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INIZIATIVA EDITORIALE PER TARANTO E PER LE SUE SCELTE
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lunedì 8 aprile 2013

da CrispiusSantorius



Fino a quando sprecheremo il nostro tempo a urlarci addosso? Fino a quando scanseremo le nostre stesse responsabilità? Fin dove si lancerà la nostra inadeguatezza nei confronti del futuro dell’umanità? Non vi turbano il sonno i dati sanitari, i reparti di oncologia affollati di mamme e bambini, i gruppi di padri che non hanno di che portare a casa, i pescatori che piangono sulla spalla degli allevatori non meno disperati? Ma non vedete che la nostra condanna è ormai decretata ed è evidente a tutti? O credete che siano solo allarmismi, che si possa ancora andare avanti così, senza che noi si decida, da ora in poi, il nostro stesso destino?
Un’occasione per imparare sarebbe potuta essere quella di venerdì 22 marzo 2013, all’incontro pubblico di presentazione dell’Elaborato Tecnico inerente il Rischio di Incidenti Rilevanti (ERIR, ai sensi del D.M. 9 maggio 2001), redatto a cura di TECSA spa, il cui gruppo di lavoro è costituito dall’architetto Leonardo Urbani, dall’ingegner Enrico Puleo e dall’avvocato Paolo De Leonardis. I lavori sono stati introdotti dall’Assessore Francesco Cosa e dall’architetto Mario Romandini, responsabile del programma.
Dopo la puntuale esposizione dei relatori, alcuni presenti hanno sottolineato la gravità del fatto che sulle stesse problematiche e sulla stessa area, contemporaneamente, si stanno cimentando Comune, Prefettura, Provincia e Autorità Portuale e sembra che stia per risvegliarsi persino l’A.s.i..
Ancora una volta non solo la mano destra non sa quello che fa la mano sinistra, ma le dita di una stessa mano tendono ad andare per proprio conto!
Per affrontare le problematiche degli stabilimenti industriali soggetti a rischio d’incidenti rilevanti, posizionati uno accanto all’altro e a ridosso del centro urbano (come gli stabilimenti a ciclo integrale di Taranto), occorre un approccio olistico (cioè con una visione panoramica dei vari aspetti) e non più settoriale. L’industrializzazione spinta si è sviluppata attraverso il metodo dell’individuare, selezionare e scomporre i problemi, in un processo continuo di semplificazione, spingendosi sino allo studio delle particelle subatomiche in fisica e alla mappatura del DNA in biologia.
La logica dispersiva e frammentata con cui Taranto affronta le sue problematiche sono il segnale evidente che la città è, sì, la più industrializzata del Mezzogiorno, ma è anche inadeguata per cultura industriale (che segue il vecchio modello) e priva degli elementi fondanti delle cultura post-industriale.
A conferma di ciò, la sparuta presenza all’incontro di cui sopra di consiglieri comunali, provinciali e regionali, delle dirigenze di Ilva, Eni, Cementir, di Autorità Portuale, I.A.M.C. (già Istituto Talassografico del C.N.R.) e Facoltà di Ingegneria dell’Ambiente; eppure Taranto, caso unico, sta per “celebrare” un referendum in cui la cittadinanza tutta viene invitata a pronunciarsi sulla presenza dell’Ilva sul nostro territorio, mentre i responsabili istituzionali e i dirigenti responsabili di fabbriche di interesse nazionale ed europee sono assenti, qualcuno addirittura latitante. Nessuno di loro viene agli incontri, eppure, a sentir loro, ognuno dice di avere l’asso nella manica, che calerà sul tavolo al momento giusto per vincere la propria battaglia personale. Perdendo la guerra di tutti, aggiungiamo noi.
Lo stabilimento siderurgico tarantino, per dimensione, qualità e specializzazione, costituisce la faglia tettonica tra la zolla del vecchio che tarda a morire e quella del nuovo che fatica ad affermarsi; in altre parole, tra l’era industriale globale basata sull’antico approccio mercatista e consumista-capitalista, e l’era post-industriale, cioè basata su “l’economia del bene comune”. E’ quest’ultima percezione che ha ferito nell’intimo tanto il singolo abitante quanto la comunità, a Taranto come a Pechino, ma che ha contribuito a prospettare il diritto alla salute come un “diritto civile” di valenza universale; non rispettarlo o, peggio, calpestarlo, indigna e genera rifiuto. Andare oltre il consumismo significa raggiungere la società del “diversamente ricco”, cioè laddove i beni immateriali (cultura, morale, istruzione…) siano promossi e diffusi tanto quanto i beni materiali.
