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Bisogna spendersi per propugnarlo, il referendum!
"Sindacato bloccato in trincea, o parte all'attacco?"

mercoledì 10 aprile 2013

lettera aperta al segretario generale della UIl, Dr Angeletti, ed invito partecipazione dibattito referendum 14 aprile

da CrispiusSantorius



28 marzo 2013
OGGETTO: Invito partecipazione dibattito referendum 14 aprile

Egregio dottor Luigi Angeletti, segretario generale UIL
Il 14 aprile prossimo venturo, come Lei sa, si celebra a Taranto il referendum consultivo sulla permanenza o meno dello stabilimento siderurgico a ciclo integrale. Per questo importante appuntamento, Jo Tv ha sentito il dovere di organizzare il dibattito-confronto “TARANTO: REALTA’ E PROSPETTIVE, VOLTI E RISVOLTI”, nei propri studi televisivi siti di via Niceforo Foca 20 a partire dalle 15.30 del 5 aprile 2013. A meglio significare le modalità e le finalità dell’iniziativa editoriale di Jo Tv, Le invio, acclusa alla presente lettera, la nota di comunicazione redazionale.
Considerato che Lei svolge un primario compito di difensore dei diritti dei lavoratori in un momento di crisi finanziaria, di sommovimenti geopolitici e geo-economici e di cambiamento profondo dei sistemi ed apparati produttivi in corso in Italia, in Europa e nel Mondo, può aiutarci, con un suo qualificato intervento, a lumeggiare la posta in gioco che sottintende la celebrazione del referendum a Taranto.
La UIL, già negli anni settanta, si impegnò e si distinse, per vivacità e ostinazione, nel dibattito che all’inizio di quegli anni, quando lo stabilimento siderurgico di Taranto fu raddoppiato, e si discusse la variante generale al piano regolatore generale a cura dell’architetto Barbin e dell’ingegner Vinciguerra, proprio sulla questione della compatibilità del più grande stabilimento siderurgico a ciclo integrale costruito a ridosso della città.
La consapevolezza dell’importanza della questione ambientale a Taranto si fece strada allorché l’Amministrazione provinciale di Taranto - Assessorato all’Igiene e Sanità, diretto da Antonio Tripaldi – organizzò, sollecitato dalla UIL Beni Culturali, Italia Nostra, Club Europa e Università Popolare Jonica, un convegno di studi sul tema "Inquinamento ambientale e salute pubblica" in data 27-28 aprile 1971 nel salone di rappresentanza dell’amministrazione provinciale. Al convegno, i cui atti furono pubblicati a cura dell’Amministrazione provinciale, parteciparono esperti, manager, amministratori, sindacalisti ed esponenti dell’associazionismo ambientalista, tra i quali Antonio Rizzo, Carlo Marchese, Gianni Usvardi, Sottosegretario di Stato al Turismo, e Filippo Di Lorenzo, membro della segreteria nazionale della UIL Scuola, presentatore dell’ordine del giorno per la salvaguardia del fiume Galeso. De Lorenzo affermò: «Ora se non fosse stato per l’efficacia dell’opuscolo-documento approntato dall’Amministrazione provinciale, in alcuni interventi ci è sembrato che Taranto sia candidata a ricevere il primo premio quale città tra le più pulite e salubri del mondo, mentre i lavoratori, gli operatori culturali e sindacali denunciano - e lo hanno sempre fatto fin dall’inizio - che il fenomeno dell’inquinamento ambientale è molto evidente e procede a passi da gigante».
Di grande respiro fu in particolare la relazione del Prof. Giorgio Nebbia, intitolata Progresso merceologico e Progresso Umano, che così esordiva: «Da alcuni mesi a questa parte la denuncia dell’uso irrazionale del territorio e delle risorse naturali, la scoperta dei guasti dell’ambiente, congestione urbana, hanno dato vita ad un movimento di opinione pubblica, ad una collera collettiva, come se la grande massa degli italiani si svegliasse dentro un incubo».

