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Confindustria Taranto chiede un tavolo di crisi permanente
martedì 28 maggio 2013
di Vito Piepoli




La Corte di Cassazione ha confermato gli arresti ai domiciliari per i Riva, proprietari dell’Ilva di Taranto. La rabbia degli operai perché  diventa difficilissima la situazione dell’azienda. Emilio e Nicola Riva, padroni dell’Ilva e l’ex direttore dello stabilimento, Luigi Capogrosso, restano sotto accusa per disastro ambientale, lo ha deciso la Cassazione. Sale la tensione in una azienda ormai sull’orlo dello stop. E il maxisequestro dei beni dei Riva rischia di compromettere l’approvazione del piano industriale con ripercussioni occupazionali per circa ventimila dipendenti,  in tutto si stima quarantamila posti di lavoro per l’eventuale chiusura dell’Ilva che porterebbe anche al collasso del comparto siderurgico italiano.  Il ministro Zanonato ha incontrato i vertici dimissionari dell’azienda mentre il premier Letta, vedeva i sindacati. Squinzi ha riferito che su questa vicenda si gioca una partita decisiva per il futuro del Paese. Per questo c’è chi sostiene un intervento più forte dello stato come il governatore della Puglia, Vendola. La magistratura ha sequestrato nei giorni scorsi circa 8 miliardi di euro che appartengono all’Ilva,   il cui cda si è riunito ieri in seduta straordinaria e ha fatto sapere che il provvedimento mette in pericolo la continuità aziendale, quindi sia la produzione, sia gli interventi di bonifica sarebbero a rischio. Per Confindustria Taranto sugli sviluppi del caso, si tratta di un sequestro incomprensibile. Si è riunita d’urgenza ed ha chiesto un tavolo di crisi permanente esteso a tutto il comparto siderurgico e l’apertura imminente di un tavolo di crisi permanente al Governo. Il sequestro sempre  a parere dei componenti della  giunta di Confindustria Taranto, oltre ad aver assunto proporzioni spropositate – come si legge in un loro comunicato -  va soprattutto in netta controtendenza rispetto agli impegni che la società ha assunto sul fronte degli adempimenti di ambientalizzazione della fabbrica. L’ ingentissimo sequestro, infatti,  va a “congelare” l’approvazione del piano industriale con il conseguente iter di applicazione dell’Aia, che come è noto è condizione essenziale per il processo di ambientalizzazione della fabbrica. Un provvedimento – questo il parere unanimamente espresso dalla giunta – che va inevitabilmente o a sconvolgere i delicatissimi equilibri raggiunti in dieci mesi di accesa vertenza fra Ilva, magistratura e governo; o a inficiare un impianto altrettanto strategico di referenti–chiave nominati ad hoc al fine di mantenere un costante dialogo col governo (vedi le nomine di Ferrante e da ultima quella di Bondi); o a rimettere bruscamente in discussione i termini stessi di un rapporto già travagliato (quello fra la fabbrica e la città) che sembrava aver raggiunto un pur difficile punto di convergenza; o a produrre forte preoccupazione in tutto l’indotto, che, proprio in un momento in cui si intravedevano spiragli di risalita dovuti alla ripresa produttiva all’interno dello stabilimento, si è visto azzerare tutti gli ordinativi già assegnati; o a vanificare – e qui sta l’aspetto più grave - l’attuazione e quindi l’imposizione stessa dell’Aia quale garanzia di applicazione di misure severe e incontrovertibili a garanzia della tutela dell’ambiente.  Malgrado le rassicurazioni fornite dalla magistratura all’indomani del provvedimento circa la possibilità per l’azienda di mantenere i livelli produttivi e occupazionali, l’ingente sequestro pone di fatto seri pregiudizi sia circa l’effettiva possibilità per l’Ilva di proseguire  nella produzione sia, come già ribadito, nel far fede agli impegni assunti in sede governativa sul piano degli adempimenti di adeguamento ambientale degli impianti.E’ evidente come la vertenza assuma oggi un rilievo di carattere nazionale e purtroppo inedito, e come tale vada gestita, attraverso la richiesta, da parte di Confindustria nazionale, della convocazione di un tavolo permanente di crisi presso il Governo centrale. Sempre per Confindustria Taranto è  palese che quanto finora adottato dal precedente governo non possa più bastare per far fronte ad una emergenza che va ben oltre gli scenari locali e che investe la siderurgia italiana nelle sue varie articolazioni, con l’effetto domino che inevitabilmente si teme per gli impianti produttivi direttamente ed indirettamente interessati ai provvedimenti di sequestro dei beni della holding. A repentaglio, infatti, non è più un singolo stabilimento ma un intero sistema industriale: una prospettiva che condanna tutto il Paese ad un impoverimento senza ritorno che  Confindustria Taranto si sente in  dovere di scongiurare.

Vito Piepoli





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