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CHIESA CATTOLICA E INQUISIZIONE
mercoledì 16 maggio 2018

CONVEGNO INTERNAZIONALE su INQUISIZIONE ROMANA - MEMORIA FIDEI IV



Pierfranco Bruni, Mons. Cifres

Non ci si può più affidare alle leggende e alle ‘storielle’ tramandate da una cattiva filmografia sulla Inquisizione. Molti film, a cominciare da ‘Il nome della rosa’, fanno spettacolo e non dicono la verità storica sul racconto di fatti come la stregoneria, l’eresia, la magia”. È ciò che ha affermato Pierfranco Bruni relatore al Convegno Internazionale su L’INQUISIZIONE ROMANA E I SUOI ARCHIVI, in corso di svolgimento a Roma sino al 17 maggio prossimo presso la BIBLIOTECA DEL SENATO DELLA REPUBBLICA, in Piazza della Minerva, 3.

Infatti in  occasione dei 20 anni dall’apertura dell’archivio storico della Congregazione per la Dottrina della Fede (ACDF) è stato indetto a Roma il Convegno L’INQUISIZIONE ROMANA E I SUOI ARCHIVI, che si terrà a partire dal 15 fino al 17 maggio 2018 presso la BIBLIOTECA DEL SENATO DELLA REPUBBLICA, in Piazza della Minerva, 3.

Il Convegno è organizzato dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, dal SENATO DELLA REPUBBLICA - CAMERA DEI DEPUTATI - CONGREGATIONIS PRO DOCTRINA FIDEI - MUSEO CENTRALE DEL RISORGIMENTO.

Pierfranco Bruni (poeta, scrittore, saggista, direttore MIBACT) relazionerà in merito all’INQUISIZIONE ROMANA NELLA FILMOGRAFIA, TRA CRITICA E SPETTACOLO ponendo l’interessante quesito se la storia dell’Inquisizione nella filmografia cinematografica sia più spettacolarizzazione che critica storica,  filmografia che ha comunque sempre dovuto fare i conti con una letteratura che si incunea nei processi storici.

 

“Proprio partendo dalla storia raccontata, ha sottolineato Pierfranco Bruni, nello spettacolo bisogna compiere un lavoro verso una nuova evangelizzazione e monsignor Cifres sta lavorano benissimo in questa direzione. Il cinema deve essere spettacolo che racconta la storia vera quando si tratta di argomenti di questa portata”.

Nell’ottica di un cinema che si serve di un immaginario per divenire spettacolo, molti registi hanno affrontato il tema dell’Inquisizione cercando di attenersi alla fonte letteraria o cercando di restituirne una personale interpretazione. È il caso de “Il nome della rosa”, del 1986, in cui il regista Jean-Jacques Annaud rende più agevoli le riflessioni teologico-filosofiche che contraddistinguono la fonte letteraria, oltre ad apportare nuovi aspetti del tutto soggettivi come la tragica fine destinata al crudele inquisitore Bernardo Gui.

La relazione di Pierfranco Bruni effettua una interessante comparazione della rappresentazione cinematografica relativa alle varie fasi dell’Inquisizione (medievale, spagnola, romana).

Nei film in cui viene rappresentata l’Inquisizione medievale si tende a enfatizzare la religiosità nei suoi aspetti di sacrilegio ed eresia. Una Chiesa più intransigente nella lotta contro le eresie, che si avvale delle torture come strumento di verità ed espiazione dei peccati, è quella che emerge invece dalla filmografia avente per protagonista l’Inquisizione spagnola. Aspetto che si evidenzia in molti film tra cui “Il pozzo e il pendolo” di Roger Corman (1961) nel quale l’Inquisizione appare come un fantasma che dal passato riporta le sue atrocità. Qui la spettacolarizzazione della tortura non è tanto dovuta ad invenzione cinematografica, quanto al desiderio di voler trasporre in immagini le suggestioni create dal racconto di Edgar Allan Poe.

Il pensiero dell’uomo nell’ambito di una visione filosofica, metafisica e scientifica, è l’aspetto che si impone nelle pellicole cinematografiche in cui ad agire è l’Inquisizione romana. Contributi dai quali emerge il ritratto di un periodo storico in cui i difensori del pensiero libero, i cosiddetti “liberi pensatori”, in grado di guardare oltre per un bene comune, furono fortemente osteggiati dalla Chiesa, e dal suo organo inquisitorio, in quanto temuti. Il timore era che le loro menti illuminate, e indipendenti da qualsiasi potere, potessero contagiare le coscienze buie e soggiogate. Come avviene nel film di Giuliano Montaldo “Giordano Bruno” del 1973 in cui la teologia vuole prendere il sopravvento sulla filosofia.

Gli inquisitori romani, ha chiosato Pierfranco Bruni,  vengono mostrati come manipolatori degli scritti del filosofo nolano al fine di “sopprimerne” il libero pensiero. Una verità a metà. Una storia da riscrivere e smetterla di affidarsi allo spettacolo cinematografico

 

 





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