I diritti all’ambiente, alla salute e a condizioni di lavoro sempre migliori, come Lei ha potuto ripetutamente constatare a livello delle continue riunioni di lavoro e convegni promossi in ogni parte del mondo dalle organizzazioni sindacali confederali, sono ormai una conquista antropologica e, per questo, non possono essere misconosciuti e conculcati da alcuno. Si sono già affermati nel mondo. I tempi per la loro generale e progressiva diffusione non saranno identici nei vari contesti geografici. E questo è il maggior rompicapo delle organizzazioni sindacali confederate. E posizione critica della UIL che si è mantenuta anche con il subentro della famiglia Riva nell’Ilva spa.
I motivi di critica non erano né fuori luogo né esagerati, in quanto non è un caso che negli ultimi frangenti un gruppo imprenditoriale con ventimila dipendenti abbia dovuto nominare Presidente del gruppo un manager proveniente dall’esterno, l’ex Prefetto Bruno Ferrante, lasciandolo nella Peste, nonostante la sua buona volontà e coraggio, in quanto deve ora fare i conti con:
a) il conflitto di competenza in corso tra il Governo Nazionale e quello Regionale per la legislazione concorrente delle materie di tutela della salute e dell’ambiente;
b) la difficoltà ad agire nella giungla delle direttive europee di settore, della legislazione nazionale, dei regolamenti degli enti locali;
c) i tempi lunghi del bicameralismo perfetto italiano.
d) la mancanza, in loco, di adeguate strutture tecnico-scientifiche per la ricerca applicata a sostegno dell’attività industriale presente sul nostro territorio, abbisognevole, per poter sopravvivere, di continui e radicali aggiornamenti tecnologici per l’innovazione di processi e di prodotto.

