vui” con attori solidi e scene ben articolate in una brillante commedia di Scarpetta

 

Pierfranco Bruni

 

 

 

Il teatro si vive sempre smettendo la maschera dell’uomo e indossando quella del personaggio. Nel teatro amatoriale questo avviene sempre, tranne in casi eccezionali in cui l’attore – uomo porta dentro il suo caratura il personaggio di ciò che avrebbe voluto essere. Così la rappresenta. Nel teatro di Scarpetta Eduardo la mistura tra reale e rappresentativo è una incognita che si risolve solo sulla scena.



La Compagnia Teatrale di Grottaglie (ovvero Gruppo culturale teatrale) “Le Grazie” della Parrocchia Madonna delle Grazie ha portato in scena, per la regia di Ciro Aquaviva, “Li pacci siti vui”. Un libero adattamento di un testo, appunto, di Eduardo Scarpetta. Una Commedia in tre atti che il Gruppo Teatrale ha magistralmente gestito con una appropriazione di linguaggio ben curato, in un vocabolario “volgare” tra il napoletano popolare, quindi alla Scarpetta e poi dei De Filippo (più estetizzato), e il Grottagliese che ha un idioma la cui matrice linguistica è salento – napoletano in una traiettoria di un archeolinguaggio messapico. Le antropologie delle parlate recuperato il senso di una comunità.

 

Quando Mimmo Arces mi ha invitato, gentilmente come sempre, a questo nuovo spettacolo e mi ha tracciato un po’ le linee della trama mi sono volontariamente posto in riflessione. La vita è buffa e quando non è buffa è comica e quando non è comica è ironica… tragica? A volte sì…

Il fatto è che quando Arces mimmo (Cosimo, anagrafato) sparisce di sera significa che stanno tramando una nuova commedia…

Commedia signori. Ma portare in scena il triangolo di Scarpetta ci vuole non solo coraggio, ma anche bravura. Questa compagnia di bravura ne ha tanta…Se lo dico io che non capisco nulla di letteratura, teatro, cinema, filosofia… dovete crederci… Bisogna fidarsi di chi improvvisa… Io sono un improvvisatore nato… Un giullare come il Gruppo delle Grazie…

Nella vita bisogna fare delle scelte: essere giullari o essere “anguille”…

Poi è molto carismatico questo Gruppo. Sono ormai amico di tutti loro. Divertenti nella realtà e nella vita…



 

A pensare che sono, per la maggior parte, i ragazzotti cresciuti sotto il manto della parrocchia e di don Salvatore, ora Vescovo, è veramente sublime. Che meraviglia! Altri tempi nella fedeltà di cercarne dei nuovi.

Sono tornato appositamente da Milano, dopo un tuffo di sciampo pirandelliano, per assistere allo spettacolo de “Le Grazie” e bene ho fatto.

Il sorridere è sempre magnetico, magico e bisogna saper sorridere…

Non solo c’era e c’è da ridere, ma c’è anche da riflettere. Perché il riso senza la meditazione ci porta alla debolezza della leggerezza del pensare.

 

Scarpetta è l’istrione che non abbandona mai la macchietta per farla diventare “scuppetta stellare” (attenzione alla pronuncia). Perché la lingua volgare della “eloquentia” si percepisce nella sua oralità che diventa anche gestualità. A Dante era sfuggito ciò. Mannaggia. Non era arrivato a questo Ovidio.



Nel caso specifico di questi tre atti la lingua interagisce con il costume e con la fisicità dei movimenti. Senza il movimento dei personaggi il dialetto diventa piatto, inespressivo, non comunicativo. Invece questo Gruppo teatrale, ormai di lunga esperienza, con attori storici diventati anziani quasi, (non me ne vogliano ma i capelli bianchi o i senza capelli o quelli colorati delle donne belle, comunque e affascinanti dalle labbra carnose alla “Carmen”, sono la testimonianze che il tempo è una cifra che tocca tutti tranne me, questo è certo) è un riferimento all’interno del territorio non solo grattagliese, ma pugliese.

Grottaglie, città della Ceramica, quando diventerà città della cultura? E non di un museo della ceramica assente…

Eppure energie non mancano. Si veda questo spettacolo…

Bravi i maschietti con baffi o senza. Brave le femminucce isteriche o senza isterie (in teatro, mi riferisco).