All’interno delle eco-city che verranno sarà necessario far allignare modelli post-consumistici orientati da un lato al sobrio e sapiente uso degli spazi e dei beni comuni e dall’altro al recupero della pratica diffusa dell’otium romano, ovvero l’acquisizione di quei beni immateriali, gli unici di cui l’umanità dispone in modo illimitato, nella direzione di una società inclusiva, solidale e glocal, all’insegna della parsimonia, della frugalità e del riuso dei beni; una società che non si faccia ulteriormente abbagliare dalla colonizzazione anglo-americana, avvenuta attraverso la pubblicità secondo la lezione di Serge Latouche.
Passaggio, questo, quanto mai stretto: il cambio di rotta si rende necessario per riappropriarsi della ricerca, a partire da quella biologica-sanitaria, attualmente nelle mani delle multinazionali farmaceutiche, e del controllo dei flussi monetari, per riprenderne il significato di bene comune, in quanto la moneta, sin dai tempi dei Greci, è sempre stata un buon servitore, ma un cattivo padrone.
Certo è che l’attuale comunità jonica ha ereditato una situazione tanto ingarbugliata e così incancrenita da procurare scoramento e da rendere difficile l’individuazione, financo, delle responsabilità.
Per venirne fuori, per il nostro bene, per quello dell’Italia e per quello dell’Europa intera, è quanto mai necessario incentivare la cultura tecnica a tutti i livelli, dagli istituti tecnici professionali all’Università, fino a realizzare il Parco Scientifico Tecnologico finalizzato alla ricerca applicata e all’innovazione di processo e di prodotto come obiettivo prioritario. Si crei, dunque, un’attività di ricerca applicata per sperimentare, ingegnerizzare e applicare nuovi processi produttivi meno impattanti, nella consapevolezza che l’inquinamento non è sempre uguale a se stesso in ogni luogo; in modo particolare quando nella stessa area convivono altre industrie a ciclo integrale una contigua all’altra che si assommano.
Si deve cominciare a scrivere una nuova pagina della vicenda umana, complessa e tormentata, a Taranto! Ai tempi di Archita (V-IV sec. a.C.), a Taranto per la prima volta nella storia del mondo si costruì la prima grande e prospera metropoli (circa 200.000 abitanti) e furono sperimentate nuove tecniche per l’industria tessile! E oggi si presentano le condizioni che ci permetteranno di scrivere una nuova pagina di Storia dell’Umanità. Purtroppo nella giornata del 22 marzo abbiamo constatato ancora una volta che questa consapevolezza non è ancora maturata in tutti gli ambienti responsabili.
Con questi presupposti, il referendum diventa seriamente problematico, perché i cittadini saranno chiamati ad esprimersi sull’onda emotiva piuttosto che sulla razionalità, sia essa basata su elementi tecnico-scientifici per un verso, geo-ecologico e geo-economico per l’altro e geopolitico per l’ultimo.
Il diritto di godere dell’ambiente, di salute e di condizioni di lavoro sempre migliori è ormai una conquista antropologica e, per questo, non può essere conculcata, ma è destinata ad affermarsi nel mondo, in tutto il mondo. I tempi per la sua progressiva diffusione non saranno identici nei vari contesti geografici. L’umanità, sino alle soglie dell’industrializzazione, ha operato e vissuto secondo principi olistici, in cui l’uomo, pur considerandosi al centro del mondo, aveva consapevolezza e rispetto dei beni ambientali e delle loro interrelazioni. A partire dall’era industriale, poi, l’uomo si è invece considerato padrone assoluto, prefigurando la propria esistenza al di sopra e al di fuori di un rapporto fecondo con la natura. Dal 1972 tramonta un epoca, quella dello sviluppo consumistico, con la pubblicazione del saggio best-seller I limiti dello sviluppo di Armando Peccei del “Club di Roma”, con cui si è preso coscienza di quello a cui andava incontro l’umanità per l’incontrollato incremento demografico, per la penuria delle risorse naturali, per la necessità di una loro attenta e parsimoniosa gestione, in particolare quelle non rinnovabili.