Per garantire migliori condizioni di vita e di lavoro, dobbiamo partire dal fatto che sono i fermenti culturali, la ricerca applicata, l’innovazione delle Istituzioni regolatrici e stimolatrici delle attività civili che orientano e governano le azioni dell’uomo in ogni epoca. L’economia della conoscenza è la base per ogni nuovo stile di vita; la sua affermazione e diffusione, però, è cosa complicata e non sempre lineare: molto dipende da quale tra le esperienze alternative si afferma in un dato momento storico di svolta.
L’atteggiamento di contrarietà alla presenza sul territorio della grande industria di base inquinante è determinato, oltre che dal comportamento della proprietà, anche da un senso di “estraneità” avvertito sia dai lavoratori direttamente impegnati al suo interno (non è un caso che in occasione del referendum hanno dichiarato che rappresenteranno il partito dell’astensione) che dai cittadini che vivono nelle vicinanze, in quanto non vi si producono oggetti direttamente o potenzialmente fruibili ma bramme, coils e grandi tubi; prodotti che, pur essendo indispensabili per l’esistenza e la competitività dell’industria manifatturiera italiana – di cui andiamo orgogliosi - non vengono percepiti dalla cittadinanza come cose proprie. Gli oggetti infatti solo con l’uso personale si trasformano in cose in cui riconoscersi e “da amare”.
Questo processo creativo ha accompagnato l’uomo che, per le sue esigenze vitali, sin dall’età della pietra ha dovuto costruire oggetti-utensili che hanno determinato la qualità della sua vita di relazione. Col succedere dei secoli gli utensili diventavano sempre più evoluti e si tramutavano in “cose”, sempre più rispondenti ai bisogni delle varie fasi della propria esistenza, per la caccia, la pesca, l’agricoltura, la preparazione dei cibi e - una volta diventato stanziale - le suppellettili per rendere più funzionale ed accogliente la propria dimora, giunte fino a noi perché seppellite insieme ai propri defunti.
In questo sforzo collettivo, in alcuni individui scocca la scintilla creativa dell’arte e il gusto della ricerca e della sperimentazione; nascono da qui l’aspirazione e la lotta per il possesso delle “cose”, tanto utili quanto belle. Purtroppo, con l’avvento del capitalismo, per due secoli e mezzo, si è puntato al consumismo, man mano più invadente ed esasperato. All’interno della realtà che, con fatica, tra alti e bassi, si va costruendo, è necessario far allignare modelli di vista post-consumistici orientati da un lato al sobrio e sapiente uso degli spazi e dei beni comuni e dall’altro al recupero della pratica diffusa dell’otium romano per acquisire i beni immateriali (gli unici di cui l’umanità dispone in modo illimitato) nella direzione di una società diversamente ricca, inclusiva, solidale e glocal, all’insegna della parsimonia, frugalità e riuso dei beni, non facendosi ulteriormente abbagliare dalla colonizzazione anglo-americana dell’immaginario collettivo avvenuta attraverso la pubblicità, a cui le grandi organizzazioni sindacali devono preparare e accompagnare i loro iscritti, secondo la lezione di Serge Latouche.
Passaggio quanto mai stretto, il cambio di rotta si rende infatti necessario per riappropriarsi della ricerca, a partire da quella biologica-sanitaria, attualmente nelle mani delle multinazionali farmaceutiche (si veda l’ultima vicenda sui diritti d’autore tra India e Svizzera), e del controllo dei flussi monetari, per riprenderne il significato di bene comune, in quanto la moneta, sin dai tempi dei Greci, è stata un buon servitore, ma un cattivo padrone.
E’ arrivato il momento di mettere al bando l’abitudine di desiderare il superfluo, l’inutile, negando il necessario agli altri. In questo momento storico tutto è divenuto più complicato a causa del sopravvento che l’alta finanza ha preso rispetto all’economia reale.
Nel prossimo decennio, a livello mondiale, si dovrà trovare necessariamente il modo di riportare nei ranghi lo strapotere della grande finanza, che sinora si è sviluppata in maniera asimmetrica; si dovrà ristabilire il primato della produzione dei beni materiali per soddisfare le esigenze di vita e di lavoro dell’umanità e predisporre stringenti regole, nell’ambito delle azioni del WTO, per scoraggiare i comportamenti scorretti di quei Paesi che, per contenere l’ingresso di manufatti sul proprio territorio, ricorrono persino all’espediente delle barriere non tariffarie, tra le quali vi è il mantenere oltre il necessario - per un eccesso di zelo - le merci nei magazzini per i controlli doganali. Tutto questo non può essere mantenuto lontano dall’orizzonte delle organizzazioni sindacali.
