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La soluzione del nodo Ilva che ancora non si vede
domenica 11 settembre 2016

da Biagio De Marzo
biagiodemarzo@alice.it


Egregi signori,

La Gazzetta del Mezzogiorno in edizione Taranto del 3 settembre scorso ha pubblicato in prima pagina un mio intervento sull’Ilva che riprendeva una precedente analisi complessa e propositiva. Riporto tale intervento di seguito per chi non l’avesse letto o ne fosse interessato.

Segnalo, non sorpreso ma comunque frustrato e sconsolato, l’assoluta mancanza, finora, di reazioni, positive o negative, da parte dei tanti che hanno a cuore le sorti di Taranto e di Ilva e dei pochi che hanno il potere di incidere o decidere nel merito.

Un uomo saggio e disincantato mi ha detto: “La comunicazione è fatta di voce e di udito: senza udito la voce non serve a nulla”. E pensando ai “miracoli di Amplifon” mi sono ricordato che “il più sordo è chi non vuole sentire”.

Con viva cordialità.

Biagio De Marzo





LA SOLUZIONE DEL NODO ILVA CHE ANCORA NON SI VEDE

di Biagio De Marzo ingegnere


A che punto è la vicenda Ilva? Qualche giorno fa, coll’intento di interrompere il mio inusuale silenzio, una persona a me carissima mi ha chiesto: “A che punto è la vicenda Ilva?” Ho risposto d’acchito: “E’ nel girone infernale, nel più oscuro silenzio”. Ritengo che sia il caso di argomentare meglio.

Stando alle notizie di stampa, i tre esperti nominati dal ministro dell’Ambiente stanno valutando i piani ambientali presentati dalla cordata Mittal-Marcegaglia e dalla cordata Arvedi-Del Vecchio-Cassa Depositi e Prestiti. Centoventi giorni di tempo per poi passare ai passaggi successivi e concludere, presumibilmente, non prima della primavera 2017.

Non si sa chi altri conosca i piani ambientali e tanto meno i correlati piani industriali. E’ palesemente disattesa la data conclusiva per la vendita dell’azienda fissata nell’ultimo dei provvedimenti di legge per l’Ilva.

E ancora: il più grande disastro italiano ambientale, industriale e sociale degli ultimi decenni è scomparso dalla grande stampa nazionale. Il mega processo “Ambiente svenduto” procede tra intoppi, cavilli, ripartenze e concomitanze varie, ovviamente avulso dalle urgenze reali dello stabilimento e delle persone che vi lavorano. Mentre le istituzioni politiche regionali e locali appaiono procedere a vista, in ordine sparso, senza preoccuparsi di concorrere positivamente e unitariamente alla formazione di una visione di futuro condivisibile per lo stabilimento Ilva. Il governo centrale, poi, è totalmente “coperto”: conferma la volontà di risolvere positivamente la vicenda Taranto senza sapere (?) come e quando potrà concludersi.

Detto brutalmente, il mio sentore è che, dopo quattro anni di percorsi sbagliati, si ritorni al punto di partenza, a luglio 2012: di là, governo, sindacati e buona parte dell’opinione pubblica nazionale in difesa di 20.000 posti di lavoro diretti e della produzione di acciaio ritenuta strategica per l’Italia. Di qua, invece, Magistratura tarantina e opinione pubblica locale in agguerrita difesa della salute di cittadini e di lavoratori, ritenuta salvaguardabile solo con la chiusura dell’area a caldo (ndr: e conseguentemente dell’intero stabilimento per inconfutabili ragioni tecniche ed economiche).

I tanti provvedimenti di legge sull’Ilva emanati d’urgenza, si sono rivelati inidonei, nonostante cambi di commissari e di strategie. Non avendo ben chiare le enormi dimensioni delle questioni e temendo le conseguenze di realistiche ma necessarie decisioni, è mancata la capacità di “afferrare il toro per le corna”, come disse a suo tempo Al Gore, ex vice presidente USA, Premio Nobel per la pace 2007, Premio Internazionale per il suo impegno in difesa dell'ambiente, autore del ponderoso “La terra in bilico”.

Forte di un “vissuto siderurgico” di decenni, ho provato per tempo a far cogliere alle Istituzioni interessate la complessità e l’enormità del problema Ilva in tutti i suoi aspetti. Alla fine dell’anno scorso ho riassunto le mie riflessioni nel fascicolo “L’Ilva oggi: cosa fare?”, pubblicato a puntate su La Gazzetta Del Mezzogiorno in edizione Taranto dei giorni 16, 20, 22 e 30 novembre e 5 dicembre 2015. Ne riporto qui la proposta di soluzione realistica, nella speranza che possa servire ancora. Eccola.

“Tutto quello che abbiamo osservato ed analizzato ci porta a ritenere che la soluzione migliore per Taranto e per l’Italia potrebbe essere quella di puntare sul ciclo siderurgico integrale dimezzato negli impianti, con immissione graduale di innovazioni (ndr: forni elettrici), e con adeguamento della forza lavoro che, però, sarebbe sicuramente al riparo da un rischio sanitario inaccettabile e da ben più drastiche decisioni aziendali.

Semplificando al massimo, si tratterebbe di tenere in vita gli impianti del “raddoppio” e di dismettere quelli precedenti al “raddoppio”. Tale soluzione risponderebbe alla stima non ufficiale di ARPA Puglia secondo cui con una produzione annua intestata sui sei milioni di tonnellate il rischio sanitario sarebbe accettabile. Un’Ilva “dimezzata” e gradualmente innovata tecnologicamente potrà avere un futuro accettabile dal punto di vista sanitario, ambientale ed economico.

Ci auguriamo quindi che enti istituzionali, politici e sociali, capacitati dalle nostre argomentazioni e fortemente interessati al futuro di Taranto, che è tanta parte di Puglia e d’Italia, inducano i commissari straordinari di Ilva a chiedere subito, previo assenso del Governo e della Regione, la Viias (ndr: Valutazione integrata di impatto ambientale e sanitario) di Ilva, unico modo per superare il blocco del decreto Balduzzi – Clini.

Fare la Viias subito è il primo prerequisito fondamentale e ineludibile per evitare un possibile spreco di tempo e di risorse e per progettare e realizzare, invece, uno stabilimento duraturo e sostenibile sanitariamente, socialmente ed economicamente. Un atto del genere significherebbe soprattutto dare il via a quello che abbiamo chiamato “l’armistizio non dichiarato” con tutta la cittadinanza, che auspichiamo vivamente in vista del “miracolo” di “continuare a far vivere lo stabilimento Ilva senza che ammazzi i tarantini”.


In breve, per vincere la sfida di Ilva e Taranto occorrono si tanti soldi e tanto tempo ma soprattutto una grande guida illuminata e capace. Il redivivo Adriano Olivetti dovrà scalare contemporaneamente tre montagne imponenti e interconnesse: la riappacificazione con la cittadinanza, la fiducia della magistratura, la rigenerazione degli uomini e delle strutture aziendali. Il nostro Paese vorrà trovarlo? Riuscirà a trovarlo?

Biagio De Marzo ingegnere, già dirigente Italsider e già presidente di Altamarea


PS- Pubblicato nella prima pagina de La Gazzetta del Mezzogiorno in edizione Taranto del 3 settembre 2016







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