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Crisi ILVA.
PeaceLink scrive il piano B e chiede alla Camera di Commercio un tavolo per le alternative economiche

martedì 2 settembre 2014

da a.marescotti@peacelink.it




Sono stato convocato negli scorsi giorni dalla Commissione Sviluppo del Consiglio Comunale di Taranto per un’audizione in cui ho illustrato come è possibile riconvertire l’economia locale attraverso fondi europei.

La relazione che ho sviluppato è stata ulteriormente integrata e documentata e ora è disponibile sul web sul sito www.tarantosociale.org

Come ho spiegato alla Commissione Sviluppo del Consiglio Comunale, il mercato dell’acciaio è in fase recessiva ed è caratterizzato da un eccesso di capacità produttiva di 300 milioni di tonnellate di acciaio annue.

Di fronte a questo scenario lo stabilimento siderurgico ILVA sarà sconvolto da un’ondata di crisi che ha portato già altre acciaierie alla chiusura. La situazione finanziaria dell’ILVA è caratterizzata dal fatto che l’azienda non produce più profitti ma unicamente perdite che si stanno sommando ai debiti verso le banche e verso i fornitori. La situazione è diventata insostenibile – come ben sanno i lavoratori – ed è necessario approntare un “PIANO B” per ridare futuro ai lavoratori e alle loro famiglie.

Se l’azienda non produce più profitti ma perdite vengono meno le condizioni per la realizzazione degli interventi di risanamento degli impianti.

L’ILVA è in coma farmacologico e viene mantenuta in vita solo con decreti legge che hanno solo un effetto palliativo.

Prima o poi l’ILVA chiuderà e sarà la fine di un modello di sviluppo che si è centrato sulla monocultura dell’acciaio.

Questa crisi gravissima dell’ILVA sta esponendo i lavoratori al rischio concreto della disoccupazione.

Di fronte a questa drammatica situazione è saggio confrontarci su un Programma di transizione di sostenibilità ambientale che si alimenti anche con i Fondi Europei che nel sud dell’Italia spesso non vengono utilizzati dalle amministrazioni pubbliche.

Prova ne è il fatto che i 2 miliardi di euro del “Programma Attrattori Culturali”, destinati a migliorare l’offerta culturale nelle Regioni del Sud, non sono stati spesi e sono ritornati a Bruxelles. Uno spreco proprio mentre il nostro patrimonio storico e culturale cade a pezzi.

Secondo una ricerca Eurispes, l'Italia utilizza i fondi europei solo al 45%. Attualmente sono a rischio contributi europei per 14,4 miliardi di euro. Solo Croazia e Romania fanno peggio.

La crisi dell’ILVA deve diventare l’occasione per sfruttare al massimo questa ingente quantità di fondi per realizzare un progetto complessivo di riconversione che garantisca l’occupazione dei lavoratori ILVA offrendo nel contempo ai giovani disoccupati una concreta prospettiva di impiego diventando i protagonisti della riconversione, della bonifica e della rinascita.

Creare lavoro senza inquinare è possibile e lo dimostrano le esperienze di Pittsburgh, Friburgo, Bilbao, Hammarby Sjostad (Stoccolma) e della Ruhr. Tutti esempi in cui bonifica, riconversione e green economy hanno creato sviluppo e lavoro senza generare inquinamento.

Sono proprio le nazioni e le città che inquinano di meno che creano più occupazione.

PeaceLink ha preso contatto con gli ambientalisti di Pittsburgh per capire come quella città è riuscita a sopravvivere alla crisi dell’acciaio e a far rinascere la propria economia. Pittsburgh è stata riconosciuta come una delle tre città americane che meglio ha superato la crisi recessiva dello scorso decennio

Il sindaco di Pittsburgh ha dichiarato: "We employ more people in Pittsburgh than we ever have”. Ossia: "Noi impieghiamo più persone a Pittsburgh di quante non ne abbiamo mai avute"). Proprio così. Da quando hanno chiuso l’acciaieria sono usciti dalla crisi. PeaceLink è in contatto con Pittsburgh per un interscambio di esperienze sul monitoraggio dell'aria. Stiamo cercando di imparare dalle città che hanno avuto l'intelligenza di cambiare.

Per senso di responsabilità verso i lavoratori dell’ILVA e verso tutti quei soggetti che si sorreggono sull’indotto, PeaceLink da tempo sviluppa – accanto alla critica dell’impatto inquinante dell’acciaieria – anche una parallela azione di ricerca di alternative occupazionali.

Ora questa ricerca è arrivata ad una sintesi con la stesura del “PIANO B” per Taranto. Mentre la nave sta affondando, PeaceLink invoca le scialuppe di salvataggio. Le scialuppe già ci sono e sono i fondi europei. Ma occorre una grande capacità di pianificazione e di riprogettazione che attualmente manca.

PeaceLink fa appello alla Camera di Commercio perché convochi un tavolo di confronto e di progettazione per uno sviluppo sostenibile alternativo e mette a disposizione il proprio PIANO B e gli studi svolti in questi anni di ricerca, anche collaborando con l’Università e con quegli studenti che hanno deciso di centrare la propria tesi di laurea su Taranto.

E’ venuto il momento di far partecipare a questo tavolo di confronto e di progettazione non solo gli attori istituzionali e sindacali (che hanno spesso dimostrato la propria inerzia) ma anche i giovani laureati e laureandi che hanno acquisito competenze e sono animati dal desiderio di rimanere a Taranto o di tornarvi mettendo a disposizione il proprio sapere e la propria voglia di cambiamento.

Occorre coinvolgere tutte le scuole di Taranto in una seria riprogettazione dei profili professionali puntando sulle professioni del futuro, in particolare quelle collegate alla green economy che, secondo l'ONU, può creare fino a 60 milioni di nuovi posti di lavoro nei prossimi 20 anni (cfr. http://www.peacelink.it/ecologia/a/36349.html). PeaceLink è a disposizione delle scuole (per contatti: volontari@peacelink.it) per fornire materiale didattico e tenere incontri con docenti e studenti nell'ottica di una "riprogrammazione" delle scuole tarantine in funzione di una nuova economia e di una nuova società che ponga il lavoro al servizio dello sviluppo sostenibile e del bene comune.




Piano B per Taranto

 

 

--
Alessandro Marescotti

Presidente di PeaceLink
http://www.peacelink.it
http://www.tarantosociale.org
http://comitatopertaranto.blogspot.com




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