A Taranto, se si serrano le file e se ciascuno fa il proprio dovere secondo competenza e in spirito di verità, appuntamento a cui le organizzazioni sindacali, per ruolo e interessi in gioco, non possono tirarsi indietro, si potrebbe creare una squadra per partecipare alla grande corsa a tappe che sta svolgendosi nel Mondo, tesa allo sviluppo della ricerca applicata sull’impatto ambientale, in cui partecipano poche selezionate e sperimentate “società sportive”, capaci di mettere in campo squadre tecnico-scientifiche che, in versione sportiva, si tradurrebbe come la Mercatone Uno ai tempi di Marco Pantani. Perché i campioni della squadra possano salire sul podio di tale corsa occorre che questa sia affiatata e che, sin dalla prima tappa, agisca affinché i propri campioni, selezionati dal Direttore Tecnico-Sportivo per meriti verificati, rimangano nel gruppo di testa; solo cosi è possibile conquistare la maglia rosa. Durante la corsa non sono ammesse distrazioni, slealtà ed egoismi distruttivi; quello che, ahimè, a Taranto sono difficili a morire.
La società sportiva e la squadra sono ben consapevoli del fatto che, in caso di forte distacco dal gruppo di testa, si rischia l’esclusione dall’edizione della corsa dell’anno successivo, con alta probabilità di perdere gli sponsor e con la possibilità di chiudere i battenti e di perdere gli atleti, i migliori dei quali possono passare in altre società, mentre altri sono destinati ad appendere la bicicletta al chiodo. La società, così, è destinata a sparire. Nella competizione in corso, per strutturare industrie siderurgiche a ciclo integrale più sostenibili sul piano ambientale, economico e sociale, della grandezza e potenza di quella di Taranto, se ne possono contare sulle dita di due mani, e tra tutte queste rimarranno in gara quelle che prima, e meglio, sapranno innovare radicalmente processi e prodotti.
Per far parte di una squadra coesa e con unità di intenti occorre esercitare il diritto di critica lealmente e con misura, come Lei ha sempre cercato di praticare, e così, oltre ad additare le manchevolezze delle proposte altrui, sforzarsi di contrapporre le proprie alle altre senza retropensiero e/o alterigia. È solo così che si delineano naturalmente le convergenze per unire le forze necessarie e centrare gli ambiziosi obiettivi prioritari di rinnovamento strutturale dell’industria in uno con la razionalizzazione e la rivitalizzazione dello spazio urbano, così da migliorare la qualità delle condizioni di vita e di lavoro.
Le aree in cui insistono i grandi stabilimenti a ciclo integrale costituiscono una comunità del tutto ristretta, dispersa nel mondo in diversi paesi, in Occidente come in Oriente, di antica o moderna industrializzazione, con orientamenti filosofici e religiosi differenti, sono afflitti dai medesimi problemi di compatibilità ambientale e accomunati dal medesimo destino.
Perciò è opportuno che questi si prendano per mano e si dispongano in girotondo, tenendo a mente però che questo può ruotare in senso orario come in senso antiorario (a seconda che si adotti una politica espansiva o recessiva), e che le diverse esperienze culturali, i diversi approcci antropologici e le diverse conoscenze scientifico-tecnologiche sono, anche a stadio diverso, intercambiabili; questo fa si che ciascuno imponga un ritmo ed una velocità diversa, rendendo difficile stabilire il da farsi nel tempo giusto per rimanere in circolo, in quanto tutti agognano legittimamente a migliori condizioni di vita e di lavoro, mentre i beni materiali non rinnovabili (cibo, acqua…) non sono disponibili nella stessa quantità, per tutti e in ogni luogo (a partire dall’oro blu – riclassificato da tutti come il “bene comune” per eccellenza).
Per affrontare una questione complessa come quella di Taranto, si dovrebbe dare spazio solo a persone competenti, al punto giusto indignate, pensose per il bene comune, motivate e non aggreppiate a gilde o camarille, e a organizzazioni sociali portatori sani di interessi; e invece ci troviamo di fronte a improvvisati fuor d’opera in cui alcuni “coraggiosi”, con spavalderia, senza avere scienza, competenza ed esperienza si impancano a voler insegnare come e cosa fare per dipanare una matassa veramente intricata, e per giunta avere in non cale le sorti di migliaia di lavoratori.