Grandiosa la scenografia con il cambio di tre impalcature. 

Non vi racconto la trama perché è necessario andare in teatro (al Monticello di Grottaglie, perché andrà avanti sino a febbraio con repliche a suon di richiesta…), ma il tema centrale è la follia.

 

La domanda che si pone: chi sono i folli? Chi fa il folle, chi pensa di essere pazzo, chi pazzo è realmente o i diversamente pazzi? Ma i diversamente pazzi dovrebbero essere i normali?

L’unica verità certa è che non c’è alcuna certezza della verità.

La commedia offre un paio di ore rilassanti, scene dove pensi di essere sulla scena io tu spettatore e poi ti dici… no non sono pazzo sono loro che fanno i pazzi… fanno i pazzi…  coinvolgendoci…

Qui è il punto! Nel momento in cui veniamo coinvolti la commedia è riuscita…

 

A dire il vero mi sembrano realmente folli nella realtà conoscendoli (Dio mio che dico? Ma il mio Dio è trasgressivo…, perdonate un folle giullare come voi…)… devo fare i nomi… Esiste una realtà? Per chi fa teatro qual è la realtà? L’invisibile!

Guardate un po’ cosa mi ha creato il teatro… la maschera doppia e non la maschera nuda… Un bel nudo ci starebbe sempre bene… Dipende … Un maschio nudo assolutamente no… Divagazioni di terzo tipo.

Il teatro è rendere nudi sapendo di indossare le vesti che pensi di non indossare… Filosofia? No. Recita!

Il personaggio femminile della novellante giornalista non faceva forse la venditrice di storie altrui…

La zia ricca del medico non medico non giocava alla vanità? E lo zio?, attore formidabile, non ricuciva un ruolo di un aristocratico napoletano grottagliese che vendeva ciò che non possedeva ma aveva?

La signora ben compita, proprietaria della pensione, almeno, che voleva accasare la figlia ha vestito le vesti di una popolana boccacciana e furba…

Così come il chiaro vestito che per aiutare il mancato medico si offre come pazzo non è pazzo realmente tanto che resta sbigottito nel momento in cui non deve fare più il pazzo…

E così via sino al mascherato cromato amletico rivoltatore degli amori…e al maestro suonatore e orchestrato come folle musicista…

Diamoci una regolata, ora... Ridete con ironia. Siamo un po’ tutti pazzi… Anche io a dover scrivere sono diventato folle…

 

Bravi. Tutti Bravi (non come quelli di don Rodrigo, Manzoni aveva delle fisime e indossava maschere d’anima e non di viso… come è insopportabile…) nelle loro parti.

Bravissimi anche nella musica d’inizio e nelle chiare e dolci fresche parole della miss Marilena, ovvero la prof calviniana, nel presentare la serata.

C’è da dire che il Gruppo teatrale ormai conosce molto bene sia l’opera di Scarpetta sia la funzione che ha svolto Scarpetta nella cultura post goldoniana. È la terza opera che mette in scena. Quella “miseria e nobiltà” che ha scaldato il letto dei duellanti si è innescata nel beffato e malinconico medico non medico, il medico dei pazzi. Il Gruppo è ben addentrato nel teatro napoletano che è sostanzialmente quello del Regno di Napoli post borbonico.

È stata una lezione vera di teatro con delle regole prettamente antropologiche. È giusto che sia così. È giusto che si continui così. A far ridere. Perché facendo ridere non si nasconde la verità della vita pur non dicendola.

Una forte ironia che sembra calata in ogni epoca.



Il bello di stare insieme è un religioso patto per non sradicarsi dalle radici. Questo mi sembra un dato molto importante. Bisogna che vengano valorizzate queste manifestazioni culturali in cui il linguaggio diventa una vera e propria misura dell’identità antropologica di una comunità. La serata è stata presentata dalla brava Marilena Cavallo, la prof, che dovrebbe ritornare a “cavalcare” le scene del teatro anche lei insieme a tutto il gruppo, come la ricordo in anni passati.

Un serata serena. Finalmente. Diceva Antoni Garcia: “Quando si resta seduti e si ascolta osservando, vuol dire che una striscia di armonia vive dentro”.

È così è stato. Così sarà. Bravi! Di teatro si vive sempre. Non si muore mai.

 





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