Oggi la parte più avanzata dell’umanità considera l’acqua, l’aria, il paesaggio come beni comuni. Qui ed ora si stabilirà dove vogliamo arrivare. Altrimenti sarà la Storia stessa, magistra vitae, che ci cancellerà. Svaniremo nel nulla. Il modello di cui si è parlato sopra è fallito e questo è davanti agli occhi di tutti, e qui a Taranto ha fallito pietosamente, in quanto quasi tutti si sono concentrati, capoticamente, ad individuare e “misurare” gli effetti, senza risalire da questi alla causa, non solo per additarla ma anche per rimuoverla. Purtroppo alcuni, invece di accettare la sfida, pur avendo ruoli manageriali e politico-istituzionali di prim’ordine, si dilettano a fare “u’ retë pedë”, del tipo “armiamoci e partite!”, disertando il reale confronto, vuoi per pigrizia, vuoi per vigliaccheria (quest’ultima indice di arretratezza culturale quanto di mancanza di coraggio politico), lasciando così il campo a un rumore di fondo di un vociare polifonico indistinto degli “avanguardisti”, un russare del “sonno della ragione che genera mostri”.
Si è giunti ad indire un referendum sulla presenza dell’Ilva senza porsi, coralmente e in modo stringente, domande sull’adeguatezza del management aziendale, sulla gracilità del ruolo dell’Università (Facoltà di Ingegneria Ambientale in primis, che in un decennio non ha prodotto un solo brevetto), sul perché, al di là dei roboanti annunci di interventi di forestazione urbana succedutisi nel tempo, l’unico serio intervento in materia risalga alla sindacatura di Troilo con l’apertura alla pubblica fruizione dei giardini del Peripato, sul perché con l’atterraggio di Riva si chiuse inopinatamente l’esperienza del Fondo d’Impatto Ambientale (che si seppellì cu’ l’amorë dë Djië), sul perché si sia chiusa inopinatamente l’esperienza di Italimpianti, nata come supporto tecnico all’Ilva, e sul perché Riva non trovò utile rilevare l’esperienza e il capitale umano del Centro Sperimentale Metallurgico, comportandosi da “caporale di giornata”, invece che da generale di corpo d’armata. La consultazione referendaria non potrà eludere queste domande, che naturalmente irromperanno nel dibattito pubblico, qui e ora.

Jo Tv ha deciso di organizzare il dibattito “L’industrializzazione a Taranto: realtà compromessa e prospettive di cambiamento per la sostenibilità”, un confronto non stop a più voci tra esponenti di associazioni ambientaliste e culturali, della cosa pubblica e del management industriale, delle organizzazioni sindacali, i cui partecipanti sono già stati individuati e invitati dalla redazione.
Questa è altresì a disposizione di quanti, pur non potendo partecipare di persona alla trasmissione, vorranno far pervenire il proprio contributo via mail, via telefono o, meglio ancora, in videoconferenza: questi saranno inseriti nella trasmissione in diretta tv nei giorni 5, 12 e 13 Aprile dalle 15.30 alle 18.00 e successivamente pubblicati sul sito www.jotv.tv.
La trasmissione sarà condotta da Alfonso Zambrano, e la redazione è composta da Marcella D’Addato, Tommaso Portacci, Cosimo Dellisanti (c.dellisanti2112@libero.it), Roberto Missiani, con i quali sarà possibile, per chi fosse interessato, prendere contatti.
Jo Tv con la sua iniziativa spera di far emergere l’intreccio tra la questione ambientale e i problemi macroeconomici regionali, nazionali, europei e mondiali, contribuendo così a diradare l’indeterminatezza che ci paralizza e la caligine che da anni ci avviluppa, al fine di predisporre la città a rinnovarsi, senza, come al solito, autodistruggersi.
28 marzo 2013
Angelo Candelli




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