E così, molti sono convinti, agendo in modo sciatto, senza poggiarsi sui punti di forza, che pure ci sono, del grande sistema industriale tarantino, di sciorinare ricette miracolistiche e semplificate, per “rottamarlo”, invece di partire da questi, puntellarli e rinnovarli, finiscono col pensare che sia meglio azzerare e cominciare tutto da capo, cioè pretendere di rinnovarsi nel senso della Storia, ma autodistruggendosi.
Ed oggi è proprio questo modo facilone di pensare e di agire la nostra iattura! E se non avremo un momento di resipiscenza finiremo nei cascami della Storia, disperdendo così il patrimonio esperienziale acquisito. Non è opportuno, onorevole e producente assumere verso il referendum l’atteggiamento di Ponzio Pilato con il raccomandare l’astensione. Bisogna, invece, spendersi per propugnarlo, il referendum!
Lei certamente converrà, al di là di tutto, che la partecipazione democratica attraverso il referendum è una palla da cogliere al balzo da quanti a Taranto come in Italia, anche se in pochi, pensano che sarebbe ben strano quanto delittuoso che una città del Mezzogiorno, pur avendo vissuto con alti e bassi l’esperienza dell’industrializzazione fin dal diciannovesimo secolo e pur annoverando all’interno della Confindustria locale due tra i più importanti gruppi imprenditoriali internazionali, Marcegaglia e Riva, fosse proprio quella che per prima getta la spugna, rifiutandosi di seguire, responsabilmente e con lungimiranza industriale, il nuovo vento della Storia.
Affrontare l’incancrenita situazione di Taranto, dopo che per anni il sonno della ragione l’ha fatta da padrone generando mostri, non è cosa né facile, né scontata, ma non impossibile!
Invece oggi il caso Taranto lo si vuole risolvere, dopo che per anni molta acqua muscëtë (sporca) è passata sotto il Ponte Girevole, con un referendum che sa molto di ordalia, pratica medievale in cui il confronto-scontro era basato solo sulla fortuna e sulla forza bruta.
Occorre essere ben consapevoli che la drammaticità con cui si percepisce in tutto il mondo la questione ambientale impone oggi, nella civiltà post-industriale, in tumultuoso divenire, un confronto su basi diverse per conquistare nuovi modelli di vita e di lavoro. Sono mutati i parametri di riferimento basati sull’accorto e sapiente uso delle risorse non rinnovabili e non disponibili per tutti, nella stessa quantità e in ogni luogo, pur se universalmente agognati.
Perciò fin quanto è possibile, sarebbe opportuno scongiurare il pericolo che a Taranto si crei una situazione malinconica ed improduttiva come quella che, ahimè, si è già consumata a Bagnoli (Napoli) come descritto dal romanzo di Ermanno Rea “La Dismissione”, in cui si descrivono le operazioni di smantellamento, pezzo per pezzo, dell’acciaieria Italsider per trasferirla in Cina.
“L’Impero di Mezzo” è oggi divenuto leader mondiale nella produzione di acciaio, mentre la bonifica del sito di Bagnoli è ancora tutta da completare. L’ultima sessione dell’Assemblea Nazionale del Popolo della Repubblica Popolare Cinese ha portato all’elezione di Li Keqiang a premier del governo cinese e Xi Jinping a presidente della Repubblica. Da questi è stato annunciato nei primi atti che la questione della sostenibilità ambientale, con i suoi riflessi sulla salute, è diventata l’obiettivo principe tra quelli prioritari della Cina, anteponenendolo alla questione delle minoranze etniche (vedi la situazione incandescente con monaci e cittadini tibetani che, anelando all’autonomia e alla democrazia, si danno fuoco!).
La grande industria di base quando raggiunge le dimensioni sia della raffineria a ciclo integrale dell’Eni che dell’Ilva, di fatto assurge ad una funzione preminentemente sociale oltre che economica. Una realtà produttiva della dimensione e qualità di quella di Taranto contribuisce in modo consistente alla stabilizzazione ed al contenimento dei prezzi e garantisce la puntualità e continuità dell’approvvigionamento di molte fabbriche della filiera manifatturiera del Paese.

Alla luce di quanto detto sopra, sono fiducioso che non vorrà privare la città di un suo qualificato intervento, frutto di esperienza glocal fatta sul campo e di respiro mondiale, che sicuramente arricchirà il dibattito. Per la modalità d’intervento potrà scegliere di partecipare alle tavole rotonde di persona in studio, o con intervento scritto per via e-mail oppure in videoconferenza.
Fiducioso di un Suo positivo riscontro, colgo l’occasione per porgerLe i più cordiali saluti.

Angelo Candelli – editore di Jo Tv
angelocandelli@me.com



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